La storia delle quattordicenne inglese che ha ottenuto di essere ibernata al momento della morte è diventata una notizia scioccante, sebbene sia stata preceduta in questo da almeno altre 376 persone. Riguardando su internet notizie simili, forse quella ancora più scioccante, ma che non ha avuto lo stesso rilievo, risalirebbe al febbraio scorso: l’annuncio dello scongelamento, dopo crioconservazione, di un cervello di coniglio senza che siano stati constatati danni rilevanti. Ovviamente non significa ritorno alla vita come se niente fosse, ma induce a prendere sul serio l’ipotesi scientifica di dare ad un cervello sano la possibilità di trasferimento da un corpo malato ad uno sano, in un lontano futuro. Ridiamoci sopra, pensando a Frankenstein Junior, ma sappiamo che quella di conservare il cervello è l’opzione che le società di “crioconservazione umana” offrono come alternativa low cost a quella di conservare l’intero corpo. Non so dirvi quale sia l’ipotesi meno fantascientifica.
Non voglio addentrarmi in un ginepraio scientifico: uno sguardo ai commenti, anche di autorevoli scienziati mi convince dell’impossibilità di arrivare a conclusioni definitive: quante volte avremmo giurato sull’impossibilità di un risultato tecnico-scientifico per essere smentiti dai fatti dopo poco tempo. Non mi pongo nemmeno il problema morale: non sapendo definire se non con un’approssimazione più legalistica che fisiologica in che cosa consista l’evento della morte, questo intervento, volto a procrastinare nel tempo la sua irreversibilità, potrebbe configurarsi come un accanimento terapeutico estremo. Lascio volentieri al filosofo morale una possibile definizione e alla misericordia divina affido tutti coloro che si cimentano in commenti pseudoscientifici o moralistici sui vari blog: vi ho trovato solo sogno, illusione, banalità, sarcasmo a buon mercato.
Ma non posso trascurare il fatto che la nostra cultura ha lungamente coltivato l’idea di sfuggire alla morte. Il tema dell’immortalità è declinato secondo il codice della fede cristiana come risurrezione integrale in anima e corpo o come immortalità dell’anima, soluzione dell’infelice dualismo di idea e materia secondo quello della filosofia platonica. Ma fede e filosofia non toccano il nostro argomento
Dalla mitologia alle favole, da Orfeo ed Euridice alle Metamorfosi di Ovidio, alle versioni letterarie o cinematografiche (ricordo bene Il settimo sigillo di Bergman) sono innumerevoli i racconti in cui si declina il tema di come l’astuzia umana si misura nel tentativo di ingannare la Morte, quella personificata, quella col mantello nero e la falce, quella delle danze macabre dove porta con sé papi e imperatori, ricchi e poveri, vergini e prostitute. Ma l’inganno non ottiene che una breve dilazione, quasi sempre giusto il tempo per compiere una buona azione.
La ragazzina inglese, invece, credo abbia sperato soltanto di ‘risvegliarsi’ in un mondo forse migliore, capace di curare meglio la sua malattia, al punto di passare dall’imminenza della morte biologica a una possibile guarigione: sogno arditissimo, probabilmente irrealizzabile, ma perché non cercare di capire la speranza di vita di una ragazzina di 14 anni? Sinceramente questa speranza mi commuove, anche se condivido la posizione del padre che avrebbe voluto per la figlia una sepoltura dignitosa, piuttosto che abbandonarsi all’illusione che forse qualcuno, tra diverse decine di anni, quando gli stessi genitori non sarebbero in vita, potrebbe prendersi cura della loro figlia e della sua malattia terminale.
Ma la differenza di opinione tra padre e madre è finita davanti ad un tribunale che ha sancito la legittimità della richiesta della madre, avanzata certo nell’interesse della figlia, di tentare la via dell’ibernazione. Questo fatto mi racconta che un’ Alta Corte sancisce che la ‘fede’ nella scienza, anche quando non suffragata da prove concrete, è legittima e merita di essere tutelata e che ogni domanda del desiderio merita di essere ascoltata, anche in presenza di forti controindicazioni legali e forse morali. Ne prendo atto con stupore ma senza scandalizzarmi, perché non è la prima volta che una giurisprudenza, tanto più spesso proveniente da Stati il cui sistema giuridico sia di common law e non di codice, innova drasticamente introducendo concetti veramente inauditi.
Il mio stupore si focalizza sull’incomprensione della natura propria della morte come tale, che non è semplicemente l’interruzione di una storia, che possa essere riallacciata in un futuro, come il seguito di una fiction seriale. Forse sarà opportuno tenere in serbo lo scandalo per quando qualche legge in qualche paese ‘civile’ sancirà l’ottenibilità della crioconservazione di un corpo o di un cervello (definitivamente accertato come sede della personalità, ciò che una volta si chiamava anima), naturalmente a cura e spese del Servizio sanitario Nazionale. Già non è così per la crioconservazione degli embrioni? Se dell’inizio della vita si è persa la natura di dono in fondo misterioso, perché dovrebbe essere diverso per la morte? La perdita simmetrica del senso misterioso della vita e della morte non ha solo l’effetto di anestetizzare la vicinanza della morte, ma stravolge il senso della vita.
Se invece ripenso agli episodi evangelici di risurrezioni, noto che mentre la risurrezione del Cristo è l’anticipazione unica ed irripetibile nel tempo di quella che sarà la risurrezione definitiva dell’ultimo giorno, tutte le altre persone da lui miracolosamente risuscitate, Lazzaro compreso, hanno poi conosciuto la morte. Si tratterebbe soltanto di una dilazione dell’evento-morte nel tempo, come nel caso della nostra ragazza, non della vittoria sulla stessa che, lo ricorda l’Apocalisse, sarà l’ultimo nemico ad essere vinto.
