Il referendum costituzionale è stato l’ennesima dimostrazione di come non ci sia cosa complessa che non si possa complicare ancora di più. Di fronte a un problema vero e reale, la necessità di semplificare le istituzioni e la vita pubblica, si è risposto infatti con la proposta di una riforma intricata e problematica che ha suscitato non solo una dura opposizione politica, ma la critica aperta di esperti e analisti giuridici. E poi si è legata la stessa riforma alle sorti del Governo e del premier offrendo alle opposizioni su di un piatto d’argento le motivazioni necessarie, e come si è visto, largamente sufficienti per una chiara bocciatura popolare.
In questa particolare fase politica ed economica quello di cui non aveva proprio bisogno l’Italia era un nuovo periodo di instabilità, una prospettiva di incertezze, uno scenario di forte contrapposizione. L’economia non aspetta. C’è una ripresa molto timida che dovrebbe essere curata e protetta, c’è un sistema bancario che dovrebbe poter contare su di una politica capace di creare fiducia e garanzie, c’è un debito pubblico che va tenuto sotto controllo con cautela ed efficacia.
Una politica coerente avrebbe dovuto evitare il più possibile il rischio di aggiungere una crisi politica alle difficoltà economiche e sociali. Ma così non è stato ed ora, dopo il varo della legge di stabilità, come dettato opportunamente dal presidente Sergio Mattarella, si aprirà il tavolo per la successione a Matteo Renzi. Tra le spinte emotive dei partiti, come la Lega e i grillini, che vogliono raccogliere subito il dividendo della vittoria elettorale e lo smarrimento del Pd uscito non solo sconfitto, ma frastornato e diviso dalla vicenda referendaria.
Le reazioni dei mercati finanziari, sostanzialmente poco mossi nel giorno dopo il voto, dimostrano che non è comunque avvenuto nulla di irreparabile. L’Italia rimane il paese che ha il terzo debito pubblico del mondo, ma anche ha una ricchezza privata e un patrimonio complessivo in grado di garantirne la sostenibilità.
Allo stesso modo il sistema bancario italiano presenta alcuni punti di difficoltà, soprattutto tra gli istituti che hanno vissuto gli ultimi decenni all’ombra e al servizio della politica, ma ha tutte le risorse e le potenzialità per tenere circoscritta la crisi e avviare a soluzione i problemi.
In un paese normale il no alla riforma costituzionale dovrebbe spingere le forze politiche ad affrontare con altri mezzi i problemi che le proposte bocciate al referendum volevano affrontare. La “navetta” dei progetti di legge tra i due rami del Parlamento (uno dei motivi del tentato ridimensionamento del Senato) potrebbe essere almeno in parte resa meno problematica con una significativa riforma dei regolamenti. E un semplice legge potrebbe trasformare il Cnel in un ufficio studi composto da illustri pensionati senza diritto a indennità.
Più complessa la revisione dei poteri tra Stato e Regioni, ma in questo caso una modifica costituzionale che riguardasse solo questo argomento potrebbe essere concordata tra tutte le parti politiche e quindi essere approvata a larga maggioranza senza un nuovo referendum.
Ipotesi per un paese normale.
La realtà purtroppo è diversa. E allora dobbiamo sperare in una parola che sta diventando di moda, la parola “resilienza”. Che cosa vuol dire? È qualcosa di simile alla preghiera di Tommaso Moro: “Signore, dammi la forza di cambiare le cose che possiamo cambiare, dammi la capacità di sopportare le cose che non possiamo cambiare, dammi l’intelligenza per capire quali sono le prime e le seconde”. Ecco, la capacità di adattamento, un po’ l’arte di arrangiarsi e di abituarsi a non chiedere troppo alle istituzioni e allo Stato.
Certo, l’economia competitiva, tecnologica e globalizzata richiederebbe una spinta all’innovazione, la capacità di sfruttare appieno le potenzialità del mercato unico e dei finanziamenti europei, la fiducia verso la possibilità di innestare un circolo virtuoso tra innovazione e lavoro.
Anche perché l’Italia è più forte di quanto la raccontano i cantori del disagio sociale. L’Italia continua ad avere imprese di eccellenza, giovani di grande creatività, distretti industriali altamente competitivi. Questo non vuol dire che non esistano i problemi, vuol dire essere convinti che insieme ai problemi ci sono anche diverse possibilità di soluzione.
La speranza è che dopo essersi complicata la vita con il referendum la politica possa trovare una nuova strada. Anche sotto il profilo semantico, cioè del significato delle parole. Avremo bisogno di intese tra diverse forze politiche: smettiamola di bollarle come “inciucio”. Avremo bisogno di personalità di grande capacità ed autorevolezza: i “tecnici” al Governo non sono un’eresia. Avremo bisogno di una politica di concordanza e di passione per l’interesse collettivo: e allora non si puó tenere il Paese in una perenne campagna elettorale.
L’economia, dicevamo, non aspetta. La politica dovrebbe rispondere con concretezza. Magari senza le dichiarazioni roboanti e ultimative dei primi della classe raccolte con irragionevole deferenza nei rituali task show televisivi.
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