La nostra è l’era di papa Francesco, di un Dio di misericordia a fronte del Dio dei teologi sottratto al cursus della storia, di una Chiesa dello Spirito finalmente ridesta dall’alleanza stretta in troppe occasioni col potere, irrigidita nel formalismo del culto, più che immersa nella sofferenza e nel tormento quotidiano dei credenti.
È un’era in cui la Chiesa, liberandosi dai tanti condizionamenti della tradizione, non si vuole più rinchiudere negli steccati del particolarismo, per conciliarsi allo spirito universale delle sue origini, di condivisione, di conversione. È una Chiesa che vuole ereditare la lezione in carne viva, profeticamente annunciata da precursori come padre David Maria Turoldo, disposta a soccorrere i poveri in tutte le forme accessibili, educando la comunità cristiana alla condivisione, bisognosa di una riforma radicale nella fedeltà, una fedeltà peraltro che non si nega alla ragione critica.
Il tempo di David Maria Turoldo era già quello del Concilio, di cui però scorgeva il difficile operare nella concretezza dei problemi oltre le affermazioni di principio e le aperture entusiasmanti. Per il suo slancio di testimonianza, per la coerenza senza riserve al dettato evangelico, il cardinale Carlo Maria Martini nel consegnargli alla fine del 1991 il Premio Lazzati poteva dire: “Vogliamo fare atto di riparazione. Vogliamo evitare di edificare soltanto sepolcri ai profeti e dirti che se in passato non c’è sempre stato riconoscimento per la tua opera, è perché abbiamo sbagliato”.
Il suo dilapidarsi senza risparmio nel tempo della passione, la radicale dedizione del suo impegno trovavano così un’adeguata riparazione per i tanti torti subiti, i fraintendimenti miopi, le riserve ingenerose, gli esili umilianti, la scarsa carità degli atteggiamenti e misconoscimenti. Avvertiva dolorosamente una società aliena. “Questo è un mondo senza misura e senza gloria, perché si è perso il dono e l’uso della contemplazione. Civiltà del frastuono. Tempo senza preghiera, senza silenzio e quindi senza ascolto. E il diluvio delle nostre parole soffoca l’appassionato suono della sua Parola “.
“Mostrati o Signore a tutti i pellegrini dell’Assoluto: vieni incontro, Signore, con quanti si mettono in cammino – e non sanno dove andare. Cammina, Signore; affiancati e cammina con tutti i disperati – sulle strade d’Emmaus, e non offenderti, se essi non sanno – che sei tu ad andare con loro, Tu che li rendi inquieti – e incendi i loro cuori – non sanno che ti portano dentro; con loro fermati, poiché si fa sera – e la notte è buia e lunga, Signore “.
Costante il suo cammino di ricerca e solidale, fatto di continuo scavo, nell’angoscia del dubbio e della limitatezza, eppure con la certezza dell’approdo. “Ma quando da morte passerò alla vita- sento già che dovrò darti ragione, Signore – e come un punto sarà nella memoria – questo mare di giorni. Allora avrò capito come belli – erano i Salmi della sera – e quanta rugiada spargevi – con delicate mani la notte – nei prati, non visto “.
Di formazione evidentemente biblica la sua poesia (Zanzotto), così come fecondo il messaggio filosofico e di fede accolto alle origini grazie ai sussulti di novità del cristianesimo francese. Era un predicatore ora torrenziale, ora incandescente, ora magmatico, ora folgorante (Gianfranco Ravasi). Con Dio una lotta, un litigio, una continua interrogazione di fronte al suo silenzio infinito. Sola risposta Cristo.
David Maria Turoldo nasce a Coderno del Friuli il 22 novembre 1916 (morirà a Milano il 6 febbraio 1992 a causa di un tumore al pancreas, “drago insediato nel centro del ventre”, reso manifesto nel 1988). Di famiglia poverissima Giuseppe (questo il nome d’origine prima dell’assunzione dell’abito) comincia gli studi ginnasiali presso l’Istituto delle missioni dei servi di Maria a Monte Berico, avendo compagno anche per il resto della vita e per la condivisione dei principi Camillo De Piaz. Il 27 luglio 1934 prende l’abito dell’Ordine ed è ordinato sacerdote il 18 agosto 1940. Si trasferisce nell’estate del 1941 presso il convento di San Carlo al Corso a Milano. Memorabile è la predicazione del servita dal 1943 al 1953 durante la messa del Duomo alle 12.30. Erede della dignità delle condizioni povere della sua terra istituisce in S. Carlo dal 1948 la Messa della Carità. Nel contempo si laurea in filosofia teoretica all’Università Cattolica nel 1946 con Gustavo Contadini (tesi: “La fatica della ragione. Contributo per un’ontologia dell’uomo”).
Durante il periodo della Resistenza ha contatti con l’ambiente degli antifascisti, in cui militano alcuni docenti cattolici. Pubblica il foglio clandestino “L’uomo” e due sillogi poetiche : “Io non ho mani (Premio Saint Vincent) e poi “Udii una voce”. Si coinvolge con l’esperienza di don Zeno Saltini a Nomadelfia, in un tentativo di riforma radicale della Chiesa. Non è disponibile ad accettare il cristianesimo chiuso e autoritario di Pio XII nella seconda metà del suo Pontificato.
D al 1952 al 1954 padre Turoldo è costretto all’esilio a Innsbruck e a Monaco ; nel 1954 approda a Firenze a contatto con La Pira, Balducci, Barsotti, Milani e ripropone la Messa della Carità all’Annunciata. Pubblica i versi di “Gli occhi miei lo vedranno”(Giuseppe Ungaretti lo presenta nella Collana dello Specchio).
L’arcivescovo Montini lo definisce “religioso di grande ingegno, di natura vivace e artistica e di sentimenti sinceramente buoni”. Ma nel 1958 al cardinale Elia Della Costa subentra Ermenegildo Florit, senz’altro di idee non aperte. Padre David è di nuovo fuori Patria a Londra, Canada e Stati Uniti. In relazione al Concilio a Sotto il Monte (Bergamo) dà vita al progetto di Casa di Emmaus al Priorato Cluniacense di Sant’Egidio in Fontanella, “luogo di fiammeggianti liturgie”, incentivo al rinnovamento di linguaggi e strutture, per un’accoglienza senza distinzioni di censo o religione.
Il centro è frequentato per dibattiti ecclesiali e politici. Nonostante le aperte critiche a una Chiesa priva di misericordia e già dimentica del Concilio, Padre David rimane saldamente fedele, come Dossetti. Appoggia la presenza di cattolici indipendenti nelle liste del Pci in occasione delle elezioni del 1976. Partecipa alle trattative per la liberazione di Moro sequestrato dalle Brigate Rosse. È particolarmente sensibile al martirio della Chiesa sudamericana come alle speranze suscitate dall’incontro ecumenico di Assisi (1986). Le ultime opere lo vedono intento a indagare il mistero del male e di Dio (Canti ultimi, Il dramma è Dio, Mie notti con Qohelet) e predica a Milano in San Carlo sino alla fine. Suo principio massimo: essere nel mondo senza essere del mondo.
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