I) MARTIN LUTERO: SANTO O DEMONIO ?
Due date: 1517 – 2017
Parlare di Lutero non è facile, per vari motivi, ma forse soprattutto per tanti pregiudizi su di lui, benevoli o meno. Proviamo a ignorarli per un momento e lasciamoci guidare dalla storia, benché sommaria.
Nel 2017 si celebrerà il V centenario dell’inizio della Riforma luterana, essendo il 1517 l’anno della pubblicazione a Wittenberg (a sud di Berlino) delle famose 95 tesi dedicate da Lutero soprattutto alla critica della predicazione sulle indulgenze nella sua Germania: “Fate belle offerte – gridavano i predicatori a nome di Papi e vescovi a volte indegni e affaristi; v. Alessandro VI Borgia e Leone X de’Medici – e salverete l’anima vostra e dei defunti”. Le 95 tesi furono come il fiammifero in una polveriera. La polveriera era la Germania e l’Europa del 1500, ancora abbastanza unite (pur zoppicante ma c’era ancora anche il Sacro Romano Impero di nazione germanica), benché ormai sull’orlo della frammentazione in tanti piccoli Stati e in diverse Chiese; intanto i Turchi premevano da oriente.
Lutero, all’inizio, non vuole creare un’altra Chiesa, ma solo riformare evangelicamente quella del suo tempo; come non vuole eliminare il papato né la gerarchia ecclesiastica o imperiale: intende solo, appunto, riformare. E ne aveva certamente tante ragioni, più o meno note da qualsiasi seria storia della Chiesa. La sua riforma ha motivi storici molto concreti, come il peso enorme di tasse ecclesiastiche soprattutto sulle chiese tedesche e sui principi cattolici, anche perché si stava costruendo la nuova basilica di san Pietro a Roma. Ma la riforma si basa innanzitutto su motivi religiosi, di fede.
Nemmeno questi in verità erano una novità, essendoci già stati nei secoli precedenti cattolici di diverso livello assai critici sulla vita di ecclesiastici e sulla fede piuttosto superficiale di religiosi e di laici: sembra a Lutero (magari esagerando) che tutta la religiosità cristiana abbia ben poco di… cristiano, ben poco dipenda da una fede profonda in Gesù Cristo; gli sembra che tutto o quasi dipenda da parole e opere umane ritenute per se stesse meritorie e salvifiche: offerte in denaro (specialmente per lucrare facili indulgenze), penitenze esteriori, devozioni a Madonne e reliquie, processioni e feste, pellegrinaggi, accumulo di Messe, ubbidienze a superiori e a voti espressi come da schiavi a strutture giuridiche, ecc. Insomma: sono io che mi salvo o è Gesù il mio salvatore? Sono le mie opere che contano o è la fede nell’opera da Dio compiuta in Cristo morto e risorto? Questa la domanda di Lutero, tra l’altro ossessionato dalla paura dell’inferno anche per lui peccatore.
Opere umane o opera di Dio?
Lutero sempre più decisamente e polemicamente (la polemica vale ma offusca le idee) sposta l’accento della sua vita di severo religioso agostiniano e della sua predicazione orale e scritta, rivolta alla gerarchia ecclesiastica ai principi e al popolo, dalle opere umane all’Opera graziosa di Dio in Cristo, alla quale mi apre solo la fede: questa sola basta per la mia “giustificazione” davanti a Dio, ossia per potermi mettere davanti a Lui come “giusto pur peccatore”. Lutero afferma questo specialmente sulla base del suo sant’Agostino (il dottore della Grazia!) e dello studio di san Paolo, in particolare della lettera ai Romani, cui dedica anni di ricerca appassionata e di insegnamento.
Ovviamente questo suo accento sulla Grazia e sulla fede giustificante suscita subito la domanda: e le opere umane non contano per niente? Posso quindi agire come voglio e come mi piace, senza alcuna preoccupazione morale e senza alcuna attenzione a leggi ecclesiastiche o civili (comprese quelle sulle tasse!), ad autorità esterne alla mia fede? Non per niente anche i contadini tedeschi osanneranno Lutero, che però poi li deluderà amaramente.
