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Politica

SCENARI EUROPEI

EDOARDO ZIN - 09/12/2016

bandiereUn referendum dovrebbe aggregare i “sì” e i “no” a seconda dell’opinione che si ha sulla questione sottoposta al voto. Purtroppo, ciò non è avvenuto: l’aver esasperato la chiamata alle urne come “una scelta di civiltà” o aver proclamato che, in un caso di vittoria dell’uno o dell’altro fronte, “ci sarebbe stato il diluvio”o l’aver eccessivamente personalizzato la campagna referendaria sono motivi perché il voto acquistasse una valenza politica e che, pertanto, attorno ai due schieramenti si formassero schieramenti eterogenei (la renziana “accozzaglia”).

L’aver drammatizzato il referendum al di là della sua portata effettiva

avrebbe significato, per certuni, l’uscita del nostro paese dall’euro e/o dall’Unione Europea e, per altri, il rialzo dello spread che, nel momento in cui scrivo queste note, non c’è stato e, se ci sarà, sarà dovuto più all’incertezza politica e ai risorgenti dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico legati alle scelte economiche che all’esito referendario.

Prima di conoscere gli scenari futuri che si potrebbero aprire in Italia e in Europa (ma quale Europa?) sarà bene fare un’ analisi sulla politica condotta dall’Italia nei confronti dell’Unione Europea durante il governo Renzi.

Il nostro presidente del Consiglio si era presentato in Europa come un europeista convinto e deciso a imprimere con risolutezza una svolta per ridare all’Unione un supplemento d’anima. Renzi ha persistito nel chiedere alle istituzioni europee e ai governi maggiore flessibilità a riguardo del nostro debito pubblico annuale che, secondo il trattato di Maastrich, non può superare il 3% del suo prodotto interno nonchè maggiore solidarietà dell’Europa nell’accoglienza ai migranti e ai profughi che sbarcano sulle nostre coste.

Per quanto riguarda la flessibilità, grazie anche alla nuova politica di crescita e di sviluppo instaurata dalla Commissione, il governo Renzi ha ottenuto

esiti sostanzialmente favorevoli, mentre per quanto riguarda il fenomeno migratorio

l’Unione ha messo una foglia di fico sulle sue intenzioni per nascondere quanto ha promesso e non realizzato.

Di rimando, l’Italia ha alzato la voce minacciando il veto nell’approvazione del bilancio triennale dell’Unione e attuando strappi protocollari così espressivi al punto di rimuovere la bandiera dell’UE durante una conferenza stampa che Renzi aveva convocato per illustrare la politica italiana proprio a riguardo dell’Europa. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso già pieno di sgarbi istituzionali come quello di esonerare il nostro rappresentante diplomatico presso l’UE, sostituendolo con un politico di fiducia del presidente o come quello di affidare al nuovo rappresentante il compito di riunire una volta mese gli eurodeputati per “concordare la posizione dell’Italia sui provvedimenti da votare”, dimenticando che gli eurodeputati non rappresentano il proprio paese, ma il gruppo parlamentare a cui appartengono. Nel contempo, Renzi invitava i governi dei sei paesi fondatori a Ventotene a prendere una ventata di retorica europeistica al fine di affinare le loro pretese in vista del vertice informale di Bratislava. Questo atteggiamento contraddittorio del nostro presidente Renzi, accompagnato dalle continue espressioni “ce lo chiede l’Europa”, ha fatto aumentare all’interno l’ondata di euroscetticismo e all’estero l’ormai consolidata repulsione verso i “soliti italiani” impreparati, improvvisatori, esteriori e generici.

Il futuro governo (guidato, si spera, da un ministro degli esteri alacre e competente!) farà benissimo, se necessario, ad alzare la voce in Consiglio dei ministri. Lo fece il presidente Monti contro frau Merkel nella notte del 28 giugno 2012 al fine di ottenere lo scudo anti-spread che aprì la strada per l’acquisto dei titoli di stato da parte della BCE, per chiedere l’applicazione delle regole di Maastrich in modo corretto da parte di tutti gli stati membri. Ma nell’ovattato Palazzo Lapsius Magnus, sede del consiglio europeo, vige la prassi del “fortiter in re, sed suaviter in modo”, cioè “essere costante nel chiedere, ma in modo rispettoso”.

Il nuovo governo italiano dovrà essere credibile, cioè dimostrare, dati alla mano, che le riforme strutturali (non la riforma costituzionale!) finora hanno dato sufficienti risultati. E dovrà impegnarsi coi fatti a far diminuire il debito pubblico, dimostrare che le nostre banche si trovano in mano esperte, scevre da ideologie, libere dalla pressione di gruppi di interessi e da inclinazioni partitiche. Dovrà mettere in atto una concreta revisione della spesa (finora finita nei libri dei sogni più che nei bilanci!), compresa quella enorme causata dagli emolumenti per politici e amministratori. Dovrà rendere strutturali i “bonus” caduti a pioggia qua e là per considerazioni elettorali, e che non hanno prodotto i risultati sperati, indirizzando quelle risorse in modo progressivo ed organico verso le classi più disagiate a rischio di povertà. Dovrà combattere evasione fiscale, corruzione aumentando le pene e rendendole simili a quelle dei paesi dell’Unione: sono queste le riforme che ci chiede l’Europa!

Ogni crisi che ha subito l’Europa è stata superata grazie alla lungimiranza di politici accorti, che hanno saputo trasformare la crisi in opportunità: basti pensare al convegno di Messina (1955) che, dopo la sconfitta della comunità europea della difesa, ha rilanciato il processo d’integrazione avviandolo verso i trattati di Roma; basta ricordare l’apporto decisivo dell’Italia nel 1978 che diede l’avvio al Sistema Monetario Europeo.

L’Italia potrà, traendo esempio dalla storia, continuare a dare il suo contributo all’edificazione della casa comune europea che si sta delineando secondo cinque o sei “piani”: uno spazio comune economico a 32 paesi (tra cui, dopo il 2019, il Regno Unito), l’Unione Europea attuale a 27 paesi, un’Europa della zona euro che dovrà essere integrata in termini fiscali e economici, un’Europa di Schengen che permetta la libera circolazione delle persone e controlli le proprie frontiere e, infine, l’Europa dei sei paesi fondatori ( compresi i Paesi Bassi riluttanti!).

Questa Europa sarà stretta tra due giganti: a est, la Russia, a Occidente, gli USA. Avremmo bisogno di leader prestigiosi, ma non si può pretendere di contare sempre su di loro. Abbiamo bisogno di un popolo. Cioè di uomini animati da buona volontà.

Dopo la notte sta arrivando un’alba nuova. Dopo un decennio di immobilismo c’è un rifiorire di nuove opere: l’Austria ha scelto come suo presidente un europeista convinto, in Francia, la destra ha ritrovato l’unità che, assieme ai voti raccolti dal centrista Macron, potrebbe essere determinante per non consegnare il paese all’estrema destra, la Germania è divenuta meno arcigna, la Brexit ha creato chiarezza e non incertezza.

Il dopo Renzi passa attraverso una tela faticosa di alleanze internazionali. L’Italia dovrà farsi carico di riprendere a parlare di unione politica. Si tranquillizzino coloro che si aspettavano il diluvio universale in caso di vittoria del “no”: è inevitabile che le sirene del populismo antieuropeo continueranno a incantare con le loro patetiche melodie, ma gli europei che pensano con la la propria testa sanno che l’uscita dall’ Europa è una pia illusione e che il rifiuto della moneta comune una vera tragedia.

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