Nel 1530 il capitano di ventura Fabrizio Maramaldo, al soldo di Carlo V di Asburgo, uccise crudelmente il condottiero avversario Francesco Ferrucci, detto il Ferruccio. Questi già gravemente ferito, prima di spirare, gli avrebbe rivolto le famose parole, divenute poi proverbiali: «Vile!, tu uccidi un uomo morto». Fatte le debite proporzioni l’abolizione del Cnel assomiglia molto alla mossa di Maramaldo: l’abrogazione dell’articolo 99 della Costituzione prevista nella riforma in votazione il prossimo 4 dicembre costituisce infatti la ratifica formale di una realtà che il sistema politico aveva già progressivamente attuato nel corso degli ultimi decenni.
Il Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, non ha avuto mai vita facile. Secondo i Costituenti avrebbe dovuto essere un luogo di supporto e aiuto all’attività parlamentare, un consesso di esperti in grado di valutare la necessità delle misure legislative analizzandone i lati positivi o negativi e soprattutto l’impatto sociale.
Ma l’attività del Cnel è sempre rimasta nell’ombra. Nei suoi 50 anni di attività il Consiglio ha peraltro presentato alle Camere solo 14 disegni di legge, pochissimi sono stati discussi e nessuno di questi è stato approvato. Sono stati invece 96 i pareri espressi, ma queste analisi sono finite regolarmente negli archivi. Certamente troppo poco per giustificare i 20 milioni di costo medio annuo.
La legge di attuazione del dettato costituzionale è entrata in vigore il 5 gennaio 1957 ribadendo che la funzione principale del Consiglio avrebbe dovuto essere quella di fornire una consulenza tecnica al Parlamento su argomenti di natura economica. Dei 64 membri otto sono nominati dal Capo dello Stato e due dal Presidente del Consiglio scelti tra esperti ed importanti esponenti della cultura economica, giuridica e sociale; gli altri 48 membri sono dei rappresentanti delle categorie produttive di beni o servizi nei settori privato e pubblico. La durata del mandato, ovviamente retribuito, è cinque anni, ma non ci sono limiti al rinnovo.
Fin dai primi anni il Cnel è stato considerato come una comoda sine cura: i partiti, i sindacati, le organizzazioni imprenditoriali hanno raramente nominato personalità di primo piano negli studi economici e sociali. Gran parte dei posti sono stati riservati ai cosiddetti “trombati”, persone che non riuscendo ad ottenere l’elezione in Parlamento venivano comunque ricompensati con un posto di sicura onorabilità.
Solo in alcuni casi, per esempio con la presidenza di Giuseppe De Rita, il Cnel ha avuto forza e autorevolezza. Ma la politica non se ne è mai volutamente interessata e ha preferito per lunghi anni il metodo della concertazione, e quindi delle relazioni, rispetto a quello, meno appagante, delle analisi tecniche o comparate.
E si è andati così in direzione opposta rispetto a quanto voluto dai Costituenti. Si può ricordare come il democristiano Amintore Fanfani disse all’Assemblea: “Se l’attività economica nazionale deve essere orientata e controllata, senza che vada soggetta a salti bruschi, non bastano gli organi normali: Presidente della Repubblica, Governo, prima e seconda Camera. L’esperienza insegna che occorre qualche cosa di più efficiente che non sia un Parlamento”. E il comunista Giuseppe Di Vittorio precisò: “Questo ente dovrebbe essere composto di tutte le classi interessate al processo della produzione, ma noi riteniamo che non sia democratico, che non sia giusto mettere sullo stesso piano interessi di carattere collettivo, di carattere generale, sociale, nazionale, con interessi di carattere privato e di carattere egoistico; come non è giusto porre sullo stesso piano interessi riguardanti, per esempio, mille cittadini e interessi che rappresentano invece le aspirazioni di un milione di cittadini. E noi domandiamo inoltre che i rappresentanti siano eletti dalle categorie interessate e non siano di nomina governativa, perché, anche se la nomina viene da parte di un Governo democratico, l’istituto avrà sempre un carattere burocratico e mai democratico”.
Il Cnel è stato progressivamente, ma inesorabilmente svuotato delle sue prerogative.
Non sorprende quindi che, tra le tante innovazioni previste nella riforma costituzionale, si discuta soprattutto del nuovo Senato e delle competenze regionali, mentre l’abolizione del Cnel non suscita particolari emozioni. Se fosse in votazione solo questo punto probabilmente otterrebbe una larghissima maggioranza.
In fondo si abolisce quello che non c’è più. Quasi un’operazione da maramaldo.
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