Per iniziativa del Centro culturale di Roma ho avuto modo di moderare una tavola rotonda sull’ormai prossimo referendum al teatro Don Orione di Roma. Erano presenti il presidente emerito della Camera Luciano Violante e il professore ordinario di diritto costituzionale Stelio Mangiameli. Qui di seguito il testo della mia introduzione, augurandomi possa essere un ulteriore contributo al dibattito.
“C’è una mattina che ci attende, quella di lunedì 5 dicembre, particolarmente impegnativa: quando dopo quasi otto mesi di campagna elettorale ci sveglieremo, e sapremo se la riforma della Costituzione posta a referendum sarà stata approvata oppure no.
Mesi di dibattito intenso, personalizzato spesso acrimonioso. Mesi passati in un clima più da stadio che da civile confronto. Scontro tra partiti e pezzi di partiti. Con l’unico scopo di abbattere l’avversario.
Questo ha generato una grande e, se mi permettete il termine, irresponsabile, confusione tra la gente: nella vicenda della riforma costituzionale un comune cittadino (penso anche ai giovani che per la prima volta andranno a votare) avverte enormi difficoltà. Percepisce l’impressione di essere di fronte alla possibilità di un grande cambiamento ma nello stesso tempo è intimidito dalla complessità della materia tecnica (non tutti siamo chiamati a essere giuristi!) e dal clima di esasperata faziosità.
Di questo si sono accorti molti attenti osservatori. Scrive per esempio il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana: “Un voto su di una riforma con aspetti positivi ma anche soluzioni pasticciate si è trasformato in una guerra di religione. Il merito è svanito in nome della battaglia per abbattere il nemico”. E Marco Ciancia aggiunge pochi giorni dopo: “Un vociare insolente. Sì sì, no, no. Voi progettate una dittatura. Voi non volete cambiare nulla. Avventurieri! Passatisti! Un dibattito assordante”.
Eppure all’inizio non fu così. Anche se in un clima ben più difficile (pensiamo al dramma della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale) e certo non in un contesto da educande, il dibattito che portò dal ‘46 al ‘47 alla nostra Costituzione permise comunque alle tre grandi culture allora presenti nel Paese, quella liberale, quella socialcomunista e quella cattolica, di incontrarsi su quelle grandi linee che Giorgio La Pira definì casa comune. Incontro, badate bene, che non si svolse con la coscienza di avere risolto tutto e stilato una sorta di dieci comandamenti. Ma di avere iniziato un cammino. Questo nei padri costituenti da Dossetti a Calamandrei era ben presente. Meuccio Ruini, per esempio presidente della commissione che redasse materialmente il testo scrive: “Abbiamo avviato un percorso che richiede mediata riflessione ma che non si cristallizza in una statica immobilità. La Costituzione sarà gradualmente perfezionata. Noi e i nostri figli (quindi noi) rimedieremo alle lacune e agli inevitabili difetti”.
C’è allora da chiedersi: esiste ancora oggi nel nostro Paese una casa comune?
Domanda ancora più urgente in un clima generale travagliato dove si paventa lo spettro di una nuova crisi economica, dove tante persone sono colpite nel lavoro (e arrabbiate verso la politica), dove per citare papa Francesco: “Non siamo di fronte a un’epoca di cambiamenti ma ad un cambiamento d’epoca”.
Il presidente Sergio Mattarella, durante le celebrazioni per i settant’anni della nostra Repubblica, ha detto che: “Le grandi sfide d’oggi si possono affrontare e governare soltanto ricercando politiche comuni e impegni condivisi” e poco dopo, intervenendo al Meeting di Rimini, ha aggiunto: “Abbiamo bisogno di rinnovato entusiasmo, fraternità, curiosità per l’altro, senza farci vincere dalle paure”. Non a caso un recente volantino di Comunione e liberazione sul tema ha come titolo: “Recuperare il senso del vivere insieme”.
Veniamo così al dibattito. L’appuntamento del 4 dicembre non è un giudizio universale, ma nemmeno una scelta banale. Siamo consapevoli che attraverso il voto e ancor prima attraverso la ricchezza degli incontri che sapremo promuovere, ciascuno potrà dare il proprio contributo per il bene del nostro Paese. Non abbiamo voluto aggiungere l’ennesimo faccia a faccia ai tanti che si stanno svolgendo in queste settimane. Non ci interessa che scorra il sangue tra il sì e il no. E nemmeno suggerire una certa soluzione.
Quello che vorremmo portare a casa invece è offrire dei criteri, perché ognuno possa decidere. Vi sono infatti nella riforma spunti interessanti, come una rinnovata centralità del Parlamento, ma anche punti non chiari come il ruolo che avrà il Senato. Lo sforzo di fare chiarezza nel rapporto tra Stato e Regioni ma anche i rischi di un nuovo accentramento. Un momento di lavoro quindi non uno show.
Un io in azione: questo è l’obiettivo che ci poniamo. Se dopo l’ora e mezzo di dibattito in qualcuno sarà scattata la voglia di mettersi ancora più in movimento, potremo ritenerci soddisfatti.
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