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Noterelle

SUONAVANO LE SIRENE

EMILIO CORBETTA - 27/10/2016

rifugio

La visita ad un rifugio antiaereo di Varese

Si viveva al suono delle sirene che laceravano con frequenza l’aria con i loro urli allarmanti per avvertire che si doveva correre nei rifugi anti aerei. Ogni giorno suonavano numerose volte. Di notte un po’ meno, ma gli allarmi notturni erano molto più temuti. Come funzionava? L’Italia non aveva radar (era uno dei gravi punti di debolezza della nostra difesa), ma era stata organizzata una catena completa di punti di guardia, per cui l’allerta si diffondeva velocemente su tutto il territorio.

La città era costellata di rifugi, più o meno validi. I più fragili erano quelli realizzati nelle cantine delle abitazioni. I più sicuri quelli scavati sotto terra, spesso nel cuore delle colline, e di questi ce ne sono ancora. Qualcuno è stato ristrutturato e viene riabitato per visite guidate. Potrebbero anche essere usati per stagionare formaggi: Varese avrebbe gustosi formaggi di fossa … Ma bisognerebbe conoscere le ricette ed avere la materia prima. E le mucche varesine non sono molte … in città impossibile allevarle. Avevano messo una capretta a brucare i prati dei giardini Estensi, ma ci vuole ben altro. Ci vorrebbero fattorie all’esterno della città, ma piano piano scompaiono.

Per me e per i miei coetanei l’infanzia è costellata dal ricordo degli allarmi, tanto che rammento d’aver fatto meditazioni un poco fantasiose in cui mi chiedevo e cercavo di immaginare giornate non scandite dal suono delle sirene. “Chissà com’è bella una giornata senza la paura dell’allarme” mi chiedevo.

Negli ultimi tempi della guerra c’erano persone che con fatalismo non ascoltavano più le sirene: “Vado avanti a lavorare, tanto se devo morire morirei anche in un rifugio”. In effetti sentivo gli adulti discutere se era meglio affrontare gli attacchi aerei nei rifugi o correre nei boschi all’aperto, nascosti agli occhi dei piloti dal verde fogliame degli alberi. Le probabilità di sopravvivenza erano uguali, dicevano le comari nei loro discorsi. Le bombe avevano un potere così dirompente che i fragili rifugi delle case erano praticamente inutili. L’esperienza dei grandi bombardamenti di Milano, ma anche quello che colpì Varese quando fu bombardata la “Macchi”, lo dimostrarono: famiglie intere trovate morte nelle cantine sotto le macerie o soffocate dal fumo degli incendi.

Poi la guerra ebbe finalmente fine. Gli allarmi cessarono, ma le sirene continuarono a suonare a orari stabiliti: non annunciavano più i pericoli dei bombardamenti ma gli orari di lavoro nelle fabbriche, che allora in città erano numerose. Il suono delle sirene non era più lugubremente temuto perché scandiva i tempi del lavoro. Ai nostri orecchi il loro suono era diventato gioioso, ottimista, contemporaneo allo squillare delle campane delle chiese, e lo si ascoltava con serenità. Il lavoro portava nelle case il pane che aveva cessato d’essere nero e dal sapore indigesto. In compenso eravamo un popolo di magroni. Significative ancor oggi le immagini dei film d’allora, i film del neorealismo.

E oggi? Oggi la realtà di Varese è molto mutata. La vita della città non è più scandita dalle sirene: non ci sono più le fabbriche d’allora. Varese è città di uffici, i suoi abitanti stanno diminuendo, fabbriche ed artigiani in fuga dal suo territorio diventato da anni ridotto, più piccolo. In effetti allora i confini di Varese erano più ampi, poi l’idea che l’amministrazione del territorio sarebbe stata più democratica se gli amministratori fossero stati più numerosi, fece si che fiorissero comuni più piccoli confinanti e la città stessa fosse divisa in ben 6 circoscrizioni.

Si veniva da un lungo periodo in cui non c’era stata libertà, libertà di pensiero e d’azione. C’era stato l’assoluto controllo della comunicazione: pensieri, idee, parole, critiche contrarie a quelle ufficiali non potevano essere espresse, non venivano accettate e potevano essere severamente punite. Comandavano pochi che avevano un indiscusso grande potere.

Con l’avvento della cosiddetta “liberazione” riprese voce il sogno, l’utopia del governo del popolo, creando numerosi centri direzionali, possibilità di assemblee dove si confrontavano idee diverse e si poteva sperare veramente nella democrazia. Nelle edicole c’erano giornali redatti col sostegno di idee diverse, anche contrastanti e si era stati chiamati a votare tutti, figuriamoci, anche le donne!

I nuovi eventi davano ottimismo e si scoprirono poi i pregi, ma anche i difetti con le fatiche del nuovo modo di governare e troppi, dopo i primi entusiasmi, malauguratamente si allontanarono dalla politica.

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