Ha vinto il no con largo margine ed è stata una indubbia sorpresa tenuto conto anche dell’alta affluenza alle urne. A leggere le segmentazioni del risultato elettorale sembra che il l’esito sia stato condizionato dagli under 35 (68% di no) mentre politicamente Renzi ha raccolto solo in parte il voto del Pd e segmenti isolati dei propri alleati di governo – che confermano di contare pochissimo in termini elettorali – con drappelli sparsi del centro-destra che hanno accolto il suo invito di un voto per presunti risparmi sui costi della politica e in generale per una volontà di semplificazione del sistema. Stando ai grafici circa un quarto del centro-destra ha votato sì, pochi ma non pochissimi.
Berlusconi ha subito colto l’occasione per rimettersi al centro della scena: si è dichiarato auto-portatore del 5% dell’elettorato, ha offerto appoggi per un governo di scopo e in qualche modo sembra offrire una spalla a Renzi in attesa di una nuova legge elettorale che – se fosse proporzionale, come anche da lui auspicato – gli offrirebbe una rendita di posizione come leader di Forza Italia a disposizione per alleanze o convergenze future.
Tutto il contrario del suo alter ego Salvini che gioca invece la carta delle elezioni anticipate fiutando il momento di slancio e chiedendo (come la Meloni) rapide elezioni primarie di centro destra per scegliere un leader, convinto di raccogliere una netta maggioranza.
Qui sta il punto: Berlusconi si ritiene lui il leader incontrastato di uno schieramento che forse non c’è più, rifiuta le “primarie” mentre – al di là del no ufficiale al referendum – il mondo che genericamente guarda politicamente a destra si ritrova di fatto senza una guida autorevole e deve quindi alla svelta trovarsene una soprattutto se si andrà ad elezioni anticipate.
Logica e buonsenso imporrebbero quindi delle primarie di coalizione che scelgano nuovi riferimenti, ma Berlusconi si ostina in un arroccamento personale che a mio avviso non ha più senso mentre dovrebbe sveltamente indicare alcuni suoi eredi cui passare la palla nel tentativo di contrastare Salvini che rischia di vincere alle primarie salvo poi perdere, probabilmente, in un confronto elettorale se si svolgesse un ipotetico ballottaggio.
Tutto dipenderà da quale sistema elettorale verrà adottato per le prossime elezioni politiche se l’Italicum venisse in buona parte dichiarato incostituzionale, come dovrebbe essere effettivamente nei fatti.
Peccato che proprio la Corte Costituzionale “per non influenzare il referendum” non si sia già espressa come sarebbe stato logico e giusto e che quindi si navighi ancora a vista con estrema incertezza.
Il problema è che se dal referendum è uscita vincente l’ “accozzaglia” immaginata da Renzi è indubbio che il fronte del No sia stato particolarmente frastagliato e contorto aggregando innanzitutto il M5S, ma anche Lega, con l’estrema sinistra ed estrema destra (termini superati dai fatti, ma valga per intendersi) che difficilmente potrebbero poi ritrovarsi insieme nelle urne.
I sondaggi infatti – a parte la questione referendaria – sottolineano l’esistenza e il cristallizzarsi di tre poli ormai sostanzialmente stabili sul 30% ciascuno dei consensi elettorali con il PD, altrettanti simpatizzanti per Grillo e – un gradino più sotto – una ipotetica aggregazione tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Se si scegliesse una formula a doppio turno la sfida finale probabilmente taglierebbe fuori il centro-destra che però potrebbe poi far convergere sui 5 Stelle un suo voto di protesta, come avvenne nelle scorse elezioni amministrative, mentre sembra difficile che possa succedere l’opposto.
Il referendum ha insomma pesantemente bocciato Renzi, ma riaperto le ferite sia nel Pd che a destra dove qualcosa si deve pur inventare se non si vuole rimanere ai margini.
L’età e il logoramento del personaggio giocano contro Berlusconi, il problema è che l’interessato sembra non averlo ancora capito.
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