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Tra i miti che hanno sempre affascinato l’umanità c’è quello della Fenice, l’uccello che risorge dalle sue stesse ceneri. Tanti sono stati i cantori di questo mito e molteplici le civiltà da Occidente a Oriente che l’hanno declinato a seconda delle loro culture.
Cominciamo con la mitologia greca. Nei miti greci era un uccello sacro favoloso con l’aspetto di un’aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d’oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d’oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume — una rosa e una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco.
Il motto della Fenice è Post fata resurgo (“dopo la morte torno ad alzarmi”).
In Egitto era solitamente raffigurata con la corona Atef o con l’emblema del disco solare. Contrariamente alle “fenici” di altre civiltà, quella egizia non era raffigurata come simile né a un rapace, né ad un uccello tropicale dai variopinti colori, ma era inizialmente simile a un passero (prime dinastie) o a un airone cenerino, inoltre non risorgeva dalle fiamme bensì dalle acque.
Impossibile tracciare nel dettaglio tutte le varianti di questo celebre mito a cui è stato dato il nome di importanti teatri (a Venezia, ad esempio, che come è noto prese fuoco per poi essere riedificato), di aerei da guerra, di operazioni militari. Il logo della Fenice è servito a molte case editrici: i libri e il sapere che risorge dalle ceneri della distruzione di guerre e catastrofi. Non ultimo, il mito della Fenice venne incorporato nello stessa parabola del Cristo nel suo ciclo di morte-resurrezione.
“L’uccello di fuoco” è nelle sue varianti, anche un’antica fiaba popolare russa raccolta da Afanasjev che parla del principe Ivan allorché sorprese il meraviglioso pennuto in procinto di svolazzare intorno a un albero di mele d’oro all’interno del giardino di un mostro. Il Principe si avvicinò furtivamente all’albero a approfittando di una nuvola che nascondeva la luna rendendo buio il giardino, catturò l’uccello con un retino d’amianto. L’Uccello di Fuoco implorò il principe di lasciarlo libero e gli offre una delle sue penne di fuoco. Il principe lo liberò ed esso gli promise di tornare subito da lui in caso di pericolo . E difatti sul finir della fiaba, l’uccello con una scatenata danza ruppe l’incantesimo del mostro e salvò il Principe.
L’Uccello di Fuoco è anche uno splendido balletto di Serghej Diaghilev su musica di Igor Stravinski.
Osservando uno dei tanti documentari della natura che si vedono in tv, mi capitò di imbattermi in quello della Disney Production dal titolo “Le ali di porpora” concernente i fenicotteri del lago di Natron in Tanzania. E immediatamente, nell’osservare il meraviglioso piumaggio di questi uccelli dalla danza leggera, sia quando posano le lunghe zampe di trampoliere sul terreno, sia quando si librano il volo, ebbi l’intuizione che forse le mitiche fenici fossero proprio loro. Intanto perché hanno i nomi con la stessa radice. Poi perché il piumaggio del fenicottero vira dal rosa pallido a quello più carico, all’arancio bruciante fino al vermiglione, come i colori della leggendaria Fenice. E la danza del fenicottero al tramonto sul lago di Natron è davvero una danza di fuoco. Il nome in francese del fenicottero richiama le fiamme (flamant rose) e pure quello in Inglese (flamingo).
I nostri fenicotteri in Sardegna e quelli in Camargue sono rosa, mentre quelli africani raggiungono pigmentazioni arancioni, purpuree e vermiglie che incendiano i cieli col loro volo.
Ma ecco affacciarsi un’altra suggestione. Il Lago di Natron è di origine vulcanica e spesso i fenicotteri depongono le uova proprio sotto le sue ceneri incandescenti. Poi le uova si schiudono, i pulcini si fanno largo nel mondo e l’eterno ciclo della vita ricomincia. Dalle acque del lago, alle ceneri del vulcano, fino all’aria dei cieli, è certamente lui, il Fenicottero, il misterioso uccello su cui hanno favoleggiato artisti, poeti, narratori e che compendia nel suo ciclo biologico, i quattro elementi della Natura: terra, fuoco, acqua e aria.
Sarà forse perché stiamo attraversando tempi incerti e cupi, ma quello della Fenice è un mito luminoso, rassicurante cui il nostro immaginario attinge costantemente in momenti di smarrimento. E la Natura ce ne restituisce la sua sfolgorante conferma.
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