Il Cardinale Ravasi, da profondo conoscitore delle lingue, precisa che educare deriva dal latino “e-ducere”, che significa estrarre e far fiorire semi dall’anima e dalla mente; invece “con-ducere” vuol dire accompagnare; “se-ducere” può essere inteso come affascinare o far deviare; “circum-ducere” si riferisce alla circonvenzione di una per-sona da educare; “in-ducere” equivale a imbottire cervello e cuore.
È significativo che nell’ideale “pentagramma” di vie destinate a costruire una “umanità nuova” una “terza via” sia un percorso dedicato proprio all’ “educare”, che è l’offerta, la proposta di ciò che si è contemplato.
A dire il vero il discorso non è nuovo: è da tempo, infatti, che questa prospettiva è entrata nelle analisi e nei programmi della Chiesa italiana, consapevole che con l’avvento della cultura digitale si sta assistendo ad una nuova “condizione umana”.
L’impegno educativo oggi non può essere esaurito né dalla sola famiglia, che rimane pure uno dei soggetti capitali al riguardo, né dalla scuola e neppure dalla comunità ecclesiale, che si sentono indebolite e in profonda trasformazione.
Oggi occorre una cooperazione integrata di più soggetti e agenzie impegnate a stilare un progetto educativo complesso e complicato. Qualcosa di buono si vede all’orizzonte: famiglie che sostengono famiglie più fragili, famiglie che offrono tempo ed energie a sostegno degli insegnanti per trasformare la scuola in un luogo di incontro; ambiti della pastorale che ridefiniscono e rendono meno rigidi i propri confini…
Prendiamo il caso della scuola: questa istituzione, preposta a presidiare la profondità del sapere umano, anno dopo anno appare sempre più sedotta e conquistata dalla forma di sapere come accumulo, manutenzione e gestione dei dati. Sembra ormai che, nella didattica di ogni ordine e grado, tutto si muova in direzione delle competenze da far acquisire agli studenti.
Le antiche parole di Plutarco (“il maestro non è uno che riempie un sacco, ma uno che accende delle fiamme”) sembrano del tutto tradite nell’esercizio concreto dell’educazione scolastica. Il sapore amaro che la parola competenza trasferisce ai luoghi dello studio – testimonia un insegnante al Convegno – è quello di un luogo dell’arruolamento militare: a scuola non si danno insegnamenti, ma si predispone all’apprendimento di qualche abilità, per essere meglio equipaggiati nella lotta per la vita e uscirne vincitori… E pensare che il verbo studere, in latino, significa semplicemente amare!
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