Una cinquantina di opere destinate all’ammirazione e al culto dei fedeli nelle loro sedi di destinazione accoglie il visitatore della rassegna “Legni preziosi. Sculture, busti, reliquiari e tabernacoli dal Medioevo al Settecento”, in essere alla Züst di Rancate, che risponde all’obiettivo perseguito dalla Pinacoteca di ricerca sul territorio e rigoroso studio scientifico.
Gli sfondi nero fumo di Londra mettono in risalto le opere policrome, collocate su supporti realizzati con materiale di cantiere dipinti di azzurro o di rosa, sospese in un tempo e in uno spazio indefinibili: quello dell’esperienza religiosa.
L’allestimento della rassegna è stato curato da Mario Botta: le opere esposte sono collocate su strutture lineari, dipinte di rosa o di azzurro, ricavate da materiale cantieristico, mentre il monocromatismo dello sfondo grigio scuro fa risaltare il vivace cromatismo delle opere stesse. Botta ritiene che le sculture nell’esposizione perdono, private del loro contesto la funzione di dialogo con il fedele che deve essere ‘ricreato’ facendo in modo che le strutture di appoggio ricordassero gli spazi sacri: nicchie, altari, battisteri, cappelle.
La scelta delle opere, una serie di sculture in legno eseguite tra il XII e il XVIII secolo, esposte dopo essere state oggetto di una revisione, e talvolta anche di restauro, eseguiti in collaborazione con l’Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino, è stata fatta tenendo conto delle possibilità di trasferimento delle opere- ne mancano alcune, presenti in catalogo, perché sono inamovibili.
Chiara la volontà di indagare a livello storico-artistico un arco temporale in cui la produzione lignea a soggetto religioso era destinata solo a luoghi di culto ed era considerata, secondo un giudizio perpetuatosi fino a pochi anni fa, una forma d’arte ‘minore’; i trattati Cinquecenteschi avevano differenziato le opere i base ai materiali: realizzate in marmo o in bronzo, erano di pregio ed opere di artista, mentre quelle scolpite in legno erano di scarso valore intrinseco, opera di intagliatori, posti su uno scalino appena più su dell’artigiano.
L’utilizzo di un materiale ‘povero’ come il legno, economico, facilmente reperibile e altrettanto facilmente deperibile, e la scelta dei soggetti, tutti appartenenti al mondo della religione, che dopo il Cinquecento, per motivi storico-politici, avrebbero ceduto il passo ad altri soggetti da rappresentare, aveva fatto sì che l’arte lignea fosse definita ‘arte popolare’.
La mostra ha voluto porre rimedio a una visione superata; le Madonne, i Crocifissi, i reliquiari i tabernacoli, i busti, provengono tutti da luoghi di culto o legati al culto, da Chiese, oratori, archivi e musei parrocchiali – una sola opera viene segnalata come appartenente ad una collezione privata e sono opere di pregio, di livello spesso altissimo nella elaborazione formale, realizzate da artisti attivi a Milano e nelle altre città dell’attuale Lombardia, – il Ticino appartenne sino al 1513 al Ducato di Milano – nel Piemonte, in Liguria, in Romagna.
Nel saggio che apre il catalogo, Edoardo Villata docente all’Università cattolica di Milano, uno dei maggiori esperti dell’argomento, scrive: “se gli studi in Piemonte e Lombardia sono giunti a un livello di maturità, nell’area ticinese la ‘scarsità di appigli offerti dalla bibliografia specifica esistente”, ha imposto di “inseguire i fili di una bibliografia locale dispersa non di rado su sedi minime, ricca magari di dati importanti”; c’erano solo approfondimenti marginali e la storia della scultura lignea in Canton Ticino dal XII secolo al XVIII secolo merita di essere approfondita e la ricerca che è alla base dell’esposizione rancatese ha colmato in parte questa lacuna. I suoi studi hanno portato alla collocazione temporale, alla identificazione o all’attribuzione della paternità di alcune opere, permettendo di ampliare così la conoscenza di questo ramo della storia dell’arte ticinese.
