Gesù ci dona anche oggi il suo Spirito – come l’effusione di una nuova Pentecoste – perché abbiamo bisogno di ritrovare la consapevolezza di essere parte attiva nella vita della città.
Abitare significa “stare con Gesù nella città” e riscoprire nell’incontro con lui la sorgente e il compimento del nostro impegno di trasformare, secondo le leggi dell’amore, le strutture sociali, economiche e politiche del nostro tempo.
Il cattolicesimo come “religione di popolo” non ha mai faticato a vivere l’immersione nel territorio attraverso una presenza solidale, gomito a gomito con tutte le persone, specie quelle più fragili. Istituzioni, strutture, enti, opere assistenziali ed educative sono segni incarnati della risposta al Vangelo.
Per il Papa chi incontra il Vangelo “entra in un fiume di gioia” [Evangelii Gaudium, 5], nel fiume di un Dio che seduce ancora proprio perché parla il linguaggio della gioia, un Dio autorizzato a proporsi all’uomo perché promette pienezza di vita, incremento di umano, accrescimento di gioia.
È tempo, ormai, per tutti i cristiani di imparare a parlare non del dovere, ma del piacere di credere.
Eppure, nelle attuali veloci trasformazioni, e in qualche caso anche a seguito degli scandali, corriamo il rischio di perdere l’entusiasmo della fede, la presenza capillare, la vicinanza a tutte le situazioni di bisogno, la forza di inscrivere nel mondo il segno dell’amore che salva.
Occorre, allora, radicarsi nella convinzione ed assumerci responsabilmente l’impegno di continuare ad essere una “Chiesa di popolo” dentro le trasformazioni demografiche, sociali e culturali che il Paese sta ancora attraversando (ad esempio con la fatica a generare e ad educare i figli; con una immigrazione massiva che produce importanti metamorfosi nel tessuto sociale; con una trasformazione degli stili di vita che ci allontana dalla condivisione con i poveri e indebolisce i legami sociali), non moltiplicando azioni o programmi di promozione ed assistenza, ma tenendo viva un’attenzione al fratello e ripensando insieme – se occorre – i nostri stessi modelli dell’abitare, del trascorrere il tempo libero, del festeggiare, del condividere…
Sono solo sogni? Come ci ricorda il beato Papa Paolo VI, quando parliamo di costruire la “civiltà dell’amore” non sogniamo, perché gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri. Specialmente per noi cristiani.
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