Il problema fede-opere viene subito avvertito a tutti livelli e continuerà ad angustiare gli stessi protestanti per molto tempo, ma, ovviamente, innanzitutto i cattolici. Anzi, di fatto, sembra sia stata soprattutto questa messa in discussione dell’obbedienza a leggi e gerarchie a provocare la scomunica di Lutero, avvenuta nel 1520 da parte di papa Leone X, pur dopo tentativi di dialogo. Il problema, oltre che contingente e economico, era ed è davvero cruciale e Lutero stesso lo sa. Qual è allora il suo vero pensiero al riguardo? Ascoltiamo una sua pagina, scritta nel 1522, nella introduzione al suo commento alla lettera di san Paolo ai Romani; è una pagina non facile, ma merita attenzione per la sua sostanza, una volta accostata con libertà di spirito. Ve la trascrivo quasi tutta, prendendola da V. Vinay, Scritti religiosi di Lutero, ed. Utet Torino 1967, pag. 520.
Fede e giustizia davanti a Dio
“Fede non è quell’umana illusione e quel sogno che alcuni pensano essere fede…La fede invece è un’opera divina in noi, che ci trasforma e ci fa nascere di nuovo da Dio. Essa uccide il vecchio Adamo, trasforma noi uomini completamente nel cuore, nell’animo, nel sentire e in tutte le energie e reca con sé lo Spirito santo. Oh la fede è cosa viva, attiva, operante, potente, per cui è impossibile che non operi continuamente il bene… Fede è una fiducia viva e audace nella Grazia di Dio, tanto certa di questa che morrebbe mille volte piuttosto che dubitarne. E tale fiducia e conoscenza della Grazia divina ci rende lieti, baldanzosi e giocondi dinanzi a Dio e a tutte le creature per l’opera dello Spirito santo nella fede.
Perciò l’uomo diventa volonteroso, senza costrizione, e lieto nel fare il bene a ognuno, nel servire ognuno, nel sopportare ogni cosa, nell’amore e nella lode a Dio che ha manifestato in lui tale Grazia. E’ quindi impossibile separare le opere dalla fede, come è impossibile separare dal fuoco calore e splendore. Perciò guardati dai tuoi falsi pensieri e dalle chiacchere vane che vogliono essere intelligenti e dare giudizi sulla fede e sulle opere buone, mentre sono sommamente stolti. Chiedi che Dio operi in te la fede, altrimenti qualunque cosa tu possa immaginare o fare, rimarrai sempre senza la fede.
Giustizia (nei riguardi di Dio) è soltanto questa fede e si chiama giustizia di Dio, ossia giustizia che vale davanti a Dio, perché Dio la dona e la mette in conto di giustizia per amore di Cristo nostro mediatore, e spinge l’uomo a dare a ciascuno ciò che gli deve. Mediante la fede l’uomo è purificato dal peccato e trova piacere nei comandamenti di Dio. In tal modo dà gloria a Dio e gli rende quello che gli deve. Serve volonterosamente gli uomini in quello che può e così rende anche a ciascuno il dovuto.
Natura, libera volontà e le nostre forze non possono attuare questa giustizia… Perciò è ipocrisia e peccato tutto ciò che avviene all’infuori della fede o nell’incredulità, sia pur splendido quanto si voglia” (magari come la basilica di san Pietro in costruzione).
Splendori e limiti
Più volte m’è capitato di leggere questa pagina, senza dirne l’autore, anche a gruppi di preti. Reazione: “Pagina bellissima, l’avrà scritta il Papa!” Sorpresa e incredulità dopo averne conosciuto l’autore.
Effettivamente è una pagina molto bella, frutto di una grande fede in Cristo e nel suo Dio, aperta a immensa speranza anche per contadini e poveri peccatori di ogni categoria, chiara sulla connessione quasi immediata tra fede e opere buone. Queste sono viste non come meriti, ma solo come frutto della fede. Di quale fede? Non di quella della Chiesa (benchè Lutero non abbia mai voluto escluderla), ma soltanto o quasi della “mia”. Per lui questa è determinante e basta, senza alcun bisogno di autorità diverse a insegnarmi il Credo e la morale.
