(C )Ho trovato questa notizia su ‘La Nuova bussola quotidiana’. Ne tralascio i commenti, tranne il minimo necessario per introdurre la nostra consueta discussione.
“ Il Giornale di Vicenza intervista Gianni Bertoncini, 56 anni, noto batterista jazz e l’amico Piero Principe, 70 anni. Prima coppia unita civilmente a Schio. Ma non sono una coppia gay, sono solo due amici che vivono insieme.
Il giornalista Elia Cucovaz attacca così l’intervista: “Bertoncini, la vostra sarà la prima unione omosessuale a Schio…”. «Guardi, la fermo subito – lo interrompe il batterista – Noi non siamo una “coppia” nel senso in cui lo intende lei». E di rimando il giornalista “Scusi?”. «Conviviamo da molti anni – spiega lui – Ci prendiamo cura l’uno dell’altro. Ma siamo… come fratelli». “Fratelli? – chiede giustamente interdetto Cucovaz – Ma sbaglio o allora questo non ha niente a che fare col cosiddetto “matrimonio gay”?”. «No, infatti – ammette Bertoncini – per noi significa più che altro accedere a dei diritti e risolvere dei problemi pratici».
Un insulto alla legge sulle Unioni civili? Un comportamento in frode alla legge? Un uso strumentale di una vittoria del mondo omosessualista? Nulla di tutto questo, bensì un uso correttissimo, seppur molto prosaico, della legge Cirinnà la quale non prevede come condizione per unirsi civilmente che la coppia sia legata da vincoli affettivi omosessuali, bensì solo che la coppia sia formata da due persone dello stesso sesso. Quindi anche due amici in punta di diritto possono unirsi civilmente.
Al comma 1 dell’art. 1 infatti possiamo leggere che “la presente legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso”. Punto. Non si aggiunge altro. Chi sono i soggetti esclusi? I minorenni, gli sposati, i già uniti civili, gli interdetti, gli ascendenti e discendenti in linea retta, i fratelli, zii e nipoti, gli affini, gli adottati e adottanti e chi si è macchiato di omicidio o di tentato omicidio del coniuge o dell’unito civile. Gli eterosessuali non compaiono in questo elenco e quindi possono contrarre unione civile. E non potrebbe essere che così. Includere come criterio per unirsi civilmente anche l’esistenza di un vincolo affettivo di natura omosessuale avrebbe comportato seri problemi giuridici, anzi sarebbe stata una indicazione priva di carattere giuridico.
Infatti chi avrebbe accertato l’esistenza di questo vincolo affettivo? L’ufficiale di stato civile? Un perito di ufficio? La stessa coppia tramite autocertificazione che attestasse: “noi ci vogliamo bene, non come due amici, ma come due amanti”? E poi quali criteri seguire per certificare l’esistenza di tale rapporto omosessuale? La verifica che i due hanno rapporti carnali? La convivenza associata a gesti di intimità o di mera attenzione reciproca, ma un’attenzione non puramente amicale? E poi dato che le unioni civili sono state sostanzialmente parificate al matrimonio e dato che anche nel matrimonio quello che conta per lo Stato è l’assunzione di alcuni doveri specifici – fedeltà, aiuto reciproco, educazione dei figli etc. – non l’esistenza di un vincolo affettivo, perché prevedere criteri differenti per le coppie unite civilmente?
In buona sostanza Gianni e Piero di Schio sono una coppia unita civilmente secondo tutti crismi di legge. Ma qui entriamo nel paradosso. Infatti due amici potranno godere di tutti quei diritti riservati alle coppie coniugate. Non solo l’unione omosessuale è stata omologata al vincolo matrimoniale, ma anche una semplice amicizia può essere considerata “matrimonio”. A rovescio – dato che le equivalenze si possono leggere non solo da sinistra verso destra ma anche da destra verso sinistra – marito e moglie possono essere considerati due amici. C’è chi progredisce e chi regredisce suo malgrado sulla scala evolutiva/involutiva disegnata dal legislatore.
