A qualche fedele poco vigile, che ascolterà domenica prossima – prima domenica dell’avvento ambrosiano – la lettura del Vangelo di Matteo, potrà sembrare di ascoltare la lettura di un quotidiano di questi tempi. Dice la Parola: In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta… Molti verranno nel mio nome..e trarranno molti in inganno. E sentirete di guerre e di rumori di guerre… Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi.. Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome.
Sembrerebbe il nostro mondo in naufragio! Sembrerebbe la fine del mondo. Noi, che siamo uomini di questo tempo, con libero rigoglio della mente andremo alle visioni raccapriccianti di Mosul o di Aleppo, penseremo ai fondamentalisti islamici che uccidono nel nome di Dio, ricorderemo le stragi di Parigi, di Nizza, di Madrid, di Londra, vedremo passare davanti ai nostri occhi le immagini degli orribili ordigni di guerra, dei bimbi sconvolti uccisi in braccio alle madri col volto rigato dal dolore, degli uomini decapitati o dei loro simili che si mettono in fuga in cerca di un approdo sicuro, dei cristiani uccisi e delle loro chiese bruciate, degli scheletri viventi di bimbi che chiedono un po’ di cibo…
Tutto ci sembrerà meschino e inadeguato ed io, seduto agiato sulla poltrona, mentre davanti a me scorrono immagini sconvolgenti, compiangerò quei poveretti. Li amerò con partecipazione struggente e spesso intrisa di turbamenti.
Ci commuoviamo tutti ai gesti consueti e ripetuti e ci chiediamo:Perché Dio permette tutto questo? Perché Dio permette che gli uomini siano martoriati dal dolore? Non saremmo forse più sinceri se, lasciando a Dio l’iniziativa e la fatica per salvarci, non collaborassimo con Lui per rendere più buono questo mondo? Se non ci rivestissimo di novità, se non ci buttassimo da dosso la triste polvere dell’abitudine, della stanchezza, la minaccia sempre presente della paura del nemico che vediamo fuori di noi, mentre esso rode dentro il nostro cuore e rende l’amicizia, l’amore, la compassione sentimenti ormai desueti?
Perché dobbiamo continuare a gridare a Dio la nostra disperazione, mentre viviamo l’agonia di tutto ciò che è stupore, emozione, passione, entusiasmo? Perché siamo sempre in attesa del miracoloso, del prodigioso, dello spettacolare e ci lasciamo contemporaneamente trascinare dal desiderio di onnipotenza, lasciando alla scienza e alla tecnica perfino la capacità di generare? Perché la libertà, nata come espressione dell’appartenenza a noi stessi è diventata dipendenza dalla droga, dall’alcool, dal sesso sfrenato, dall’inganno delle immagini che cancellano il nostro desiderio di conoscere attraverso le parole accompagnate da pause di silenzio? Perché corriamo frenetici dietro il consumismo, frutto di un fanatico libero mercato e non di solidarietà?
Perché negli ambienti ecclesiali si respira un’atmosfera di pavidità o di doppiezza verso chi ci indica con franchezza nuove sfide? Perché in politica si ricorre all’uso manipolatorio della parola e si dice non ciò che è, ma quello che gli altri aspettano di sentirsi dire? Perché nei luoghi di lavoro ci si parla dietro le spalle? Perché, perché, perché?..
È ancora Matteo a ricordarci la Parola di Gesù: Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato…grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati…subito dopo le tribolazioni di quei giorni…comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria.
Dopo la paura, arriva la speranza. Cristo è la nostra Speranza e il Suo Natale che celebreremo fra sei domeniche ci ricorda che il nostro cuore deve battere all’unisono con quello del mondo, che le incomprensioni si vincono con la fiducia nell’altro, che la disperazione viene superata dall’attesa vigilante di una visione velata, ascosa, della quale non si può godere, ma su cui si può fare affidamento. La speranza è la lotta contro la paura, il tenersi in vita e non darla vinta alla morte.
Al di là della disperazione – ha scritto Georges Bernanos – bisogna incontrare la speranza: Quando si va alla fine della notte, si incontra una nuova aurora”. E Charles Péguy: È sperare la cosa più difficile – a voce bassa e vergognosamente.- La cosa facile è disperare – ed è una grande tentazione.
Mentre attraversavo in treno, due giorni fa, le terre del Nord dove ho vissuto un arco della mia vita, mi era compagna di viaggio una giovane donna ucraina con la quale ho intrecciato un dialogo. Mi ha parlato del figlio drogato (Ma sono più drogati i politici asserviti al potere!), dei lutti familiari, del legame coniugale infranto, della malattia della mamma. Ad un tratto mi sorrise e disse: Ma fra poco sarà Natale!..
L’inverno era già avanzato: i campi largamente bianchi e stecchiti, la ramaglia rattrappita. Corvacci neri volavano bassi nell’aria e gracchiavano di freddo. Cespi rigogliosi di vischio pendevano dai rami degli alberi brulli. Dopo poco più di un’ora di aereo, atterro: nel cielo nuvoloso, intravvedo una fuga disperata di sole. Quello che poche ore fa mi sembrava insostenibile, adesso è letizia.
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