L’intitolazione, sul colle del Gianicolo a Roma, di un cippo marmoreo alla memoria di tre giovani varesini caduti eroicamente nella difesa degli ideali del Risorgimento e della unità nazionale, assume un valore che va oltre la riconoscenza memoriale e la rievocazione celebrativa. Francesco Daverio, Emilio Morosini, Enrico Dandolo, nomi presenti nella familiarità toponomastica cittadina, sono ora impressi in forma definitiva anche nel museo a cielo aperto del colle romano, che conserva il valore della lotta risorgimentale per la libertà dagli stranieri e la costruzione dello stato unitario.
Giovedì scorso, in occasione della data rievocativa della nascita della repubblica Romana, è stato dedicato un solenne momento proprio ai tre giovani che da Varese, nel 1849, sono andati a combattere e a morire eroicamente nella capitale per difendere quegli ideali patriottici che già avevano animato, in tutto il territorio della nostra penisola, i moti dal ’20 fino al ’48 e che hanno segnato i due decenni successivi, fino al completamento dell’unità italiana e alla intitolazione di Roma capitale.
Il Comitato “Varese per l’Italia”, presieduto da Luigi Barion, si è fatto promotore della collocazione di un leggio in marmo lungo il percorso che, sul Gianicolo, dal sacrario che onora i morti nelle imprese garibaldine porta fino alla statua equestre dell’ “eroe dei due mondi”. Una dedica, ideata dalla ex senatrice Maria Pellegatta, fissa sulla pietra e nella memoria le parole “patria”, “libertà” e “unità”, quegli ideali che sono stati ragione di vita per tante donne e uomini, giovani e adulti che in molti luoghi della penisola hanno voluto e costruito quell’unico stato che, nella storia a seguire, altre donne, uomini e giovani hanno poi continuato a difendere, anche a costo della vita, in nome di una nuova “liberazione”, ancora una volta desiderio e occasione di pace, uguaglianza e democrazia.
“Dobbiamo essere riconoscenti e continuare a ricordare che la libertà di Roma è frutto del sangue anche di tanti volontari che sono giunti da ogni parte d’Italia per liberare la nostra città, come i tre giovani varesini” ha detto l’assessore Gasperini, in rappresentanza del primo cittadino di Roma, nel corso della cerimonia alla quale erano presenti, attorno ad Anita Garibaldi pronipote del generale, Attilio Fontana e chi firma questo articolo che hanno portato rispettivamente il saluto della città e della provincia di Varese, il vicesindaco Carlo Baroni, autorità civili e militari, la Dirigente e una rappresentanza dell’istituto varesino intitolato a Francesco Daverio e diversi concittadini.
Onorare l’eroismo di tre giovani è diventato occasione per riflettere sul valore dell’appartenenza e della condivisione. Appartenere ad una terra significa difenderne gli ideali più grandi, quelli capaci di abbracciare tutti senza distinzioni di sorta, quelli in grado di superare ogni limite e differenza, quelli capaci di unire e fare guardare in alto, verso i valori grazie ai quali ogni uomo e donna possa riconoscersi affratellato e mai diverso. Condividere significa avere a cuore, prima della propria sorte individuale, quella della comunità della quale si è parte. La storia infatti, dice De Gregori, “siamo noi che scriviamo le lettere… siamo noi, bella ciao, che partiamo… la storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano”. Eroi di ieri e parole di oggi raccontano dunque gli stessi valori di partecipazione attiva, consapevole, appassionata. Perché in fondo “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso”.
nelle foto: momenti della cerimonia del 9 febbraio a Roma (foto di Davide Colombo)
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