Sacrosanto il rilievo messo sulla fede personale (in linea con l’Umanesimo e le varie forme di “devotio moderna”). Però, ed è probabilmente questo l’errore più grave di Lutero, tutto o quasi finisce chiuso nell’individualismo, un individualismo ancora credente e cristiano, però non più catto-romano (forse è significativo che nella pagina letta sopra non si accenni a gerarchie); ma poi quell’individualismo sfocerà, circa 100 anni dopo, in quello cartesiano del “io penso, io ragiono (non più credo) quindi io sono” e in quello moderno del “secondo me la verità e la giustizia è…”.
Insieme con quell’individualismo si intravvede in quella pagina il pessimismo luterano (pur corretto in altre pagine): io, da solo, non posso fare nulla di buono, anzi sono sempre e per sempre un peccatore destinato alla perdizione e alla maledizione. Unica leva di giustificazione e di salvezza la Grazia di Dio e la fede in Cristo. In verità Lutero riconosce che ognuno, pur impastato di peccato, può almeno “chiedere che Dio operi in lui la fede” e quindi, dopo e senza mai vero merito, saper “dare a ciascuno il dovuto”. E’ noto che il cattolicesimo sottolineava e sottolinea ancora l’importanza, accanto e dopo la Grazia, della libertà umana, fino a una eccessiva enfasi sui “meriti” personali (nonostante che già il Concilio di Trento negasse l’esistenza di veri meriti).
Dalle lotte al dialogo
Purtroppo e nonostante tentativi di dialogo anche al concilio di Trento (1545-63), per quasi 5 secoli, non ci si intese e ci si combattè anche sanguinosamente (cfr la guerra dei 30 anni in Germana, 1608-48), Lutero venne anche calunniato da cattolici e mal compreso da molti protestanti, anzi addirittura alquanto rifiutato da loro. Solo da circa un secolo Lutero è rivalutato (forse più da noi che da loro) e più capito. Pur con i suoi limiti, errori e peccati, Lutero (morto nel 1546) appare anche come un forte credente in Cristo, ancora legato al Credo tradizionale di tutte le Chiese. Tra l’altro Lutero crede nella presenza “reale e pur misteriosa” di Cristo nell’Eucaristia e ha un lungo e bel commento al Magnificat di Maria.
Uno dei più vistosi segni di questo nuovo clima è la sorprendente “Dichiarazione congiunta sulla giustificazione”!, sottoscritta nel 1999 da due commissioni ufficiali, una pontificia e l’altra di pastori e teologi protestanti: cattolici e luterani sostanzialmente d’accordo proprio su quel cruciale tema! Un altro segno sarà l’intervento di papa Francesco in Svezia per l’inaugurazione ufficiale del V centenario dell’inizio della Riforma luterana. Sarebbe bello se, anche ricuperando i valori fondamentali di Lutero, tutti insieme riusciamo a far riscoprire a tutte le Chiese – classiche o moderne – e all’umanità intera la splendida luce della persona e del messaggio di Gesù. Non ne abbiamo bisogno? Il resto, ossia altri aspetti più o meno importanti del dialogo catto-luterano, possono attendere un prossimo futuro. Per ora l’essenziale.-
Per saperne un po’ di più: card. Walter Kasper, Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica, ed. Queriniana 2016, pagg.80; Stefano Cavallotto, Lutero e la riforma tedesca, in AA.VV., Storia religiosa della Germania, ed. Centro ambrosiano 2016, vol. I, pagg. 241-282; Margot Kaesemann, Sul giubileo della riforma (una vescova luterana aiuta cattolici e protestanti a vivere con reciproca simpatia l’evento del 2017), in “Il regno documenti” 2016, n°11, 381-390; Michel Lemonnier, Storia della Chiesa, ed. Isg 2013, pagg. 307-322.
