Solo realismo o anche fantasia? Mah. Forse l’una e l’altro insieme. Riassumiamo i chiacchiericci di questa lunga vigilia referendaria, per il molto che si auto-accreditano. E aggiungiamoci uno zic di nostro, per il poco che conta.
Al dunque. Vengono prospettate da politologi, retroscenisti e assortimento di strateghi vari due ipotesi, a seconda di quale sarà il verdetto degl’italiani sulla materia costituzionale. Nel caso (a) in cui vinca il no, Renzi -smentendo le previsioni e smentendo sé stesso- non si dimetterebbe, accordandosi invece con Berlusconi. Stipulerebbe col Cav, bendisposto ad accogliere la lusinga, un patto-bis del Nazareno e tirerebbe avanti assieme a lui fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2018, seguendo un percorso riformistico da aggiornare. Nel caso (b) in cui vinca il sì, il premier continuerebbe sulla strada del rinnovamento sin qui tracciata, però cambiando i compagni di viaggio. Cioè governo con tante new entry, ribalta a quelli del patto “leopoldino”, meno disponibilità verso i residuali testimonial del passato e briglia lunga agli arditi sfidanti del futuro.
C’è tuttavia una terza ipotesi da prendere in esame, nel caso (c) in cui il presidente del Consiglio confermi di privilegiare fantasiosa imprevedibilità, gusto della scommessa -talvolta dell’azzardo- e vocazione a rottamare il passato. Caratteristiche che gli appartengono, piacciano o non piacciano. L’ipotesi è di chiudere for ever un’epoca e aprirne un’altra. Ovvero: comunque vada il referendum, successivo ricorso a elezioni anticipate. Se Renzi perde, per il fatto che ha legato (giustamente) il suo destino politico al verdetto del 4 dicembre; se Renzi vince, per il fatto che il responso delle urne lo autorizza (idem giustamente) ad affidarvisi di nuovo.
I vantaggi sarebbero i seguenti: cadrebbe finalmente l’obiezione in base alla quale egli governa senz’investitura popolare, pur se democratico-parlamentare; il Paese volterebbe una seconda importante pagina, dopo aver girato la prima e fondamentale; il cambiamento di cui abbiamo bisogno diventerebbe strategico, con benefici economico-sociali e altre ricadute positive.
Il che peraltro succederebbe sia se Renzi facesse suo il round elettorale (e con qualunque legge di voto in vigore), sia se lo conquistasse un suo competitor, prevedibilmente grillino. Perché? Perché per battere Renzi ce ne vorrebbe uno migliore di lui. E ben venga, se esiste.
Non è detto che la stabilità sia decretata dall’immobilismo istituzionale: può garantirla forse/meglio la mobilitazione elettorale. Che poi si confermi un dominio politico o prevalga un’alternativa, non è così importante, per quanto possa sembrare paradossale.
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