L’architetto Angela Baila, studiosa del liberty nelle ville di S. Maria del Monte, Varese e Induno Olona e coautrice di libri pubblicati in collaborazione con il Politecnico, sposta i suoi interessi su una delle più antiche chiese di Milano, il “santuario degli sposi”, celebre per lo stupendo gioco d’intarsi dei pavimenti, un “gran tappeto di marmi” progettato a fine ‘500 dall’ingegnere Martino Bassi di Seregno, direttore della Fabbrica e autore dell’altare, completato dalla Fabbriceria nell’800.
Lo fa con il libro “Forme e ornamenti nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso” (Maggioli Editore, 130 pagine, € 20, note d’archivio di Carlo Togliani, foto di Davide Niglia), che documenta lo stretto rapporto che lega la Milano cristiana al Varesotto e al Canton Ticino nei secoli XVI e XVII, l’epoca di San Carlo e della Controriforma, con frequenti sinergie di artisti, fitti commerci di materie prime e reciproche influenze stilistiche in un continuo dialogo di tradizioni, storia, fede ed arte.
La chiesa a pianta centrale fu costruita nel 1493 per accogliere un’icona “miracolosa” della Madonna. Paolo Morigia narra che il 30 dicembre 1485 i fedeli riuniti nell’antica cappella dedicata alla Vergine, posta nei pressi dell’abbazia benedettina di S. Celso, videro la Madonna alzare per un attimo il velo che copriva la propria immagine dipinta e di lì a poco cessò la pestilenza che tormentava Milano. Vi furono poi aggiunti, nel corso del ‘500, il corpo longitudinale a tre navate, il quadriportico e la facciata in marmo di Carrara.
Tra i tanti capolavori, la chiesa attira curiosamente lo sguardo verso il basso ad ammirare l’opera di scalpellini, tagliatori e posatori che “con estrema abilità e precisione hanno creato una filigrana marmorea di ornati e abbellimenti” con motivi geometrici e floreali intercalati da figure. Sono marmi “bastardi” di Candoglia e Ornavasso, calcare bianco e rosa, talora con venature verdastre, delle cave piemontesi intorno a Baveno, al lago Maggiore e dell’Ossola, pregiati marmi bianchi e neri di Saltrio, Varenna e Olcio sul lago di Como, macchiati, neri, rossi e grigi di Arzo nel Canton Ticino.
Ad Arzo, presso Mendrisio, era in attività il “mulino da rasega” di Domenico e Simone Ferrari che fornì materiali anche per il santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno e, nel 1607, la “pietra mischia” per la settima cappella della famiglia Litta al Sacro Monte di Varese. La pietra mischia, spiega il libro, è forse da identificare con la pietra screziata dalle tonalità variabili dal rosso al giallo al grigio e con il “broccatello” di cui si parla per altre opere, ugualmente prodotto ad Arzo.
Le lastre di Candoglia erano condotte a Milano per via fluviale, separatamente da quelle destinate al duomo. Poi iniziava il lavoro certosino. Difficile ottenere con materiali dalle caratteristiche diverse la precisione nelle “unioni” e il perfetto livello senza ondulazioni o avvallamenti. Una volta posato il pavimento occorreva ripassare in opera tutti i pezzi, “arruotarli” e levigarli fino ad eliminare qualunque imperfezione. Con gli stessi marmi Martino Bassi realizzò l’altare, i pilastri, le colonne scanalate, le balaustre, i capitelli.
Nelle statue della facciata, negli affreschi, nelle pale d’altare e nelle decorazioni interne ricorrono i nomi di grandi artisti lombardi del Rinascimento e del Barocco, molti dei quali attivi anche a Varese e al Sacro Monte: da Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano, a Camillo e Giulio Cesare Procaccini; da Carlo Francesco Nuvolone a Gaudenzio Ferrari e a Battista e Melchiorre Della Rovere, detti Fiammenghini. Lo stesso Martino Bassi operò al Sacro Monte di Varallo.
Commenta la curatrice: “La straordinaria unitarietà di concezione e di esecuzione e la paternità riconducibile ai migliori tecnici ed artisti del tempo sono l’espressione di una stagione importante del cattolicesimo milanese. Un ornamento che in piena Controriforma, esibisce in anticipo sulla stagione barocca un volto sontuoso, ricco, fatto per stupire e accrescere il senso mistico delle icone, dipinte o scolpite, e non contrasta con l’animo ascetico di san Carlo Borromeo che fu il supervisore dell’opera”.
Il libro è frutto del lavoro di analisi eseguito da Unastudio di Milano con il coordinamento di Angela Baila e Lorenzo Mazza, autori delle note descrittive. Il supporto tecnico laser-scanner è di Massimo Mellano. Daniela Penazzi ha collaborato al rilievo archeologico. Prefazioni di Diego Arfani, rettore del santuario, Carlo Capponi responsabile dell’ufficio beni culturali dell’arcidiocesi di Milano, Mariolina Cariati dell’ufficio amministrativo ed Eugenio Guglielmi dell’università di Firenze.
You must be logged in to post a comment Login