Ricerche internazionali certificano che solo il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti indispensabili per orientarsi con efficacia e in modo autonomo nella vita di tutti i giorni. Il restante 80% sa leggere e scrivere, ma lo fa con difficoltà e solo per brevi elaborati. Negli anni cinquanta del XX secolo, quelli del boom economico, l’analfabetismo in Italia toccava la quota del 30%. Puntare sull’incremento del numero degli ignoranti totali può dare una spinta decisiva al Pil e al salvataggio delle banche private coi soldi pubblici? È altrettanto vero che il confronto con gli altri paesi del mondo industrializzato ci pone al penultimo posto davanti al solo Messico: l’indiscusso abbassamento di livello culturale dei diplomati e dei laureati, l’analfabetismo di ritorno e quello funzionale sono dati preoccupanti per la società nel suo complesso.
Ecco se questo è vero, ed è vero, e le ragioni addotte dai sostenitori del no al referendum del 4 dicembre sono sacrosante, sostenendo che la riforma è un tentativo di ridurre gli spazi democratici e partecipativi alla vita politica degli italiani, si deve per forza di cose votare si se si vuol ridurre la dittatura degli ignoranti in Italia. Una testa un voto? Dipende dalle teste, quali … teste. È impopolare dire questa verità ma qualche matto trova il coraggio di aggiungere qualche inusuale ragione per votare il si. Poi si dibatta ancora un mese sulle tragedie prossime nel caso vinca uno o l’altro.
Tutte le occasioni diventano utili per toccare con mano quale dramma quotidiano vive il Bel paese, vittima del gregge analfabeta. In occasione della festività del 4 novembre, si è voluto ricordare la tragedia di cento anni or sono, di quel tragico 1916 che vide il sacrificio di tre grandi italiani sudditi dell’impero austro ungarico: Cesare Battisti e Fabio Filzi, impiccati a Trento e Nazario Sauro, impiccato a Pola qualche settimana dopo.
Arrivando come tutti gli angosciati con largo anticipo sul luogo delle cerimonie, in Via Nazario Sauro a Varese, per una toccante cerimonia voluta dal dottor Morresi e dall’associazione dei giuliano dalmati e istriani varesini, l’occasione si è presentata subito. A quattro passanti, non in tenera età, che incuriositi chiedevano cosa stesse accadendo sotto quel cartello stradale indicante la via Nazario Sauro, veniva spiegato in poche parole cosa si stesse ricordando. Non sapevano chi fosse Nazario Sauro e va bene, “non è mica il fratello della Belen!”. Azzardando il nome di Cesare Battisti, nulla sapevano neppure di costui. Del resto se nel 2012 alcuni alunni e non solo alunni dell’Istituto Francesco Daverio a Varese, alla domanda “Chi fu costui?” diedero risposte alla ” va’ là che vai bene” che andavano da “economista” a “uomo politico” a “sindacalista”, loro, che dentro la scuola ci son stati per anni, non ci si può stupire di nulla e si possono solamente versare lacrime, tante.
“Se po’ ciapà in man el cu e piang ” dicevano i nostri vecchi. È indubbio: “Siamo fatti”.
Grande parata di forze armate e associazioni combattentistiche e come sempre Varese per l’Italia 26 maggio 1959, in Piazza san Vittore e poi in Piazza della Repubblica per questo ultimo 4 novembre. La gente comune era poco numerosa, passanti attratti dalla canzone del Piave. Allietavano la vista due o tre classi di alunni delle scuole primarie di primo grado; una sola di queste munita di bandierine tricolori. Gli altri studenti di ogni ordine e grado? Han fatto bene a stare a casa, loro ed i loro insegnanti, i loro presidi. A scuola non si parla di Risorgimento italiano, di lotte per raggiungere, sempre penultimi in Europa, l’Unità del Paese. Lotte iniziate dall’era napoleonica e cessate il 4 novembre 1918 con sacrifici umani di centinaia di migliaia di italiani non interessano nessuno. Se si schierassero meno forze armate e si decidesse di dedicare due ore di lezione il 4 novembre in ogni scuola per parlare di storia, della nostra storia, forse qualche utile riflessione troverebbe spazio. E così sia.
You must be logged in to post a comment Login