(S) Perché ti butti a commentare le elezioni presidenziali americane alla vigilia del voto, in piena confusione? Abbi pazienza, aspetta, è difficile azzeccarla, non sei nemmeno troppo informato!
(C) Non è stata una mia idea, me lo ha chiesto il direttore e io aderisco, avendo ottenuto di poter scrivere quanto di più paradossale mi venga in mente. Non mi azzarderò ad entrare nei particolari di faccende che conosco poco, però proverò a ricavarne insegnamenti indiretti, pur con il rischio di zoppia che corre ogni paragone, per la situazione italiana. Hai detto confusione? Di più. Visto da fuori, non riesci ad immaginare come un grande Paese, il Paese–Guida del mondo, possa affidare le proprie sorti ad un sistema elettorale così arcaico e inaffidabile: per un aspetto troppo sommario, chi vince vince, anche se vince di pochi voti, in un solo stato in bilico, magari non avendo nemmeno la maggioranza relativa dei votanti; per un altro aspetto all’opposto, nella fase preparatoria delle primarie si realizza in modo troppo complesso, esposto ad ogni vento dell’opinione pubblica e alla possibilità di condizionamento da parte di attori oscuri (ricattatori, servizi segreto stranieri o interni), dispendioso al punto da dover coinvolgere “donatori” per la campagna elettorale fino all’ordine delle centinaia di milioni di dollari.
(O) Non c’è un modo migliore in assoluto di selezionare la classe dirigente. Gli americani sono affezionati a questo, ci si trovano bene. Vogliono qualcuno che gli assomigli, nella media. Questo ha portato Trump alla nomination repubblicana e Hillary Clinton a quella democratica. Sì, anche Hillary (lasciatemela chiamare così, il cognome Clinton è fuorviante e Rodham è sconosciuto) è un po’ la donna media che perdona il marito traditore, che si sacrifica per anni alla sua ombra, poi finalmente trova la sua grande occasione personale. Milioni di donne americane condividono questo sogno. Poco importa, poi se s’innalza il primo paradosso, che l’ultraconservatore Trump parla di più alla pancia lavoratrice dell’ America e la progressista Hillary a Wall Street. La somiglianza che cercano non è nella credibilità dei programmi ma nel fascino della narrazione.
(S) Narrazione? Chiacchiere, favole, le solite bugie dei politici.
(C) Non proprio. Chiamiamo narrazione ciò che ha sostituito l’ideologia o anche, più semplicemente il programma di partito, l’impegno elettorale più o meno credibile. Quando Trump, per fare un esempio, promette che costruirà un muro tra Usa e Messico e lo farà pagare al Messico, non spara una ‘bomba’ isolata, ma mette un punto esclamativo nella ‘narrazione’ del disagio di tutta la gente realmente minacciata o solo infastidita dall’immigrazione clandestina. La narrazione di Trump ha tutte le componenti della favola tradizionale, fino alla banale identificazione dell’antagonista come “malefica”: sembra di poter leggere lo ‘schema di Propp’, la morfologia della fiaba del linguista russo. Hillary, al contrario, è in difficoltà con la narrazione, troppo spesso contraddetta dai fatti, dalla polmonite alle email-fantasma, volendo apparire come più affidabile finisce per evidenziare le proprie fragilità. In questo modo gli elettori e ancor più il mondo esterno agli Usa non riescono a decifrare adeguatamente la struttura politica e programmatica dei candidati, gli stessi partiti, per quanto meno strutturati di quelli della tradizione europea sembrano fare un passo indietro rispetto ai candidati: i repubblicani chiaramente puntano a mantenere la maggioranza al Congresso; i democratici, in modo sempre più evidente un preoccupato Obama, a mantenere lo status quo, per non finire sulla graticola del redde rationem delle riforme sociali incompiute e di una politica estera disastrosa.
(O) Come dire che i due partiti hanno sbagliato candidato?
(C) Non si può dire nemmeno questo, il sistema-primarie non ammette repliche o correzioni, sembra anche un bel volano per le successive, come ha sperimentato positivamente chi lo ha applicato in Italia, pur in condizioni affatto differenti. Però posso umilmente e sommessamente insinuare che ciascuna delle due parti disponeva di candidati migliori, ma bisogna ricordare che soprattutto in questo tipo di società delle comunicazioni di massa, non vince il migliore, ma chi ha la possibilità di veicolare più largamente il proprio messaggio, che proprio per questo non può essere raffinato ed elitario. Lasciatemi evocare con un sorriso il personaggio di Chance Giardiniere, il disadattato analfabeta del film ‘Oltre il giardino’ (1979!), che, accolto per carità nella casa di un influente personaggio della finanza di Wall Street, sfoderando con garbo banalità sociali e pratiche botaniche scambiate per metafore politiche, prima con gli amici del benefattore, poi in interviste e in talk-show politici, si accredita come guru di una nuova saggezza politica. Così gli Usa hanno questi due candidati e non altri e tra questi devono scegliere. Se il/la vincente farà bene o farà male, non possiamo dirlo adesso. Ricordiamoci dell’elezione di Reagan, avvenuta a sorpresa e nella generale incredulità. Per la sua parte e forse anche un po’ più in là è stato un grande presidente. Il fatto è che il sistema di potere dell’economia Usa in tutti i suoi aspetti è talmente imponente che la struttura istituzionale è nella realtà assai meno ‘presidenzialista’ di quel che sembri. Il Presidente, nonostante le apparenze, non è quasi mai “un uomo solo al comando”, deve sempre andare incontro ai mutevoli umori del Paese, per non perdere la maggioranza in Congresso nelle elezioni di medio termine, per essere rieletto nel secondo mandato, per non riperdere la maggioranza nelle successive elezioni di mezzo termine, per cercare di spianare la strada ad un successore dello stesso partito al termine dell’ottavo anno di mandato.
