“Non sarà facile avanzare se non interverrà una vera conversione della mente, della volontà e del cuore. Il compito richiede l’impegno risoluto di uomini e di popoli liberi e solidali ” (Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptor hominis, 1979, n. 16).
I mangiapreti radicali investirono l’anno dopo le loro pur modeste guarnigioni in una campagna nazionale d’ informazione contro la fame nel mondo. Era il 1980. La chiesa cattolica appoggiò decisamente l’iniziativa. Son trascorsi da allora ben trentasei anni e nell’anno del Giubileo della Misericordia non si possono certamente ignorare i carcerati, come stabilisce una delle sette opere di misericordia corporali così magistralmente descritte e racchiuse nella tela mozzafiato del Caravaggio al Pio Monte della Misericordia nell’amata Napoli.
Per il Giubileo dei carcerati ci sarà una marcia domenica 6 novembre che partirà dal carcere romano di Rebibbia per arrivare a Piazza san Pietro. La Cei ha dato la propria adesione. Miracolo della Misericordia dopo 36 anni? No. Anche a Varese la presenza del volontariato cattolico presso le carceri dei Miogni è vitale da tempo. Si lavora nel silenzio di tutti e nell’interessamento di nessuno. Poi ci sono anche laici e istituzioni, naturalmente, come CPIA ed i professori Roberto Caielli e Giovanni Bandi, tra gli altri.
Invitata da Universauser Varese nell’ambito del Festival dell’Utopia, è giunta a Varese in ottobre Rita Bernardini, nel silenzio generale della stampa locale, con una sola vistosa eccezione. Rita, già parlamentare italiana ed europea, da anni gira per le carceri italiane non trascurando poi di riferire i misfatti a radio radicale, settimanalmente. La stessa, autorizzata dal magistrato, ha potuto avere accesso al carcere dei Miogni di Varese, non senza qualche resistenza.
Premesso che il sistema carcerario è una cartina di tornasole del grado di civiltà di un paese, delle sue contraddizioni e difficoltà, c’è sofferenza in molti Paesi occidentali. Gli Stati Uniti segnano il record di oltre due milioni e mezzo di detenuti e in alcuni Stati americani la spesa carceraria supera quella per il sistema scolastico (si va in galera per guida in stato di ebbrezza). L’Italia è ormai alle prese con una crisi di sistema che richiede un intervento deciso e risolutore anche se i carcerati sono relativamente pochi, circa 60 mila. Di questi quasi la metà è teoricamente innocente, cioè è detenuta in attesa di giudizio.
Di questa metà un terzo sono stranieri, gente spesso arrivata clandestinamente in cerca di futuro, senza lavoro, senza reddito, senza casa, senza istruzione, preda di venditori all’ingrosso di droghe leggere e pesanti sul libero mercato.
Restano in cella molti, assistiti da un avvocato nominato d’ufficio, senza futuro.
Al Carcere dei Miogni stazionano detenuti con pene da scontare inferiori ai tre anni. La popolazione oscilla intorno alle 70 unità. Il carcere è a dir poco fatiscente ed infatti è stata prospettata più volte la chiusura o il trasferimento in nuova struttura, verso le periferie. Ai Miogni una cella con due detenuti concede forse meno di due metri quadrati a testa di pavimento calpestabile. Una parete, sul fondo, divide la cella. Dietro questa parete un fornello e una turca. Dove si mangia si defeca, parrebbe capire, ma nessuno interviene per rimediare a situazioni sanitarie da lager.
Magistrati? ASL? Organi di controllo? Sindacati del Corpo di Guardie Carcerarie? Regna il silenzio per quanto ne possiamo sapere.
I topi, secondo quanto dichiarato da alcuni detenuti a Rita Bernardini, pare girino al piano terra, felici. Al piano terra in inverno fa troppo caldo mentre ai piani superiori si dorme con chili di coperte e la cuffia in testa per il freddo. Non è dato sapere se corre acqua solo fredda. È certo che molti detenuti son disposti a lavorare gratis fuori dal carcere e sarebbe utile che qualche istituzione provasse a prendere contatti, visto che i Miogni sono anche in zona centrale.
Non si può essere fiduciosi, anche se per la prima volta un Presidente del Consiglio italiano in carica ha visitato un carcere. Matteo Renzi è stato al carcere di Padova, carcere modello, nell’ottobre scorso. Non era mai accaduto in 155 anni di Unità del Paese. Un segnale di cambiamento? È improbabile. C’è sempre altro come priorità di spesa anche se il carcere è ormai paragonabile ad un corso di studi superiore. Entri come piccolo delinquente ed esci laureato in più materie del delinquere perché nulla è la possibilità di riabilitazione, crescita interiore, progresso culturale serio.
Per chi scrive la soluzione sarebbe l’abolizione del carcere, tutte le carceri, semplicemente. Meno spese, meno danni alle persone, meno scuola qualificata per un delinquere. Viste le statistiche e le indagini, non è una provocazione. Per chi crede resta il Giudizio finale.
Dopo il Giubileo dei carcerati nel 2000 voluto da Giovanni Paolo II la situazione non è cambiata. Anche il Presidente Napolitano più volte chiese provvedimenti ed interventi al Governo senza alcuna risposta. La civiltà di un popolo la si misura dal regime carcerario. Ecco, appunto.
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