II) MARTIN LUTERO E LA MADONNA
Il culto a Maria
Si sa che i luterani criticano il culto ai Santi e alla Madonna stessa, perché oscurerebbe la mediazione di Gesù (a volte diamo anche noi occasione a questa loro critica; v. antifone mariane a Compieta, certe orazioni e devozioni…). Come già sappiamo Lutero pone certamente Gesù al cuore della sua spiritualità e predicazione. Ma ha anche un lungo e interessante commento al Magnificat di Maria.
Dedicato e indirizzato al suo potente protettore il duca di Sassonia Giovanni Federico e scritto tra il 1520 e il 1521, quindi già da scomunicato, Lutero vi segue frase per frase il Magnificat e lo commenta. Certo, vi inserisce molte delle sue idee: importanza fondamentale della fede nella Grazia di Dio e quindi in Gesù Cristo, valore secondario delle opere umane, critica a volte feroce alle gerarchie ecclesiastiche e alla religiosità popolare tedesca, pessimismo sulla natura umana e sulle sue possibilità (tutto è peccato, anche il matrimonio e le attività politiche se non sono guidate dalla fede), ecc. Tuttavia quel commento merita attenzione. Ne considereremo qui solo qualche brano (preso da V. Vinay, Scritti religiosi di Lutero, Utet 1967, pagg. 431-511). Ovviamente suppongo che il mio lettore conosca bene il Magnificat.
Dalla premessa: “La dolce madre di Dio mi procuri lo Spirito (!), affinchè io possa spiegare con giovamento e bene questo canto… e noi tutti ne possiamo trarre un’intelligenza che ci meni alla salvezza e ad una vita degna di lode, sì che poi possiamo nella vita eterna celebrare e cantare questo eterno Magnificat. Lo voglia Iddio. Amen.” Così dunque scrive Lutero.
Lutero commenta il Magnificat
Non tutti possono pregare col Magnificat: “I primi sono quelli che non sanno lodare Dio se prima Egli non fa loro del bene… siccome non vogliono soffrire oppressione né abbattimento, non possono mai conoscere le opere di Dio e perciò non possono mai veramente amare e lodare Iddio… Il Magnificat viene cantato in modo solenne… ma non lo intoniamo se non nei momenti per noi buoni e se le cose vanno male il canto tace…Così anche il Magnificat rimane senza forza.
Poi ci sono quelli che per sé traggono vanto dai beni di Dio, ma non li attribuiscono alla pura bontà divina, bensì vogliono averne un merito, essere onorati e stimati dagli altri…Si diventa orgogliosi e soddisfatti di se stessi… Invece Maria non dice: L’anima mia magnifica se stessa. Maria magnifica soltanto Dio, al quale attribuisce ogni dono. Sebbene avesse accolto in sé quella grande opera di Dio (la maternità divina), ebbe e mantenne un sentimento di umiltà, senza elevarsi sopra il minimo uomo di terra e se lo avesse fatto sarebbe precipitata con Lucifero nell’abisso dell’inferno. Se un’altra fanciulla avesse ricevuto tali beni da Dio, Maria avrebbe voluto essere ugualmente lieta e gioire di lei come per se stessa…anzi stimava tutti gli altri più di se stessa… Così non si è inorgoglita per nulla e ha lasciato a Dio la Sua libera bontà: ella non fu che un lieto ospizio e un’albergatrice volonterosa di tale Ospite…
Questo dunque significa magnificare Dio solo, stimare Lui solo per grande e non avere alcuna pretesa per noi. Così appare chiaro a quale grande motivo di caduta e di peccato ella abbia resistito, poiché non è un piccolo miracolo che non si sia lasciata prendere da orgoglio e presunzione…Non pensi che sia un cuore meraviglioso?”
Bella questa pagina e sorprende: sembra che per Lutero la grandezza morale di Maria dipenda anche o soprattutto dalle sue virtù! Nulla anche dalla sua Immacolata Concezione? Non si capisce, però rimane sullo sfondo il richiamo al dono speciale di Dio per quella fanciulla di Nazaret né gelosa né invidiosa, umile e disponibile. Del resto nemmeno tra i cattolici era già chiaro il dogma dell’Immacolata Concezione (definito da Pio IX nel 1854). A parte che, secondo i nostri Vangeli, poco sappiamo sulle virtù di Maria (al più si intravvedono) e lei stessa comprese a poco a poco il suo posto nella storia della salvezza.
