Giovanni il Battezzatore, in posizione sopraelevata, è in ombra: una pelle d’animale gli avvolge il torso scarnito dai digiuni, la chioma prorompente, la barba ispida e lunga: così è intensa e viva nei miei occhi la figura del Battista come Giovanni Bellini la raffigurò in una delle sue ultime pale d’altare custodita in Santa Corona della mia città natale. Cristo è al centro, su di lui Giovanni versa l’acqua da una ciotola e allineati verticalmente su di lui la colomba e il Padre. La scena è immersa in uno scenario montano dalle cime azzurre che si profilano all’orizzonte e dalle nuvole rese luminose dalla calda luce del tramonto. Il Giambellino veste i cherubini e i personaggi che assistono all’evento con vesti sontuose, tipiche dello sfarzo veneziano del ‘500.
Da quando, giovane studente accompagnato dal mio professore di storia dell’arte, contemplai per la prima volta quel capolavoro e ne scoprii i dettagli più nascosti – i ciottoli sul fondo del Giordano, le gocce che scendono dalla ciotola, le foglie degli alberi, i merli delle torri, i ciuffi d’erba, il divertente pappagallo – pensai che non fosse quello il paesaggio reale che attorniava il Messia e il suo precursore. Mi piaceva immaginare, immedesimarmi, figurarmi – come per un gioco di fantasia – la voce e l’immagine di Giovanni che battezza con l’acqua di un fiume piccolo, incostante, torbido e giallastro, che lambisce i rami dei salici – come potei constatare realmente in anni successivi – fiume avvolto nell’aria torrida e appiccicaticcia, mentre folle radunate attorno a Giovanni attendevano di essere battezzate nell’acqua.
Matteo, nel brano di Vangelo che sarà proclamato nella seconda domenica d’Avvento, si diletta a precisare, specificandolo con dettagli precisi, il tempo in cui Giovanni Battista incominciò a predicare il battesimo di conversione.
Tra il fatto narrato dall’evangelista e la pala del Bellini sono trascorsi più di millecinquecento anni. Il Vangelo, infatti, si dipana nei secoli tra un intreccio di bene e di male, tra luci e tenebre, tra bellezza e squallore, tra felicità e dolore. Il Vangelo è inserito nel tempo, nella storia anche d’oggi. Siamo noi cristiani tentati a volte di rifiutare il tempo, di rifugiarci nel disimpegno, di vivere estraniati da esso credendo così di scappare dalle sue frustrazioni o di viverle freneticamente inventando stratagemmi per “risparmiare tempo”.
Sembra che i cristiani non si interessino più né del tempo né del mondo. Al contrario, Giovanni Battista, nell’aria arsa del Giordano, citando Isaia, leva stentorea la sua voce per annunciare giustizia e salvezza e invita a preparare la strada al Messia che sta per venire, stabilendo così un ponte tra il tempo e la venuta del Signore.
Giovanni gridava nel deserto. Dove oggi alzerebbe la sua voce? Forse nel deserto delle nostre città dove abbiamo scelto di vivere, lacerando la dimensione dello spirito, beffeggiando la giustizia. Forse nei templi del consumismo, i supermercati, dove il frastuono assordante di mille voci smorza il silenzio dell’animo. Forse nella nostra stessa casa, fonte di affetti, dove il focolare è stato sostituito dal televisore e l’uscio è ben serrato.
È nel deserto che Giovanni invita chi ha due tuniche a darne una a chi non la possiede, è nel deserto che invita chi deve riscuotere le tasse a non esigere più di quanto è stato fissato, è nel deserto che invita i soldati a “non estorcere niente a nessuno”. Eppure le folle lo seguono perchè il suo messaggio è atteso dai suoi contemporanei ai quali preannuncia la venuta di Colui “a cui non è degno di slegare i lacci dei sandali”.
“Oggi in mezzo a noi c’è sempre una caterva di incantatori che mutano e scambiano le cose, trasformandole a loro piacimento, secondo che ci vogliono favorire o annientare” ha lasciato scritto Cervantes. Sono i falsi profeti che hanno bisogno di piazze traboccanti, di folle osannanti per cercare il consenso, hanno bisogno dello spettacolo per trovare il sostegno e il popolo diventa in tal modo strumento di manovre infallibili. La parola degli imbonitori non inquieta le impassibili coscienze dei molti che servono tutti i padroni e che si credono liberi e consapevoli perchè deridono i profeti. Lo strillone non mette in dubbio le scelte da lui dettate e non ricercate dai più con animo libero. Predica il futuro, l’ignoto, nutre certezze, ma non sicurezze sul quotidiano, scommette sul cambiamento.
L’angoscia delle nazioni, la paura degli uomini, le potenze più salde crollate, le democrazie atrofizzare sono sotto gli occhi di tutti. Sembra che tutto sia compromesso e perso. Perchè? Perchè i cristiani lavorano senza Lui e chi non crede s’affanna per ricostruire un ordine mondiale che porterà di nuovo i segni caduchi degli interessi di pochi e dei loro limiti.
Mai come oggi il mondo ha bisogno di profeti autentici – come papa Francesco – che ci invita “ a uscire dalla casella delle “politiche sociali”…concepite come una politica verso i poveri, mai con i poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli”.
Sono i veri profeti che fanno sprizzare scintille divine dalle pietre, “che irrompono per le porte della notte con la loro voce, che incide ferite, cercando un orecchio come patria, un orecchio non ostruito da ortiche” (premio Nobel Nelly Sachs). Il profeta anche oggi grida verità e giustizia nel nostro mondo caliginoso, talvolta provoca strazi nelle coscienze purchè lo si ascolti.
Padre Davide Maria Turoldo – altro profeta del nostro tempo e di cui il prossimo 22 novembre ricorderemo il centenario della nascita – ci diceva: “La profezia non è un annuncio del futuro, ma la denuncia del presente al confronto della Parola”. Questo tempo di Avvento è tempo di attesa: non di qualcosa, ma di Qualcuno, di Colui che si è fatto Verbo, cioè Parola, per annunciare il Regno del Padre.
You must be logged in to post a comment Login