Quando mi hanno dato l’indirizzo di un ufficio pubblico di un’altra città al quale dovevo fornire dei dati subito è scattato, tra scricchiolii e pause, un meccanismo che, credo per l’età, mi si è presentato in chiara difficoltà. L’indirizzo: via Nubi di Magellano. Il recupero di notizie sul grande navigatore ed esploratore portoghese si è fermato ben lontano dalle nubi: di Magellano ne sapevo meno, molto meno di Cristoforo Colombo. Nemmeno ho ricordato qualcosa di quando giovanissimo avevo potuto apprendere grazie a un testo di geografia del celebre Nangeroni.
Rotta immediata sull’aiuto di Wikipedia dove mi aspettava la spiegazione delle nubi, due galassie una piccola e una grande, di modeste dimensioni citate da Magellano nei suoi diari di bordo e perciò storicamente importanti.
Soddisfatta la curiosità, che nel nostro mestiere di giornalista è un valore aggiunto, si sono messe in moto le rotelline dei paragoni: ho chiesto a lungo, ma nessuno degli esperti di toponomastica varesina ricordava una via dedicata agli astri. In assoluto niente di male, forse, ma è ancora più pesante per la nostra comunità il fatto che guardando la montagna ogni giorno non solo si vede il santuario della prima Mamma della città, ma anche un osservatorio astronomico. La bella struttura oggi è tra le più quotate perché ha un’offerta culturale di livello ed è un riferimento anche per il mondo dell’ambiente cittadino e del territorio, oltre a essere nel tempo per i giovani una scuola di vita e di educazione alla scienza e all’amore civico.
Questa infatti è la meravigliosa eredità di Salvatore Furia, finito già tra i dimenticati nonostante il Comune un anno fa abbia dimostrato un certo interesse per la dedica allo scienziato di una via, di una piazza, di un grande parco.
Varese sembra avere un cattivo rapporto con la toponomastica che peraltro è un settore molto delicato perché nuove intitolazioni o aggiornamenti comportano modifiche e rivoluzioni che interessano anagrafe, fisco, l’armonia della stessa viabilità.
Poiché Varese perde continuamene l’autobus delle intitolazioni, si dovrebbe chiedere almeno parere e interventi, con diritto di stop, almeno all’assessorato alla cultura e a una commissione con esperti di storia, nazionale e locale. Si eviterebbe la figuraccia fatta con Antonio Ghiringhelli, sovrintendente che ricostruì la Scala e rilanciò l’immagine italiana nel mondo, con Guttuso che ha avuto microintitolazioni che dimostrano che la pezza a volte è peggio del buco, infine con Salvatore Furia, finito su uno dei tanti binari morti collezionati dalla “primavera leghista”. Senza contare che da un punto di vista laico vediamo messi gioiosamente in soffitta gli ecclesiastici a meno che non abbiano dato un contributo alla Resistenza.
Don Pasquale Macchi è stato un varesino da vertici mondiali di notorietà meno che per le istituzioni religiose a lui legate.
Tra le toppate di Palazzo Estense in veste di esperto di toponomastica vanno poi intitolazioni sballate, addirittura nel cuore della città, come quella della piazzetta antistante l’Impero che ci ricorda Edgardo Sogno, torinese, eroe partigiano, a Varese onorato come statista!
Le intitolazioni richiedono scelte fatte da uomini di cultura e di molta prudenza anche perché non si può cancellare i segni di una passata attenzione della memoria della città a chi ne è stato degno.
Oggi si rischia il ridicolo se per esempio si dedica a Salvatore Furia una stradina di periferia. Già si è battuto ogni record con la dedica a Velate di una stradina, vera toilette per cani stitici, a Renato Guttuso.
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