Dal Magnificat alla politica
Da Maria che canta “la misericordia di Dio di generazione in generazione” Lutero attinge anche una direttiva per il duca di Sassonia e per tutti i capi di Stato. “Il potere temporale ha il dovere di proteggere i suoi sudditi, perché esso porta la spada per incutere timore a coloro che non si convertono a questa dottrina divina, affinché lascino vivere in pace gli altri… Tuttavia questa protezione non deve avvenire provocando malanni maggiori…Si fa una cattiva protezione quando, a causa di una persona sola, si mette in pericolo tutta una città o si impegna tutto il Paese per un villaggio o un castello… Anche un suddito deve soffrire qualche torto per il bene della comunità e non deve volere che per cagion sua tutti gli altri subiscano gravi danni… Un principe o un’autorità deve badare piuttosto a giovare a tutto il popolo che a un singolo. Non diverrà un ricco padre di famiglia chi getta via l’oca perché le fu strappata una piuma”. Insomma la misericordia divina dovrebbe orientare anche i rapporti socio-politici, almeno quelli del tempo di Lutero.
Maria e la progenie di Abramo
Quando il Magnificat arriva a parlare delle promesse graziose di Dio alla “progenie-discendenza di Abramo, ossia al popolo di Israele”, Lutero affronta insieme due temi: quello, appunto, di Israele e quello della verginità di Maria.
Su Israele e Giudei Lutero fu a volte tremendo e aspro nemico; qui invece usa un linguaggio più mite: “Non dobbiamo trattare duramente i Giudei, perché fra di loro ve ne sono ancora di quelli che nel futuro diverranno cristiani e che lo divengono ogni giorno. Inoltre essi soli hanno la promessa e non noi…essi sono la progenie benedetta. Se noi vivessimo cristianamente e con la bontà li conducessimo a Cristo, useremmo il metodo giusto. Chi vuole diventare cristiano quando vede i cristiani trattare gli uomini tanto poco cristianamente? Non è così che si deve agire, diletti cristiani, ma si dica ai Giudei la verità con benevolenza; se poi non la vogliono accettare li si lasci in pace. Quanti sono i cristiani che non rispettano Cristo, non ascoltano le sue parole, fanno peggio dei pagani e dei Giudei, eppure li lasciamo in pace o addirittura cadiamo ai loro piedi quasi adorandoli come idoli?” E se Hitler e i suoi adepti, che quasi adoravano il loro capo, avessero letto anche queste frasi del loro Lutero?…Purtroppo ne ricordarono solo quelle pesantemente antiebraiche del 1543.
Sulla verginità di Maria Lutero ha una complessa riflessione e un’enfasi inaspettata. Per capirla, anche senza condividerla del tutto, occorre richiamare ancora il pessimismo luterano (e in buona parte agostiniano): tutte le attività umane sono per sé e rimangono sempre bacate dal peccato, sono impure, esprimono e producono, per sé, maledizione. Tra quelle anche il matrimonio e la sessualità; così egli pensa almeno per un certo tempo, cioè almeno fino al suo matrimonio con una ex-suora (Caterina von Bora, avvenuto nel 1525 e da cui avrà 5 figli). Quella mentalità pessimistica gli suscita il problema: tutti i figli di Abramo, tutto Israele, in quanto dipendenti da matrimonio e sessualità, sono per natura immondi, maledetti e procreatori di maledizione. Come poteva Gesù, in quanto ebreo, non essere anche lui maledetto?
