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Parole

GEOMETRIA DELLA VITA

MARGHERITA GIROMINI - 11/11/2016

vecchioniIl pomeriggio di domenica 6 novembre, alle Ville Ponti di Varese, incontriamo Roberto Vecchioni, il cantautore milanese vincitore del Premio Chiara per “Le Parole della Musica”, riconoscimento elargito congiuntamente dal Chiara e dal Club Tenco. Sala piena, palpabile l’entusiasmo dei meno giovani, cresciuti con le sue “Luci a San Siro”, dove si racconta di un amore infelice dei vent’anni. Ma sono presenti anche tanti giovani, forse i figli della generazione cresciuta con la sua musica.

L’intervista è condotta da esperti giornalisti; nonostante ciò le risposte di Vecchioni hanno sempre portato il discorso dove lui aveva deciso. Perché le parole, da lui definite “archetipi”, fossero profonde come quelle del suo ultimo libro, “La vita che si ama”.

Che cosa mi è piaciuto?

La definizione di felicità. La felicità è un concetto più ampio di ciò che crediamo, più esteso dei rari momenti, definibili tali, che la vita ci concede. Dentro la felicità è contenuto anche il dolore: un sentimento che corre accanto alla vita, talvolta la incrocia per un istante, una giornata, un breve periodo, ed è, nella sua essenza, momentanea, transitoria. Ma se lo vogliamo, può diventare una condizione stabile, un modo di affrontare l’esistenza, anche dentro le fatiche e i dolori della quotidianità. “A volte è visibile come un’apparizione tra un albero e l’altro di un bosco”, “Sta nel vivere in sé, non è gioia o euforia, è il dinamismo del tempo, la geometria stessa della vita”.

Anche le esperienze che avremmo voluto evitare ci portano sempre da qualche parte, magari dove non avremmo voluto, ma che a posteriori sappiamo riconoscere come essenziali, per affermare che, sì, quel determinato periodo della nostra vita ha costruito quel pezzo di noi a cui non potremmo più rinunciare.

Mi è piaciuto il suo riconoscersi un orgoglioso appartenente al mondo della scuola. “Perché ha voluto continuare a insegnare nonostante il successo ininterrotto ottenuto come cantautore?”. Vecchioni apre il capitolo relativo ai suoi quarant’anni di insegnamento, parla del primo giorno di scuola in ogni nuova classe di Liceo, ci spiega come si poneva per affascinare gli studenti e farli innamorare del latino e del greco. Quanti di noi non avrebbero voluto un professore così, che prima dei verbi e delle traduzioni ci conducesse per mano, con passione, dentro il vivo mondo di chi, secoli prima, praticava quella lingua?

Nuovo, decisamente, il concetto che la “democrazia conta per la giustizia e la verità, ma non per la bellezza: perché è raro che le cose più belle siano quelle che piacciono di più alla gente”. La bellezza è un’altra cosa, non appartiene alla maggioranza di un determinato momento storico: è qualcosa di speciale, di prezioso, di poco comprensibile ai più, lontana dalle mode del tempo attuale. Anche per questo il Nobel a Dylan è meritatissimo, checché ne dicano i soloni della letteratura (ne cita qualcuno ..); le sue canzoni non sono facili, Dylan stesso non è facile, perché la poesia, in fondo, è pratica difficilissima. Ma è stato capace di cantare le passioni, i dolori, le gioie di un popolo intero, anzi, degli allora giovani di tutto il mondo.

Mi è piaciuto Vecchioni, tenero, quando parla di Francesca, la figlia a cui ha dedicato la canzone che ci viene fatta ascoltare in video. A me torna alla mente un’altra intervista, non a lui, ma proprio a Francesca, che racconta del giorno in cui aveva deciso di comunicare al padre la propria omosessualità e l’esistenza di una compagna. Tergiversava, faticava a iniziare il discorso, innervosendo il padre che non capiva, che era addirittura inquieto. Finita la sofferta “confessione” della figlia, Vecchioni esclama: “Ah, mi avevi fatto prendere un tale spavento!”.

In sala, prima dell’inizio, un amico, come tanti presenti quasi coetaneo di Vecchioni, mi parla dell’ultima canzone, “Io non appartengo”, afferma di riconoscersi pienamente nella medesima sensazione di smarrimento, nella solitudine di chi non appartiene più a nessun gruppo o movimento, né ad alcuna ideologia.

Ecco le esatte parole con cui si apre la canzone: “ Io non appartengo più alle cose del mio tempo, non mi riconosco più, lì nascosto dietro un canto. Non mi basta nemmeno il cuore per giustificare, capire, sentire, immaginare. Non mi basta la forza degli occhi per voltarmi e non guardare. Io non appartengo più, viaggio come un clandestino, in una nave senza rotta già segnata dal destino. …”

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