Ci sono persone che incontriamo poche volte nella vita, ma che segnano profondamente il nostro essere, lasciandoci doni e valori che magari non cogliamo nella loro profondità al momento, ma che restano appiccicati alle pareti del nostro cuore e della nostra mente come grilli parlanti, sempre pronti a ricordarci che in quel momento siamo cresciuti grazie anche a loro, perché ci hanno regalato la forza di reagire, sorridere, dimostrare a noi stessi e al prossimo che anche nelle situazioni più difficili è possibile trovare un senso, applicare una regola, una legge, trovare una via, magari radicalmente diversa da quella che avevamo preventivato, ma altrettanto bella e importante.
Io un soldato laureato chiamato alle armi, una recluta insomma, lui un capitano, comandante della Compagnia mortai da 120. Un ufficiale dallo sguardo diritto, dai tratti umani, capace di dirti poche parole, ma sufficienti per farti capire che il mondo non è sempre quello che immagini. Ci sono momenti in cui bastano due parole dette al momento giusto e con la giusta intonazione per dimostrarti che dall’altra parte il mondo ha una sua logica anche quando sembra che non ce l’abbia.
Un giorno mi ferma e mi dice: “La vita è bella anche quando è brutta, bisogna saperla cogliere!”. Non so cosa rispondere, ma ha preso nel segno. Ha voluto mettermi in guardia, come se si volesse scusarsi di quei quindici mesi tolti alla mia vita privata, alla possibilità di un più rapido inserimento nel mondo del lavoro. Da quell’istante ho iniziato a vederlo come persona capace di capire e ascoltare il prossimo, senza chiudersi nella torre d’avorio dei detentori del potere.
Il capitano era semplice, spontaneo, pronto a intrattenersi per farti capire che potevi fidarti, che la vita non è sempre o molto brutta o molto bella, a volte è interessante, un po’ diversa, capace di sorprendere, di farci capire che anche nell’obbedienza c’è un senso, magari più vero e profondo di quello che pensiamo.
Ci sono momenti in cui prende le sembianze che non ti aspetteresti, così ti convinci che non bisogna essere schiavi di pregiudizi o valutazioni inadeguate. Il capitano non faceva pesare le stellette, era un tipo mite, uno che credeva nella missione di chi ha imparato a leggere e a cogliere le aspirazioni e le attese di chi è costretto a obbedire.
Una mattina mi chiama, mi fa sedere e mi comunica che all’ Ufficio servizi del palazzo comando hanno bisogno di un soldato. Il passaggio dalla caserma alla vita attiva dell’ufficio cambia radicalmente il mio modo di vivere, mi aiuta a crescere, mi fa sentire importante. Il capitano mi ha fatto capire che siamo noi che dobbiamo trovare il senso e il significato di quello che facciamo, senza lasciarci sopraffare dalle valutazioni approssimative da parte di chi vorrebbe farci presagire il contrario.
Vivere è trovare una dimensione sempre, in qualsiasi momento o luogo o tempo, anche quando sembra che il mondo accanto a noi cammini con le gambe per aria. Oggi è diventato generale. Ha conservato quell’aria semplice e buona: i gradi non l’hanno cambiato. È rimasto quella persona che ha voluto aggiungere un pensiero in più al mio sguardo, lasciandomi intravedere quella parte che spesso rimane in ombra, ma che se viene compresa cambia radicalmente il nostro modo di vivere.
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