Ecco l’invenzione di Dio: Gesù nasce da un’ebrea, dalla sua carne di donna, ma vergine! “Chi troverà una via di mezzo, affinchè rimangano veri le parole e il giuramento di Dio (ad Abramo e alla sua discendenza) senza cadere nella maledizione naturale?… Ecco come Egli ha saputo associare due elementi contrastanti: suscita in Abramo il seme, un figliolo secondo natura da una delle sue figliole, però pura vergine, Maria, per mezzo dello Spirito santo, senza opera di uomo. In questo caso la nascita e la concezione secondo natura non fu accompagnata dalla maledizione, che non potè colpire questo seme, il quale eppure è veramente seme di Abramo secondo natura, come tutti gli altri figlioli di Abramo…
E’ quanto intende la dolce Madre di questa progenie, quando dice che Dio ha soccorso Israele secondo la promessa rivolta ad Abramo e a tutta la sua progenie, ben vedendo che la promessa si era compiuta in lei. Perciò ella dice che ormai questo fatto è compiuto e che Dio ha soccorso Israele, mantenendo la sua parola per semplice ricordo della Sua misericordia.
Qui noi vediamo il fondamento dell’Evangelo e perché ogni sua dottrina e ogni sua predica porti alla fede in Cristo e al seno di Abramo. Se manca questa fede, in cui si afferra la progenie benedetta, vano è ogni consiglio e ogni soccorso”.
Da Lutero a noi
Non tutto ci appare condivisibile in Lutero, in particolare il suo esagerato pessimismo verso tutto ciò che è umano (Lutero identifica il peccato originale con la concupiscenza naturale) e quindi anche la sua maniera di valorizzare la verginità di Maria. Se Gesù è ”santo” lo è per altri motivi e lo sarebbe anche se fosse nato, supponiamo, da una normale coppia di sposi. Prese queste distanze da Lutero, tuttavia è sempre utile, anzi doveroso conoscerlo prima di…mandarlo al rogo (a parte il fatto che lui l’ha scampato). Pur con limiti, contraddizioni e peccati (e chi non ne ha?), egli ci invita a sottolineare sempre la fondamentale importanza della Grazia di Dio per noi povere creature e peccatori, manifestata e realizzata in Gesù morto e risorto e nato dalla vergine Maria. Così possiamo anche noi, con Lutero e i suoi discepoli, cantare il Magnificat.
III) MARTIN LUTERO E L’EUCARISTIA
Partenza polemica
Dopo aver sentito Lutero sulla Madonna non può mancare il suo discorso sul sacramento dell’Eucaristia. Anche questo risale al 1520, anno della sua scomunica. Vi dedica un lungo sermone, come una approfondita catechesi per clero e laici. Anche qui le sue idee principali: centralità di Cristo, valore secondario delle opere umane, un po’ di pessimismo (qui, chissà perché, meno forte del solito), polemica contro gerarchie ecclesiastiche e contro una certa religiosità popolare di allora troppo, a dir suo, esteriore e superficiale.
Cominciamo proprio da qui. Dopo aver ricordato come i primi cristiani partecipavano all’Eucaristia domenicale, cioè con viva fede e con carità, Lutero scrive: “Allora un cristiano si prendeva cura dell’altro, uno stava presso l’altro, aveva compassione dell’altro; ora invece tutto è sbiadito e ci sono soltanto tante Messe, vi è un largo uso di questo sacramento (!), senza alcuna intelligenza del suo significato, né alcun esercizio in esso…Molte persone non vogliono essere solidali, non vogliono aiutare i poveri, sopportare i peccati, aver cura dei miserabili, soffrire con i sofferenti, pregare per gli altri, e neppure vogliono difendere la verità e promuovere il miglioramento della Chiesa… Non sanno far altro, con questo sacramento, che temere e onorare con le loro orazioncelle e le loro devozioni il Cristo presente nel pane e nel vino…”
Il vero senso della S. Messa
Bisogna quindi, lui dice giustamente, far riscoprire a quelle persone il vero senso dell’Eucaristia e lo fa all’inizio del suo sermone con queste affermazioni da chiaro teologo e catechista: “Il santo sacramento dell’altare ha – come il battesimo – tre aspetti: il primo è il sacramento, ossia il segno. Il secondo è la cosa significata dal segno sacramentale. Il terzo è la fede nei due precedenti. Tutt’e tre necessari”.