(O) È una vitaccia! Ci si domanda chi glielo fa fare a Hillary. Io non credo alla versione dell’ambizione, della rivincita sul marito, credo piuttosto a un vero mandato da parte del suo partito, per non scivolare troppo a sinistra, e perdere, con Sanders. I democratici con Obama hanno sperato di imprimere una svolta sociale ed economica definitiva, ora si trovano impantanati in una crisi di leadership mondiale che non avevano mai conosciuto prima di Theodore Roosevelt.
(S ) Comincerei a tirare le somme. Anche negli Usa la politica vera è sempre più debole e i giochi sempre più sporchi, proprio come da noi, in Europa e in Italia. E ci mette lo zampino pure Putin, che la patente di democratico l’ha ben ricevuta dagli Americani e ora vorrebbe usarla per farsi un Presidente di comodo, che rinunci alle pretese globali degli Usa e gli lasci mano libera in Europa e Medio Oriente. Accidenti, peccato non poter votare, questo mi farebbe propendere per Hillary, nonostante tutto.
(O) Siamo arrivati al punto di svolta, dove si svela che la storia del progressismo finisce per partorire un futuro conservatore e non si tratta di voltafaccia gattopardeschi, improvvisi e opportunistici. Accennavo prima a Trump che sembra la voce della paura, delle classi sociali medio-basse e Hillary quella di Wall Street. Ma in Italia è lo stesso. Ricordate le analisi sulla composizione sociale dei votanti delle amministrative? Ecco che è diffuso una più sistematica analisi, a cura di Tecné, da cui risulta che la fiducia nel governo Renzi raggiunge il livello 41 tra i ceti socio economicamente medio alti, il 36 tra quelli medi e solo il 31 tra quelli medio bassi. La mia conclusione è che sta crescendo un’idea di benessere, o se preferisci, di società giusta, decisamente deformata. Non molti anni fa si andava dicendo che in definitiva la democrazia migliore finiva per rappresentare la società dei due terzi (inteso come 2/3), oggi si rischia, complice la legge elettorale, a rappresentare efficacemente solo un terzo o poco più della società: non per niente chi si sente meno rappresentato è anche chi più facilmente si astiene dal voto.
(C ) Mi state assimilando Trump al fronte del NO e Hillary a quello del SI’? È una truffa a cui mi ribello! Anch’io, sinceramente, non avrei il coraggio di votare per Trump, ma non mi rassegno assolutamente a vedere nella democrazia rappresentativa un metodo qualunque per garantire legittimazione formale e continuità sostanziali a governi decisi in altri luoghi e per altri scopi che quelli voluti dal popolo attraverso il Parlamento. Lo so, dovrei prendermela con la legge elettorale e non con la riforma costituzionale, ma siccome posso solo intervenire nel negare consenso al modo con cui una ristretta maggioranza potrà decidere degli organi costituzionali di garanzia, a questo solo mi attacco. Quanto agli Usa, se la spiccino loro. Chiunque eleggano, potranno continuare a fare danni gravi in Europa e in Medio Oriente, sia che si ritirino nel loro continente, sia che continuino con la sciagurata tolleranza alla politica saudita verso il fondamentalismo islamico, guidati dalla massima che, se si ammazzano tra sunniti e sciiti, lasciano stare Israele. Tuttavia conservo una grande fiducia nella società americana, soprattutto nella gente comune delle grandi aree agricole e industriali delle Grandi Pianure e del Mid-West e nel sistema federalistico che li garantisce, ma temo che le loro istituzioni, a livello centrale finiscano per essere preda della stretta alleanza tra finanza e massmedia, che è il rischio della vittoria di Hillary Rodham Clinton. Quanto a noi, non è difficile vedere laggiù il nostro futuro e vorrei che cercassimo di non affrettarlo con improvvisate scimmiottature: diffido delle imitazioni, quanto e più dell’originale. Vero che lo spettacolo dei dibattiti Trump versus Clinton ha rivalutato di gran lunga i protagonisti delle nostre Porta a Porta, delle Tribune Politiche, delle Piazze e delle Arene ecc. e ci hanno fatto apparire (solo a titolo di esempio e per non dire di altri) Salvini un moderato, D’Alema un simpaticone, Boschi una scienziata e Renzi un …Cosimo de’ Medici. Ma pensiamoci bene, cerchiamo di non sbagliare direzione, per non trovarci a dover scegliere, nel 2018, se consegnare il paese intero in un solo pacchettino a un piccolo Trump o a una piccola Hillary o a qualche piccolo Grill…
(S) Sebastiano Conformi (C ) Costante (O) Onirio Desti
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