Finalmente. Dopo sei mesi di campagna elettorale siamo ormai al voto per il referendum. Della riforma costituzionale all’esame definitivo dei cittadini si è parlato a lungo anche se, alla fine, sulla scelta degli elettori molto probabilmente peserà di più la valutazione dei possibili effetti politici piuttosto che un giudizio sereno sulla portata delle norme in discussione.
Perché effetti politici inevitabilmente ce ne saranno. “Non arriveranno le cavallette” ha rassicurato nei giorni scorsi il premier Matteo Renzi che ha comunque ribadito che non potrà che trarre le conseguenze “politiche” di un eventuale voto negativo.
Cerchiamo allora di prevedere quali potranno essere in concreto gli effetti della vittoria del sì o del no.
Per il sì potrebbe sembrare più facile e scontata la prosecuzione dell’esperienza di Governo fino alle elezioni previste alla scadenza naturale del 2018. Ma bisogna tener conto di due fattori: da una parte il fatto che la vittoria referendaria potrebbe spingere Renzi a creare le condizioni per elezioni anticipate, proprio per sfruttare tempestivamente l’onda lunga del successo; dall’altra che saremmo di fronte ad un Parlamento doppiamente delegittimato, non solo perché eletto con una legge elettorale dichiarata da tempo incostituzionale, ma anche perché composto da un Senato destinato a sparire nella sua forma e nei suoi poteri attuali. Peraltro anche con la vittoria del sì il Partito democratico si è impegnato in una profonda modifica della legge elettorale, quella chiamata “Italicum”, modifica che tuttavia non sarà né di facile, né di rapida attuazione. Ci potrebbe essere, tra l’altro e nonostante le promesse, anche la tentazione di andare a votare comunque con l’Italicum, che garantirebbe al vincitore una maggioranza sicura e blindata per cinque anni. Sarebbe tuttavia quasi un gioco d’azzardo sulle spalle del paese perché non sarà comunque facile per il Pd vincere al ballottaggio.
Le conseguenze politiche del no appaiono di più difficile valutazione. Ci saranno con tutta probabilità le dimissioni di Renzi, ma è altrettanto probabile (soprattutto se il no vincerà solo per pochi punti percentuali) che il presidente della Repubblica possa decidere di rinviare il Governo alle Camere per chiedere un nuovo voto di fiducia. Ci sarà sicuramente qualche turbolenza sui mercati finanziari, lo spread potrà salire sulla scia di movimenti speculativi di breve periodo, sarà forse necessario chiedere aiuto alla Banca centrale europea: anche per questo l’Italia non potrà stare a lungo senza Governo ed è possibile, oltre che auspicabile, che un eventuale crisi possa durare il meno possibile. Non sarebbe peraltro un’eresia un governo “tecnico”, sostenuto da una larga intesa per guidare il paese fino a che il Parlamento non varerà la nuova legge elettorale.
Il voto anticipato potrebbe essere più difficile con il no piuttosto che con l’eventuale vittoria del sì. Questo perché diventerebbe praticamente obbligatorio varare la nuova legge elettorale dato che l’Italicum vale solo per la Camera dei deputati e il Senato resterebbe con tutti i suoi poteri e sarebbe eletto con una legge completamente diversa. Date le forze in campo, e la sconfitta del Pd, l’intesa pur necessaria per la nuova legge apparirà quanto mai difficile ed impervia e richiederà quindi molto tempo. Che si voti nell’autunno del 2017 o nella primavera del 2018, come è nella scadenza “normale” appare comunque una differenza abbastanza marginale. Quello che è probabile è che avremo un’altra campagna elettorale lunga e arrabbiata, forse più di questa che si è conclusa. E solo nella sfera di cristallo si potrebbero ora intravedere chi ne saranno i protagonisti e quale sarà l’esito del voto.
Dopo l’eventuale “no” il Parlamento e il Governo che usciranno dalle elezioni dovranno tuttavia sentire il dovere morale di riprendere in mano i fili della riforma costituzionale per ridurre veramente il numero dei parlamentari, tagliare veramente i costi della politica, rimettere veramente ordine nella divisione delle competenze tra Stato e Regioni: tutti elementi su cui c’è un largo consenso, ma che la riforma bocciata prevedeva, secondo la maggioranza che ha votato no, in maniera confusa e pasticciata. Sarà necessario qualche anno per far superare le polemiche, ma vi è da sperare che la classe politica che uscirà dalle prossime elezioni sappia ricercare una larga intesa sui temi costituzionali. Senza aspettare trent’anni per approvare una nuova riforma. Dal 1989 abbiamo fatto ben tredici riforme costituzionali, correggendo 30 articoli e abrogandone 5. Si può continuare sulla strada dei piccoli o grandi aggiustamenti, ma uno per volta.
Se dalle previsioni passiamo agli auspici si può sperare che, in caso di vittoria del no, non vi sia una lunga crisi di Governo, che si possa veder approvata dal Parlamento una nuova legge elettorale entro la primavera, che si voti con un quadro politico più stabile e più portato alla collaborazione, che chiunque vinca le prossime elezioni possa ricercare ampie convergenze sul programma di Governo, con la ripresa del cammino riformatore. Anche i grillini, che hanno sempre detto di voler andare da soli, potrebbero dare il proprio apporto.
Il 4 dicembre comunque non si vota solo in Italia. Occhi puntati anche sul ballottaggio delle elezioni presidenziali in Austria. Una vittoria della destra populista e antieuropea potrebbero avere imprevedibili ripercussioni politiche a catena in questo nostro Vecchio continente.
You must be logged in to post a comment Login