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Con l’autunno le giornate si accorciano, le notti diventano più lunghe dei giorni, gli alberi perdono la chioma e con il morire della stagione non sono pochi coloro i quali soffrono di un disturbo che gli anglosassoni chiamano con l’acronimo di SAD (Seasonal Affective Disorder, ovvero Disordine affettivo stagionale). Tra le terapie in uso, vi è quella di esporre il paziente sotto forti lampade che ne stimolano la serotonina. Alzi la mano chi non ha mai sofferto di malinconia autunnale, specie dopo il ripristino dell’ora solare. La parola “melanconia” proviene dal greco melas “nero”e konis “polvere” (ovvero bile nera). Una sua variante cristiana è l’accidia, considerato uno dei sette peccati capitali, dato che reca indolenza e indifferenza. Poiché secondo la concezione di Ippocrate la bile nera veniva elaborata dalla milza, concezione rafforzatasi poi durante il Medio Evo fino all’età romantica, da qui la parola inglese “spleen” (milza), un suggestivo termine impiegato da Charles Baudelaire per indicare l’umor nero. Quattro sono infatti gli “Spleen” composti dal poeta.
Lo spleen, stato d’animo all’insegna dell’ umor nero, è per Baudelaire la condizione necessaria per pervenire all’Ideale, quasi che fosse l’humus che porta al sublime. Infatti nella concezione baudelairiana Spleen et Idéal sono intimamente congiunti. Pare che il poeta francese soffrisse fortemente di questo “disordine”, ma proprio per questo, ne aveva bisogno per raggiungere le sue idealità poetiche. Questo stato d’animo lo si coglie anche in “Spleen di Parigi”, suo poemetto in prosa: “Allora dimmi, che cosa ti piace, o bizzarro straniero? Io amo le nuvole …le nuvole che passano…lassù… le nuvole meravigliose”. Eugenio Montale lo chiama “mal di vivere”: “Spesso il male di vivere ho incontrato/ era il rivo strozzato che gorgolia/ era l’incartocciarsi della foglia/ riarsa, era il cavallo stramazzato”.
La malinconia che si invita da sé e che ti sorprende inaspettatamente perfino in momenti di svago, la troviamo nella scanzonata poesia “Via” del pittore-poeta Ardengo Soffici a spasso col suo amico Aldo Palazzeschi: Palazzeschi, eravamo tre, Noi due e l’amica ironia, A braccetto per quella via Così nostra alle ventitré (…) … Ma un organetto un po’ sordo si mise a cantare: Ohi Marì… E fummo quattro oramai a braccetto per quella via / Peccato! La malinconia S’era invitata da sé.
Lo scrittore veneto Giuseppe Berto la descrisse come una discesa agli inferi nel suo famoso “Il male oscuro” e per raffigurarne la nevrosi d’ansia che l’accompagna scrisse il romanzo senza punti né virgole, in un flusso di coscienza ininterrotto. Non ne soffrono solo i poeti e gli scrittori di questo male detto ormai da tutti “oscuro” (dal romanzo di Berto), ma anche gli artisti (pittori, scultori, musicisti). Ne soffrì Michelangelo, Caravaggio, Cellini, Duerer e molti altri. Albrecht Duerer ne fece anche una famosa incisione a bulino dal titolo “La melanconia”, sulla quale sono state avanzate parecchie ipotesi e chiavi di lettura. Ma secondo la più accreditata, pare voglia indicare una condizione primitiva, come il primo gradino della conoscenza da perseguire in salita, uno stato d’animo di travaglio interiore assimilabile alla notte, alla “nigredo” dell’elemento ctonio. La donna infatti è cupa in volto e la scritta sul nastro sorretto dal pipistrello sembra indicare proprio questa condizione di “melanosi” e di “nigredo” paragonabile ad uno stato d’animo di pensosità travagliata. È un tema che ha attraversato anche la pittura moderna dal Rinascimento fino ai nostri giorni. Edward Munch, grande cantore espressionista di cupi stati d’animo esistenziali ( ricordiamo “L’Angoscia”, “L’urlo”) ha composto un dipinto intitolato “Malinconia”, tema che compare anche in uno stupendo dipinto di De Chirico dal titolo “Mistero e malinconia di una strada”.
Ma certamente per i malinconici, gli accidiosi, i depressi affetti dal male oscuro, non è di conforto né di consolazione sapere che non sono pochi i personaggi famosi afflitti da questo male. In epoche più vicine alla nostra ne soffrirono pure eminenti personalità di successo politico come Churchill e giornalistico come Montanelli. Esistono rimedi senza dover sconfinare nella zona grigia degli psicofarmaci e sono l’Iperico, la pianta di Iperione, il nome greco del Titano padre di Elio-Sole. Grande è il valore simbolico di questa pianta dai bei fiori giallo-sole, quel colore della luce che tanto piaceva a un melanconico cronico come Van Gogh. Capace di combattere gli stati depressivi, è anche un potente cicatrizzante.
A ben rifletterci, è come immettere piccole dosi di sole nel corpo di chi vede buio e non riesce a uscire dall’oscurità. Non di rado dunque anche la medicina e la farmacopea sono fatte di simboli come le arti, la poesia e il linguaggio.
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