La mostra si dipana seguendo un ordine cronologico: nella sala a pianterreno sono collocate opere di epoca medioevale, provenienti da chiese locali.
L’opera esposta più antica è la Madonna con bambino, custodita nella chiesa di Arogno, datata XII –XIII secolo intagliata in un unico tronco, assisa in trono con un piccolo Gesù che pare proteggere con le tozze mani, hanno tratti schematici i drappeggi degli abiti, il colore rosso domina assieme all’azzurro e all’oro; analoga è la scelta cromatica per la Madonna di Ascona, presumibilmente del XIII secolo, più morbida nell’impostazione ma altrettanto ieratica.
Collocato tra Medioevo e Rinascimento è l’elegante San Giorgio e il drago conservato nella chiesa omonima di Losone, di fattura tardo gotica, della policromia originaria resta solo un ‘pallido e sbiadito’ riflesso.
Ci sono molte opere inedite o mai esposte prima, come la ‘Madonna di Loreto’ conservata a Bellinzona, assisa col Bambino Gesù su di una casetta con campanile, che testimonia il culto alla Vergine già nel XV secolo, o il Crocifisso di Locarno di notevoli dimensioni, in cui il Cristo è oggetto di accurata resa anatomica.
Piccola ma importante è la sezione dedicata alle opere ‘todische’: dopo la Riforma molte opere presenti nelle chiese erano a rischio iconoclastia perciò venivano rimosse e vendute nelle aree rimaste fedeli alla Chiesa romana. Le nuove prescrizioni liturgiche ad opera di Carlo Borromeo che costituì la Confraternita intitolata alla Madonna del Rosario, determineranno nel XVI secolo il cambiamento dell’iconografia: molte le versioni di Madonna del Rosario o del Carmine o della Cintura.
La pregevole ‘Madonna del Carmine’ conservata ad Agno, datata 1663, è resa con particolare eleganza; la bella Madonna del Rosario di Mendrisio contempla con tenero sguardo il Bambino che ha in braccio. Della raffinata Madonna Immacolata di Ponte Tresa, dai voluminosi capelli inanellati e dalle vesti dai morbidi panneggi che ha come piedistallo un serpente alato, è stato individuato con certezza l’autore, Antonio Pino, uno dei massimi scultori dell’area insubrica.
La Madonna del Carmine di San Biagio a Ravecchia dal volto dolce ha una ricca veste dorata svolazzante che denota il gusto settecentesco.
La rassegna si completa con un’opera di elevato virtuosismo nel lavoro del legno: il ‘Beato Angelo Porro’ di Mendrisio, di un impressionante iperrealismo, che rappresenta la tipologia delle ‘statue vestite’ in cui solo le parti destinate a essere viste, solitamente la testa, le mani e talvolta i piedi, venivano modellate con cura mentre il resto veniva ricoperto da abiti veri.
Gli studi di Edoardo Villata e dell’equipe che ha attivamente collaborato con lui, Lara Calderari, Laura Damiani Cabrini, Matteo Facchi, Claudia Gaggetta, Anastasia Gilardi, don Claudio Premoli, Federica Siddi, sono confluiti nel ricco preciso e puntuale catalogo della casa editrice ‘ Silvana Editoriale’, interamente illustrato, che accompagna l’esposizione.
Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate (Mendrisio), Cantone Ticino, Svizzera A cura di: Edoardo Villata Coordinamento scientifico e organizzativo: Mariangela Agliati Ruggia, Alessandra Brambilla e Daphne Piras Catalogo: Silvana Editoriale 16 ottobre 2016 – 22 gennaio 2017 Da martedì a venerdì: 9-12 / 14-18 Sabato, domenica e festivi: 10-12 / 14-18 Chiuso: il lunedì; 24, 25 e 31/12 Aperto: 1/11; 8, 26/12; 1, 6/01
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