Aree cittadine degradate nelle periferie, ma anche in zone centrali. Evento non solo varesino, infatti coinvolge un po’ tutte le città. Assistiamo al fenomeno dei poveri che si rifugiano in queste aree talvolta parzialmente abbandonate. Chi non ha possibilità e vive nella miseria qui riesce in qualche modo a campare. Molti son gente di Varese, molti invece provengono da luoghi stupendi, da terre lussureggianti ma dove loro avevano solo sofferenza e miseria. Qui possono avere l’impressione di trovare il benessere in questi siti talvolta fatiscenti, semi abbandonati, magari addirittura tuguri, capannoni vuoti, cascine decadenti, vecchie case. Ai loro occhi appaiono sempre molto migliori delle loro capanne dal pavimento sterrato dove sono nati e vissuta la loro infanzia.
Si parla molto spesso delle aree da recuperare. Tema vasto, ma è il luogo dove vivono queste persone ridotte ad aver poca o addirittura a non avere speranza. Ai nostri occhi questi diventano i luoghi insicuri, dove si vive la tensione della piccola criminalità, i luoghi dove spicca lo sporco, l’abuso di droghe legali ed illegali, i negozi senza orari dove si vendono articoli etnici, dove le donne se sole possono venir violate. In certe città alligna anche la criminalità organizzata. Questi quartieri spesso ospitano intere comunità di etnie orientali, sud americane o africane, ma sono anche quartieri dove la vita appare più vivace, talvolta più che in centro città. I negozi più frequentati, le vie più pedonalizzate e dove si vive in modo meno formale, più povero, non elegante, dove anche impera lo squilibrio fra i generi.
A Varese nel passato si era programmato di recuperare alcuni ambiti considerati degradati con costosi progetti. Area stazioni, Caserma con piazza Repubblica, sito del teatro tenda. È forse più di un decennio che si parla di questi progetti. Sono stati presentati grandi plastici, costati anche soldini, ma non si è potuti andare oltre le parole perché gli imprenditori, che avrebbero dovuto essere coinvolti, non si sono visti. Progetti grandiosi ma evidentemente non remunerativi.
Ora alcuni di questi progetti si sono ridimensionati. Forse più consoni alle possibilità economiche della città, ma viene anche da chiederci: “È con i mattoni che si evita il degrado?”. Non c’è dubbio che con l’assenza di manutenzione un’area va incontro al decadimento e si apre al deperimento della qualità della vita. Ma sono sufficienti i mattoni per migliorare quest’ultima?
Qualcuno in un passato breve invocava l’esercito per migliorare lo stato delle cose. Qualcuno aveva suggerito la soluzione nell’abbattimento della Caserma e subdolamente era andato in quella direzione: assenza assoluta di manutenzione e lasciando libere o addirittura favorendo le infiltrazioni delle acque.
Senz’altro l’uso del mattone è più che utile, ma non è sufficiente. Ci vogliono altre strategie che mancano vistosamente. Mancanza di dialogo, mancanza di contatto tra abitudini di vita, tra costumi che giungono tra noi e molto diversi dai nostri. Senz’altro è da esigere il rispetto della nostra civiltà, dei nostri modi vivere, non ci sono dubbi, ma noi dobbiamo evidenziare che la nostra realtà non è quella che loro hanno conosciuto dagli sciagurati mass-media con cui sono venuti e vengono in contatto nelle loro terre.
Se vogliono restare in modo efficace per loro e per noi devono comprendere la nostra realtà, i nostri modi di vita, che non sono nati da un capriccio, ma dall’esperienza secolare che dice che se non si vive con certe accortezze, con certe attenzioni, non si sopravvive in un ambiente come il nostro, come non si sopravvive nei loro ambienti d’origine se non con i modi di vita delle loro terre. È un’osservazione ovvia.
Con veloce immediatezza i nostri tempi impongono confronto, talvolta violento di culture diverse, diversi modi di affrontare l’esistenza dell’uomo, diversi modi di vivere l’economia, le leggi, il lavoro, i rapporti, la famiglia, la religiosità e si deve giungere ad un reale rispetto reciproco.
Recentemente molti varesini sono rimasti scandalizzati dagli assembramenti di africani sotto i pini di piazza della Repubblica. Ma per loro era naturale andare all’ombra dell'”arbre à palabre” un poco simile a quello del loro villaggio. Naturale abbandonare i rifiuti per terra, a loro non è stato insegnato (per la verità lo fanno anche molti italiani). Varesini insofferenti e scandalizzati dal loro frequentare l’area stazioni, come avviene in molte altre città. I punti dove si parte e si arriva diventano ovvi punti d’incontro, e non saranno certo solo le passerelle che si stanno studiando, o i rifacimenti di piazza della Repubblica, se non usciranno tra loro, ma anche tra di noi figure capaci di dare una vitalità positiva a questo incontro epocale tra le culture, come appena detto.
Non è negando a loro strutture d’incontro di cui hanno necessità, come le moschee o punti analoghi, ma di cui non potranno negarci il controllo civile delle loro attività, come veniamo controllati anche noi, qui residenti. È logico che si debbano avere atteggiamenti fermi nei confronti di chi commette illegalità, sia straniero che varesino, ma si deve anche avere un atteggiamento di comprensione delle inevitabili sofferenze che vivono, essendo in definitiva degli emarginati economicamente poveri.
Il loro inserimento in modo giusto è ricchezza per loro e per noi. Si deve saper superare la naturale diffidenza nei loro confronti che è un sentimento reciproco: anche loro lo provano. Qualcuno ci dice che per vivere la pace sono necessari atti d’amore, per avere i quali si deve saper vivere in serenità e fiducia. È da più di due mila anni che ci è stato detto! Ma se viviamo con paura e tristezza otterremo solo risultati negativi nonostante i quintali di mattoni che potremmo usare.
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