Circa il segno Lutero sottolinea la scelta risalente a Gesù di usare pane e vino, ossia due specie o elementi esterni. Mentre, anche al suo tempo, prevaleva l’uso della comunione eucaristica con il solo pane, Lutero raccomanda e chiede la comunione con pane e vino, perché: “Gesù ha dato nel pane la sua vera carne mortale e nel vino il vero suo sangue… per dimostrare che non soltanto la sua vita e le sue buone opere manifestate e compiute nella sua carne ma anche la sua passione e il suo martirio, manifestato col suo sangue versato, tutto è nostro e noi possiamo essere introdotti in tutto ciò per goderne e farne uso”. Interessante questa spiegazione del duplice segno eucaristico, più capace, secondo lui, di manifestare il vero significato della comunione col Signore. Non gli si può dare torto e si capisce perché si sia introdotta anche da noi, almeno in certe occasioni, la comunione col pane e col vino consacrati; è così almeno dal Vatcano II e nonostante le evidenti difficoltà logistiche.
La presenza reale nell’Eucaristia
Avrete notato che Lutero parla spesso di “vera carne e vero sangue” di Cristo. Cioè anche per lui, come per la tradizione precedente risalente almeno a Padri della Chiesa come il nostro sant’Ambrogio, nell’Eucaristia c’è una presenza “reale” del Signore. Certo è una presenza assai misteriosa, non fisica ma nemmeno puramente simbolica. Lutero si è anche scontrato duramente con il suo contemporaneo e riformatore svizzero Zwingli, che riteneva solo simbolica quella presenza (come sarebbe la patria nel tricolore).
Certamente anche Lutero capiva che c’era un mistero più unico che raro. In che senso presenza “reale” sia pure non fisica o materiale? La Chiesa cattolica, da alcuni secoli, cercava di spiegarla con la “transustanziazone”, ossia con un mutamento non materiale o esteriore ma profondo, riguardante cioè la “sostanza” del pane e del vino, sostituita da quella del corpo e del sangue di Cristo. Un esempio: ognuno di noi mangia la sua michetta di pane, ma la sostanza del pane c’è in tutte le michette di questo mondo; così in tutte le ostie consacrate, anche se ognuno prende solo la sua ostia fisica, unica e comune è la “sostanza”: quella di Cristo. Così spiegava il dogma la chiesa cattolica: Cristo è presente “a modo di sostanza”: Potremmo forse anche dire: è presente con il suo Spirito e ce lo comunica sempre di più.
A Lutero però non piaceva quella spiegazione cattolica e non la capiva (anche per noi è difficile, non solo come parola da pronunciare), e quindi scrive: “Alcuni esercitano la loro arte e le loro sottigliezze per cercare dove rimane il pane quando è trasformato nella carne di Cristo e il vino nel suo sangue, e anche come in una così piccola particella di pane e di vino possa essere contenuto tutto il Cristo, la sua carne e il suo sangue. Ma non importa nulla che tu non lo veda. Basta che tu sappia che è un segno divino, in cui la carne e il sangue di Cristo sono veramente contenuti; come e dove rimettilo a lui”. Quindi è una calunnia affermare che Lutero, trascurando la teoria della transustanziazione, negasse la presenza reale del Cristo (per sé del Cristo ora glorioso) nel segno eucaristico. Eppure ancora oggi questa calunnia viene ripetuta. Certo, Lutero non si è interessato di altri spetti dell’Eucaristia, ma le calunnie sono sempre detestabili.
La comunione dei santi
Su quella presenza reale e pur misteriosa Lutero si dilunga e insiste su un aspetto che noi abbiamo lasciato troppo tempo nel cassetto: quello della “comunione dei santi del cielo e della terra”: “Gesù ha preferito queste forme del pane e del vino per esprimere più ampiamente l’unità e la comunione che si compiono in questo sacramento; perché non v’è unione più intima, profonda e indivisa che l’unione del cibo con colui che ne viene nutrito, in quanto che il cibo penetra e si trasforma nella natura stessa e diventa un essere solo con chi se ne ciba. Altri modi di unire, come con chiodi, colla, corda o altre cose simili, non fanno delle cose legate un essere indivisibile.
