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Società

LA BONTÀ CHE RESTA

GIANNI SPARTA' - 18/11/2016

circoloLi abbiamo fatti cantare: medici, infermieri, impiegati amministrativi, persino il dg Callisto Bravi che, come Toscanini, durante la registrazione accennava gesti da direttore d’orchestra, la sua vocazione segreta. Tutti in coro. Ritornello: prenditi cura di chi ti cura, metti in circolo la bontà. Poi le voci soliste di Laura Bono, cantante, Silvio Scarpolini, tenore, Noemi Cantele, campionessa di ciclismo, Aldo Ossola, lui sì Von Karajan della grande Ignis, Marco Caccianiga, il Pelè bianco dello sport di Varese.

È nato così, all’insegna del tempo donato, un videoclip che promuove la fondazione Il Circolo della Bontà la cui missione è sostenere da posizione terza gli ospedali del territorio, resuscitando la cultura del lascito, incoraggiando i donatori di cuore. Non nel senso letterale, ovviamente.

 Scriveva Umberto Veronesi nel 2009 che l’ uomo è geneticamente predestinato alla bontà e lo dimostrava con precisi riferimenti scientifici e filosofici. Questo ci fa sentire felici di avere intitolato alla bontà, valore che tutti comprendono, la nostra fondazione che in questi giorni compie cinque anni e che non si “prende cura” di una nicchia sanitaria nella grande galassia della responsabilità sociale, ma di un’intera azienda con i suoi sei ospedali: Varese, Luino, Cittiglio, Cuasso, Tradate.

Bontà cioè empatia, altruismo, generosità. E ancora predisposizione a fare due cose: migliorare la qualità del tempo trascorso dai pazienti e dai loro cari nei nostri ospedali; offrire ciò che la sanità pubblica non ha l’obbligo di mettere a disposizione, ma se lo si trova in una camera di degenza, in un ambulatorio davvero non disturba. Anzi.

Il jingle sceneggiato in cinque versioni da Enzo Giuliani e Cristiano Corvino, due dipendenti del Circolo, è subito diventato virale sui social e sui media. Quello che volevamo. Orecchiabile, semplice (musica di Luca Fraula, parole di Alex Gasparotto, accompagnamento alla chitarra di Roberta Raschellà, direzione artistica di Elisa Saporiti nello studio di incisione di Mirko Carchen a Sumirago), la canzoncina resta nella mente e nel cuore.

Che cosa abbiamo fatto in cinque anni? Libri in camera gestiti da nostre biblioteche interne, 500 televisori nelle degenze di Varese, Cittiglio e Luino, nei reparti per la dialisi e per i subacuti, negli spazi comuni; wi-fi gratuito non solo nel monoblocco, anche nell’Hospice e nei Day hospital di Oncologia ed Ematologia, presto nella divisione Infettivi; servizio accoglienza delegato alle straordinarie volontarie dell’Avo e di altre associazioni; sedie a rotelle per trasporti anche all’esterno. Si prendono agli ingressi come i carrelli della spesa nei supermercati.

Una parola per questi ultimi servizi: persone riconoscibili dalle pettorine gialle ogni mattina dalle 7 alle 11 incontrano, sorridono, informano, accompagnano centinaia di pazienti in ospedale per visite ed esami. Ne siamo sinceramente fieri.

Come abbiamo fatto queste cose? Grazie a benefattori che ci hanno fornito le risorse iniziali (ricordo la Fondazione Babini Cattaneo, la famiglia di Giovanni Valcavi, Ginetta Bianchi, Piero Macchi, il Cral aziendale, il Rotary Varese del gruppo Seprio). Poi con donazioni successive e con quelle che ci auguriamo di spronare attraverso la comunicazione affidata a Isabella Aliverti con la preziosa collaborazione volontaria di Francesca Mauri, capo ufficio stampa dell’Asst Sette Laghi.

Non ci sono soldi, si dice, non è più come una volta. Non è vero in generale: una ricerca di Fondazione Cariplo dice che nel 2020 in Italia ci saranno 105 miliardi di euro, tra beni mobili e immobili, che resteranno senza eredi. È il tesoro della solitudine.

Se una piccola parte di questo patrimonio immenso sarà devoluto a favore della sanità attraverso fondazioni generaliste come la nostra, se tornerà attuale il mix tra pubblico e privato che ha fatto grandi i nostri ospedali nei primi anni del Novecento, avremo vinto la sfida. A beneficio della salute di tutti, il bene supremo.

Vi lascio con sogno ricorrente, ringraziando per l’ospitalità Rmf on line. Vorrei che nel 2070 qualcuno raccontasse la storia di cui vi stiamo parlando. Costui avrà di fronte ospedali piccoli, perché nel frattempo la scienza avrà debellato tante malattie e l’ospedalizzazione domiciliare non sarà più l’eccezione, ma la regola. Costui approfondirà la sua ricerca scoprendo l’avventura del Circolo della Bontà e dirà: “Però, mica stupidi i nostri antenati”. Hanno visto giusto, hanno applicato la regola di Cicerone: non si vive solo per noi stessi. Pace all’anima loro. Sono stati bravi.

Gianni Spartà
Presidente della Fondazione Il Circolo della Bontà
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