Ma facciamo un passo in più, passo consentito dalla stessa legge Cirinnà. Gianni e Piero si sono uniti civilmente perché amici e perché, come loro ammettono, è conveniente farlo. E se prevalesse la convenienza sull’amicizia? Nulla vieta pensare che due persone dello stesso sesso si potranno unire civilmente solo perché così avranno vantaggi fiscali, sulla casa, sulla cittadinanza, anche agevolazioni in sede processuale penale”.
(S) Che novità! Quante coppie etero si sono sposate magari in chiesa, per vantaggi fiscali, per il denaro di Lui o di Lei, senza pensare all’amore, tanto meno al sesso o ai figli. Certo, l’amore tra omosessuali è il fattore scatenante, ma queste conseguenze collaterali sono del tutto irrilevanti. Aboliresti il matrimonio perché qualcuno ne abusa? O, a rovescio, la Chiesa non accetta il matrimonio cosiddetto di “coscienza”, cioè celebrato come sacramento ma non trascritto allo stato civile, per non far perdere ad uno dei coniugi la pensione di reversibilità? E talvolta non c’è solo questo. Cari tradizionalisti, dovete rassegnarvi: è la legge che crea l’istituzione e quindi modifica la realtà, non viceversa. Almeno da quando lo Stato ha preso coscienza della sua necessaria superiorità sulla società civile, cioè da Hegel e Napoleone in poi. Che grande illusione pensare che legge e coscienza possano, addirittura debbano andare di pari passo.
(O) Il nostro Sebastiano Conformi pone la questione in modo drastico, ma non privo di logica: certi comportamenti possono essere riconosciuti come gli unici giusti o perlomeno preferibili solo in una società tanto permeata di senso del sacro che quanto indicato dalla legge religiosa diventa automaticamente legge civile. Anche per il matrimonio cristiano è capitato così: per secoli, anche dopo Costantino è rimasto un atto privato, determinato dalla coscienza e dalle consuetudini, tanto che fino al Concilio di Trento, non essendo universalmente definite le formalità indispensabili, si ritenevano validi anche i matrimoni ‘clandestini’. Le faccende pratiche erano regolate dalla consuetudine per la gente comune, da un contratto privato per gli abbienti. Lo Stato non c’entrava. Ha cominciato ad occuparsi di legittimità dei matrimoni quando ha voluto ricollocare le relazioni familiari dentro un sistema giuridico di tasse di successione, poi di previdenza, di obblighi di mantenimento, di responsabilità rispetto ai minori. Ed è stato giusto così! In seguito, mutata la natura della società, il fattore sacrale è stato respinto nuovamente nel privato e rimane solamente la legge, che non si occupa minimamente, né mai potrà occuparsi di coscienza senza diventare la più feroce delle dittature orwelliane. Viva la separazione tra coscienza e legge!
(S) E una volta tanto non siete due contro uno, contro di me.
(C) Non so se sono davvero io contro voi due, vorrei che non semplificaste troppo. La legge Cirinnà sbaglia in due punti fondamentali: nel voler riconoscere alle unioni civili diritti pari o molto simili al matrimonio, diritti e doveri che potevano restare oggetto di diritto privato (ma sull’ampiezza di questo riconoscimento si può tranquillamente discutere) e nel consentire una possibilità di procreazione indiretta, artificiale o surrogata, vuoi per raccogliere una domanda sentimentale, ma innaturale nei fatti, di procreazione, vuoi per giustificare con ciò la scalata dell’ultimo ostacolo alla perfetta parità con il matrimonio, l’impossibilità, appunto, di procreare. In un mondo, poi, in cui la procreazione non è più una virtù, ma talvolta un optional e talvolta, in certi luoghi, circostanze e sistemi politico-economici, un delitto, ecco che le differenze sono annullate. Ma io voglio porvi un’altra domanda, partendo da questo innocente fatterello: non dico lo Stato, ma la società civile ha bisogno, ancora oggi, di ancorarsi ad una concezione sacrale della vita, della natura umana e delle relazioni tra uomini e donne di diversa cultura, capacità economica, convinzioni e tradizioni?
