“Merkel convince Pechino / La Cina pensa di sostenere l’euro”: così lo scorso venerdì 3 febbraio titolava in prima pagina l’autorevole Corriere della Sera dando autorevole conferma del fatto che l’attuale riduzione dei media al ruolo di ritrasmettitori acritici della “velina” che più svolazza nella giornata non risparmia nessuno. Andandosi poi a leggere il servizio dell’inviato a Pechino per l’occasione (e chissà quanto avranno speso per mandarcelo) si leggeva infatti: “Per ora è solo una promessa. «La Cina – ha detto Wen Jiabao, seduto accanto alla tedesca Angela Merkel — valuterà come sostenere l’Europa». Ed è pronta a «studiare come sostenere il Fondo salva Stati, Efsf e il [futuro] Meccanismo Europeo di Stabilità”.
Ebbene non c’è bisogno di essere dei sinologi patentati, ma basta un minimo di conoscenza della materia per sapere che un cinese non ti dice mai apertamente “no” (sarebbe una scortesia imperdonabile) ma si rifugia in un cortese “ci penserò”, “studierò come fare” o altre risposte del genere. Dunque la risposta della Cina ad Angela Merkel è un “no” su tutta la linea.
Beninteso, il Corriere non è stato certo l’unico giornale o telegiornale italiano a riecheggiare compunto le “veline” dell’ufficio stampa della Cancelliera. Hanno fatto così anche tanti altri, il che la dice lunga sulla qualità della prima informazione che riceviamo ogni giorno anche a prescindere dalla mala fede o dell’influenza sui giornali degli orientamenti dei loro editori, privati o pubblici che siano.
D’altra parte la Cina già da tempo ha chiarito la propria posizione riguardo al problema della crisi del debito sovrano di diversi Paesi europei, e quindi della crisi dell’euro. Pechino ha mandato a dire molto esplicitamente di non capire perché un Paese come la Cina, che ha un prodotto lordo pro capite annuo solo di quasi 4400 dollari, dovrebbe mobilitarsi per togliere le castagne dal fuoco all’Unione Europea il cui analogo procapite è 24.500 euro, tra l’altro a causa del basso reddito dei Paesi dell’Est, ma i cui membri maggiori e più sviluppati hanno un prodotto procapite pari da sei a otto volte quello cinese. La Cina infatti — giova ricordarlo al di là delle solite enfasi estemporanee — è sì una delle maggiori economie del mondo in valore assoluto ma, tanto per fare solo degli esempi europei, il suo tenore di vita pro capite non raggiunge quello della Macedonia, ed è largamente inferiore a quello della Romania. È vero infatti che molte decine di milioni di cinesi hanno un reddito paragonabile a quello degli abitanti dei Paesi europei più sviluppati, ma non meno di ottocento milioni continuano a vivere in condizioni uguali o peggiori di quelle dei contadini dell’Africa Nera o delle regioni più povere dell’America Latina. Inoltre la Cina – che diversamente dall’India ha puntato a una crescita fondata non sul mercato interno bensì sull’esportazione di beni di consumo corrente – sta perciò subendo il contraccolpo della caduta dei consumi provocata dalla crisi in corso in Europa e negli Stati Uniti, che nel loro insieme costituiscono circa la metà dell’economia mondiale. Quindi ha anche i guai suoi; e tra le altre cose ha poi fatto sapere che comunque non muoverà un dito se l’UE non le toglie l’embargo agli acquisti di armamenti in Europa, imposto nel 1989 a seguito della strage di piazza Tien-An-Men.
Il tentativo di Angela Merkel di andare a cercare in Cina le risorse, che la Germania non vuol mettere di tasca propria in difesa dell’euro, è insomma fallito. E sarebbe stato strano il contrario. A questo punto per quanto tempo ancora la Germania di Angela Merkel potrà opporsi a che la BCE emetta dei suoi buoni (bond) e assuma il ruolo di garante di ultima istanza dei titoli di debito pubblico in euro? Ovvero quanto riuscirebbe il suo governo a sopravvivere se la forza delle cose la costringesse a cedere su questa pretesa che è ormai divenuta la sua bandiera? E adesso che, dopo aver subito una sconfitta elettorale dopo l’altra in patria, è anche scesa in campo in Francia a sostegno della rielezione di Sarkozy che cosa accadrà se questi non dovesse venire rieletto o anche soltanto ci riuscisse per il rotto della cuffia? In questo quadro le ormai imminenti elezioni presidenziali francesi potrebbero cambiare totalmente la situazione sulla scena dell’Unione Europea. Non conviene perciò al nostro governo muoversi su tale scena facendo come se Merkel e Sarkozy fossero stabili e incrollabili nel ruolo dominante che si sono ritagliati più per carenze altrui che per meriti propri.
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