Ne concluderei che lo sforzo dell’uomo colto di oggi non dovrebbe essere quello di tentare di ingannare la morte, ma di comprenderla, nel senso letterale di inserirla in se stesso, nella propria ‘vita’. Propongo di riflettere su di uno ‘strano’ episodio del Vangelo di Giovanni. Nel cap. 21 è raccontato l’epilogo, con l’ultima manifestazione del Risorto ai discepoli in Galilea e con l’episodio famosissimo del Si’ di Pietro, che però, dopo il terzo ‘sai che ti voglio bene?, continua così: “Gli rispose Gesù: ‘Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi.’ Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: ‘Seguimi’. Pietro, allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: ‘Signore, chi è che ti tradisce?’. Pietro, dunque, vedutolo, disse a Gesù. ‘Signore, e lui?’. Gesù gli rispose: ‘Se io voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi’ Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: ‘Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?’ Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera”.
Chi è quel discepolo? La lettura normale lo identifica con Giovanni, ma mi sento in dovere di rendervi conto di una diversa interpretazione, di origine protestante ma ugualmente autorevole e in un certo senso suggestiva: secondo il grande esegeta e teologo protestante Oscar Cullmann potrebbe trattarsi di Lazzaro, che risuscitato una volta dalla morte, sarebbe stato destinato ad una vita che sarebbe durata fino al ritorno di Cristo. Cullmann in verità avanza l’ipotesi anche per identificare in Lazzaro l’autore del quarto Vangelo, ma finisce per rifiutarla e presenta questo dialogo come prova che la concezione dei primi discepoli non si era orientata verso la tendenza della cosiddetta ‘escatologia realizzata’ che vedeva come imminente la fine della storia realizzata nel ritorno di Cristo. Anzi, aggiungerei che la precisazione finale dell’autore del Vangelo ha una pretesa di realismo che la fa assomigliare più ad un verbale di polizia che ad un inizio di mitizzazione.
L’ultima parola è dunque: ‘Seguimi’. Seguimi nell’esperienza della fede, seguimi nell’esperienza della morte terrena e corporale, seguimi nella speranza certa della risurrezione alla fine del tempo e abbandona la presunzione di una salvezza terrena e materiale. Questa tentazione è non soltanto dei nostri tempi, ma oggi appare credibile la possibilità scientifico-tecnica di cambiare il destino dell’uomo, di sostituire un’antropologia della potenza a quella della finitezza creaturale rivendicata dal Vangelo. Non molto tempo dopo l’episodio evangelico, gli Atti( 8, 9-25) narrano un episodio curioso: un personaggio storicamente accertato, tale Simone, noto in Samaria come Mago per i prodigi strabilianti che operava, avendo visto le guarigioni miracolose compiute dall’apostolo Filippo, “credette, fu battezzato e non si staccava più da Filippo.’ Ma in seguito ‘Simone, vedendo che lo Spirito Santo veniva conferito con l’imposizione delle mani degli Apostoli, offrì loro del denaro, dicendo. ’Date anche a me questo potere” pensando evidentemente di usarlo sia per guarire, sia per trarne profitto. Sappiamo come rispose Pietro: “Il tuo denaro vada con te in perdizione … e prega il Signore che ti sia perdonato questo tuo pensiero …” Meno nota è la risposta di Simon Mago: ‘Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto’.
Dunque la tentazione di inseguire il cambiamento della natura dell’uomo, di trascendere con un mezzo materiale la sua finitezza, non è di adesso e non si esprime solamente nei miti del potere, del progresso, del denaro, della felicità terrena, della piena realizzazione di un certo tipo di perfezione sociale, in sintesi nella dittatura del desiderio.
Il culmine di questa tentazione è mettere l’Uomo al posto di Dio e il divino sul banco degli accusati. Non continuiamo a sentire, anche dagli intellettuali, domande come: perché Dio permette la sofferenza dei bambini, perché manda i terremoti e gli uragani, perché ha fatto l’uomo, (pardon certi uomini, i miei nemici), cosi cattivo? E via discorrendo. È dunque una tentazione antichissima e ricorrente, la cui origine, cercavo di documentarlo la volta scorsa parlando della ‘stranissima coppia’ e dell’uso ‘profano’ fatto dell’unione civile (paramatrimoniale) a sensi della legge Cirinnà, si nasconde nella riduzione del sacro a ‘super-naturale’, (ovviamente non nel senso teologico di soprannaturale).
Quando l’ Uomo si concepisce come autoreferenziale aspira in ogni epoca al dominio sulla natura e quindi al raggiungimento di uno stato di superiorità sulla realtà. Ma questo non è né religione né scienza. Già Cicerone, nel ‘De natura deorum’ lo aveva ben identificato come desiderio di sopravvivere nei discendenti e di assicurare la loro sopravvivenza, quasi voler essere superstiti a se stessi; giustamente aveva distinto questa inclinazione dalla religione e l’aveva chiamata: superstizione. Poco importa che si attui questo tentativo con tecnica e scienza piuttosto che con pozioni, elisir, formule magiche, scongiuri o idolatria. Poco importa che lo comandi la sentenza di un’Alta Corte o lo offra, con o senza lucro, una multinazionale della tecnica.
Così non s’inganna la morte, ma la vita.
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