(S) Sicuramente no. In linea di principio no. Sono sopravvivenze tollerabili, ma solo in parte, perché la loro eliminazione sarebbe troppo onerosa, in termini di lotta politica, di lotta ai condizionamenti tradizionali. Penso alla resistenza feroce che opporrebbero una gran parte degli islamici, ma pure gli ebrei osservanti, e Dio ci scampi dai fondamentalisti cristiani, pro life, antiabortisti e antieutanasia che Trump infilerà nei gangli strategici degli USA, cominciando dalla Corte Suprema!
(O) Eppure il sacro è un bisogno insopprimibile di ogni uomo. Lo abbiamo visto nei laici più laici, quelli di cui abbiamo assistito alla professione di ateismo fin sul letto di morte e nelle onoranze funebri: il rifiuto di una fede determinata non ha mai coinvolto il riconoscimento di un destino ultimo dell’uomo, magari orientato diversamente da ogni credenza religiosa storicamente data; al fondo rimane una domanda aperta e sempre presente.
(C) Sono d’accordo con la tua affermazione, ma devo notare quanto sia difficile nei giovani rendersene davvero conto. Proprio oggi ho ascoltato sul treno una conversazione di universitari sul tema della fede e del sacro in generale. Detto che il tratto caratteristico era la distanza apparentemente incolmabile tra chi affermava una fede vissuta come alternativa alla ragione e chi in nome della ragione ne sanciva l’irragionevolezza, la cosa che più mi ha colpita è stata la conclusione della ragazza, al momento di scendere dal treno: “I miei mi chiedono sempre cosa ho fatto di bello, che cosa gli dico, che abbiamo discusso di Dio? Chissà cosa pensano”. Voglio dire che una domanda naturale può essere censurata dall’educazione imposta dalla cultura dominante. Quindi ricordiamoci che la coscienza, cioè il punto dell’umano che si mette in rapporto con il sacro, se non è educata e sostenuta da un giudizio, si arena nella soggettività o si incatena alla legge. La legge, invece deve e può essere il pedagogo che accompagna una coscienza bambina tenendola per mano, delicatamente, non la trascina con un nodo scorsoio intorno al collo, ma neppure la lascia abbandonata ai propri vagabondaggi. Venendo meno a questa funzione, diventa del tutto inutile.
(O) Ma è questo che volevo evidenziare. Se la legge è travolta di fatto dal costume dominante, prima o poi sarà travolta anche di diritto. Difficile difendere in Parlamento il primato a comportamenti che la gente ritiene insignificanti o al massimo opzionali. Tutto si gioca prima, nella vita, nei rapporti concreti, nel mostrare che bellezza e felicità non derivano da fortuna o denaro o dal giusto algoritmo che profila su internet la tua personalità.
(C) Voglio solo dare un nome a questa necessaria ‘porta’ che introduce alla fede: io chiamo ‘certezza morale’ la convinzione razionale, suffragata dall’esperienza, che le cose stanno così e non possono stare diversamente, pena la caduta nell’assurdo di tutto il pensiero umano. Dunque voglio conservare la certezza morale che il matrimonio sia sempre e comunque il punto di passaggio ad un livello di umanità più compiuta di qualunque ‘unione civile’ proprio perché il carattere ‘sacro’ non deriva dall’esterno, da qualcosa di magico, ma dalla natura stessa, dalla corporeità della coppia e insieme dalla coscienza, dal libero consenso espresso dagli sposi. Queste sono le due condizioni senza le quali il matrimonio nemmeno esiste. Che poi Gianni e Piero usino la legge Cirinnà per loro personali e legittimi scopi, non solo non mi scandalizza, ma mi fa pure piacere, così si evidenzia la distanza tra un normalissimo contratto e un evento, che ci ostiniamo a chiamare vocazionale, che compie la natura e il destino delle persone.
(C) Costante (S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti
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