Passano gli anni, i secoli, i millenni, l’uomo muta i costumi, affina la sua intelligenza, compie veri e propri miracoli cognitivi, ma alla fine ritorna al punto di partenza, fatto di insicurezze, guerre, distruzioni, morte, sofferenze, violenze di ogni tipo e speranze. Sembra quasi una condanna, una condanna che dimostra quanto la vita materiale sia fragile. Più l’uomo sviluppa la sua intelligenza e più ne diventa vittima, più cerca di sopravvivere e più è soggetto alla morte. Un supplizio? Vivere non è facile. Non è facile essere coerenti, buoni, onesti, fedeli, caritatevoli e attenti fino in fondo. A ogni passo c’è una buca che mette in pericolo la nostra incolumità e nella maggior parte dei casi, anche quando ci sembra di avere il mondo in mano, ci accorgiamo di essere creature che hanno sempre bisogno, che sentono fortemente dentro di sé la fragilità di una vita in perenne stato di precarietà.
Forse abbiamo devoluto troppo al denaro e al potere, senza pensare che alla ricchezza di pochi si contrapponeva la precarietà di molti e così abbiamo creato la terra delle povertà e la terra della ricchezze, una sofisticata forma di razzismo che non nasce da una mera distinzione di razza, ma dall’ingordigia della stirpe umana, sempre attenta al proprio insaziabile ego, salvo soffermarsi su varie forme autocompensazione per cercare di mettere in pace la coscienza.
Se oggi guardiamo esterrefatti città distrutte, bambini che piangono, famiglie in ginocchio, migrazioni di massa, dovremmo forse fare un profondo esame di coscienza per capire e ricominciare, con la convinzione che sia umanamente possibile spendere meglio il dono che ci è stato fatto, tralasciando l’idea di essere gli unici e insostituibili, sorretti piuttosto dalla convinzione che la vera democrazia non erige muri, ma convergenze condivise.
Chi guadagna tantissimo dovrebbe pensare a chi, pur lavorando moltissimo, guadagna pochissimo. Il cambiamento è un atto di volontà che rifiuta i privilegi e premia le volontà, è riconoscere il perché e il dove dei nostri errori, capire che è nella coscienza collettiva che prendono forma le nostre certezze. Il punto di partenza è il lavoro, che non è mai razzista, ma strumento di elevazione umana e morale, di coesione sociale, conquista di uno spazio di speranza. Remare tutti insieme verso la terra promessa, ecco l’imperativo categorico di una società che guarda al futuro per definire meglio il presente.
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