Allo stesso modo anche noi, nel sacramento, veniamo uniti con Cristo e incorporati con i suoi santi a tal punto che egli assume le nostre parti, fa o non fa per noi, come se egli fosse quello che siamo e quello che ci accade accade anche a lui e più che a noi; affinche anche noi possiamo assumere le sue parti, come se fossimo quello che egli è… Così profonda e totale è la comunione di Cristo e di tutti santi con noi… fintanto che egli abbia completamente distrutto il peccato in noi e ci renda simili a sé nel giorno del giudizio. Così pure noi dobbiamo essere uniti ai nostri prossimi ed essi a noi dallo stesso amore.
In conclusione: il frutto di questo sacramento è comunione e amore; per suo mezzo siamo fortificati contro la morte e contro ogni male. Tale comunione è di due facce: una, per cui godiamo di Cristo e di tutti i santi, l’altra per la quale lasciamo che tutti i cristiani godano di noi per quanto noi e loro lo possiamo. In tal modo l’amore egoistico di noi stessi, espulso per questo sacramento, ceda il campo all’amore altruistico per tutti gli uomini; così, per la trasmutazione dell’amore, il sacramento divenga (anche) un pane, una bevanda, un corpo, una comunità: questa è la vera unità fraterna cristiana”.
Di qui capiamo meglio le critiche di Lutero a certi cristiani del suo tempo che avevano ridotto la comunione eucaristica a qualcosa di intimistico o addirittura di egoistico, senza la dimensione della fede, della ecclesialità e della carità. Ma ciò non avveniva solo 5 secoli fa ed è un rischio sempre vicino. Forse specialmente per noi preti, esposti al rischio dell’abitudine e della Messa solo per dovere pastorale.
Confraternite diaboliche
Dopo il brano precedente Lutero ne aggiunge altri su certe “Confraternite” del suo tempo. Ne leggiamo uno solo, anche come pur pallido esempio di quel linguaggio caustico e quasi triviale cui spesso egli indulgeva, specialmente nei discorsi conviviali con amici. “Anzitutto vogliamo considerare il cattivo uso delle confraternite, tra cui questo: ci si riunisce per satollarsi e cioncare, si fa dire una Messa o alcune Messe e poi si dedica al diavolo tutto il giorno e la notte e il giorno seguente e non si fa altro che ciò che dispiace a Dio. La confraternita è piuttosto una combriccola ed è proprio una costumanza pagana, anzi animalesca… Sarebbe meglio abolire tali confraternite, essendo un grande affronto a Dio, ai santi e a tutti i cristiani e si fa del culto e del giorno festivo una beffa del diavolo.
I giorni santi devono essere celebrati e santificati con buone opere e la confraternita dovrebbe essere anche una collettività particolarmente dedicata alle buone opere; invece sono diventate una colletta per bere birra. Che ci stanno a fare i santi nomi della diletta Nostra Signora, di sant’Anna, di san Sebastiano o di altri santi nella tua fratellanza se non è altro che uno sbevazzare, gozzovigliare, sprecare inutilmente denaro, strillare, gridare, ciarlare, ballare e perdere tempo? Se si volesse fare da patrona di una simile confraternita una scrofa, questa non ne vorrebbe sapere! Perché si tentano a tal punto i diletti santi abusando del loro nome per queste ignominie e per questi peccati e si disonora e bestemmia la loro fratellanza con simili cose? Guai a coloro che le fanno e le promuovono”. (1)
Non tutto Lutero è qui, ma solo un assaggio del suo vulcanico e spesso polemico discorso. Però non possiamo ignorare le tante pagliuzze d’oro che cercava di comunicare ai tedeschi del ‘500 ma non solo a loro. La storia delle Chiese cristiane, in particolare con il loro ricupero dei valori luterani assieme al riconoscimento dei suoi limiti e delle sue contraddizioni, permette un parere più realistico su Lutero. Lasciando a Dio il giudizio più vero.
Don Giovanni Giavini, 2016
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