È nata a Varese una scuola parentale, modalità educativa prevista dalla normativa vigente, che autorizza i genitori che vogliano fungere da insegnanti per i propri figli a provvedere autonomamente alla loro istruzione, evitando l’iscrizione ad una scuola pubblica. Unico vincolo per queste famiglie, dare comunicazione alla scuola statale del proprio territorio affinché si attivino gli interventi previsti nei casi di mancata iscrizione, tra cui il contatto con i genitori per vigilare negli anni sull’adempimento dell’obbligo scolastico, compresa la valutazione delle capacità culturali di chi si assume l’onere di un’istruzione privata.
L’esperienza varesina è una struttura educativa che in questo primo anno accoglie 8 ragazzini di prima media, che proseguiranno negli anni futuri gli studi con gli attuali otto e saranno seguiti dal gruppo dei nuovi iscritti, sempre in numero limitato data la struttura stessa di piccola comunità.
Sono genitori di Varese e dintorni coloro che hanno avviato l’esperimento pedagogico denominato “Makula”, nome con un chiaro riferimento al significato letterale del termine: macchia, un segno che si lascia, in questo caso intenzionalmente, nel panorama educativo dominato dal sistema educativo istituzionale.
La struttura educativa, a pagamento, è interamente privata dato che al momento non chiede allo Stato alcun riconoscimento ufficiale.
Bene. Anzi, benissimo. Per quanto mi riguarda, chiunque voglia sperimentare nuove modalità didattiche in nome di una pedagogia più aderente alle necessità di una crescita armonica dei bambini e dei ragazzi, è ben visto, ben accolto, ben giudicato. Tanto più che la Costituzione del nostro paese garantisce alle famiglie, depositarie del diritto-dovere di mantenere, istruire ed educare i figli (articolo30), la possibilità di occuparsi e di rispondere in merito al processo di crescita culturale dei propri figli. L’articolo 33 prevede che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato … omissis”.
Chi si impegna in un’esperienza radicale come questa, ritiene che la scuola, normalmente intesa, non sia in grado di rispondere alle aspettative di famiglie attente alle problematiche educative della società contemporanea; forse valuta gli attuali programmi didattici non rispondenti alle esigenze dei propri figli, senza dubbio giudica il lavoro svolto dalla maggior parte dei docenti non all’altezza degli standard di istruzione desiderati. In poche parole, azzardo: esiste un pensiero negativo sulla scuola attuale, percepita come insufficiente sul piano organizzativo, metodologico, educativo in genere.
Se così non fosse, comprenderei solo in parte la necessità di mettere in campo un impegno così pesante, qual è quello necessario ad attivare una propria struttura educativa, gravante interamente sulle famiglie, che non può garantire stabilità nel tempo in quanto legata al numero di iscrizioni necessarie a coprire le spese, che non può ampliarsi per accogliere chiunque voglia frequentarla a causa dei limiti di spazio dell’edificio che accoglie oggi questa esperienza scolastica.
Una prima domanda: ma davvero la scuola che c’è, il sistema scolastico in genere, è così negativo? Una seconda domanda riguarda il limitato numero di bambini previsto anche per i prossimi anni di funzionamento: si può chiamare scuola un gruppo di otto bambini, sia pure felici ospiti di una struttura pensata ad hoc dai loro genitori? La metodologia prevista da Makula è interessante, si rifà all’idea di scuola attiva, strutturata per laboratori, dove non esistono i tradizionali banchi e le cattedre ma un apprendimento diretto nell’ambiente; dove la didattica è sostenuta anche da esperti dei diversi settori del sapere, professionisti attivi nel mondo reale, che fungono da docenti. Ma una scuola, per dirsi tale, dovrebbe basarsi su determinati parametri numerici, a meno che si pensi alla piccola scuola delle Tremiti o alla pluriclasse nel paesino che sta sul cocuzzolo di una montagna isolata dai centri abitati.
Io conosco, noi tutti conosciamo, scuole pubbliche, statali o parificate poco importa, dove i nostri figli sono stati alunni e studenti felici, anche in venticinque, magari ospitati in aule tradizionali; hanno studiato in luoghi dove le tradizionali materie scolastiche previste dai programmi sono state apprese a volte in modo eccellente, altre meno, in qualche caso in misura appena accettabile. Scuole dove, però, hanno potuto sperimentare uno spicchio di mondo vero, con compagni provenenti da esperienze familiari le più diverse, incontrato anche insegnanti capaci e attenti, didatticamente innovativi o più tradizionali poco importa.
Sarà perché a me la parola scuola evoca esperienze positive, un mondo reale ricco di vita vera, un piccolo mondo dentro il mondo più grande, che sento una sorta di disagio prendendo atto che quanto costruito in tanti decenni possa essere messo in così profonda discussione.
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