Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha celebrato lo scorso anno la Giornata del ricordo insieme con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che prima del saluto iniziale, ha consegnato delle medaglie ai familiari degli infoibati. Il presidente della Repubblica ha detto: “Finalmente possiamo guardare avanti, costruire e far progredire una prospettiva di feconda collaborazione sulle diverse sponde dell’Adriatico, tra Italia, Slovenia e Croazia superando le divisioni del passato dovute ai terribili mesi in cui in quel confine, alla fine della Seconda guerra mondiale, la lotta per fissare nuovi confini, produsse centinaia di migliaia di vittime e di deportati”.
Napolitano ha ricordato che già nel 2007, quando ospitò per la prima volta la cerimonia al Quirinale, mise al bando “ogni residua congiura del silenzio (…) rispetto a così tragiche esperienze”.
“È importante” – ha aggiunto – che quella nostra scelta, per una legge dello Stato e per iniziativa istituzionale, sia stata via via compresa al di là dei nostri confini e che certe reazioni polemiche nei confronti anche di mie parole si siano dissolte. In ciascun paese si ha il dovere di coltivare le proprie memorie, di non cancellare le tracce delle sofferenze subite dal proprio popolo. L’essenziale è però non restare ostaggi degli eventi del passato, come ho avuto modo di dire incontrando il presidente sloveno Turk, né in Italia, né in Slovenia, né in Croazia”.
Purtroppo però, registrando quello che è successo lo scorso anno, all’indomani dell’intervento di Napolitano, durante la Giornata nazionale del ricordo che si è celebrata in Lombardia, e un po’ dappertutto in Italia, c’è da dire che la commemorazione della ricorrenza, lungi dall’essere stata una giornata di concordia e di memoria condivisa, ancora una volta si è rivelata, al di là di quanto auspicato dallo stesso Napolitano, un’occasione per rialzare steccati, rinfocolare odi e divisioni e per assurde strumentalizzazioni politiche. Le parole serene e finalizzate a pacificare gli animi non sono riuscite a placare del tutto dissensi e le polemiche intorno a questa giornata né all’interno né all’estero. Perché? In Croazia, le forze politiche hanno avuto una reazione, cauta, certamente più controllata e meno plateale e stizzita rispetto a quelle degli anni precedenti, ma pur sempre di reazione non del tutto positiva si è trattato.
Anche in Italia del resto le reazioni non si sono fatte attendere e sulla stampa, nazionale e locale, si sono alternate le dichiarazioni di forze politiche, di destra e di sinistra, che riproponevano i logori slogan che tanto hanno avvelenato il dibattito negli ultimi anni. Solo per fare qualche esempio: da una certa sinistra si è tornati ad affermare che: “Le violenze post belliche delle foibe furono la reazione ai crimini del fascismo e al razzismo italiano, scatenata contro le popolazioni slave”. Per contro, da destra, si è rivendicato: “Il merito di avere promosso questa giornata per ricordare i crimini dei comunisti, troppo a lungo dimenticati… Se vi è stata San Sabba, vi è stata anche Basovizza, con i suoi infoibati”. “Se la Croazia non riconosce che in quelle terre è stato commesso lo scempio delle foibe non può entrare nell’Europa Unita…”. Ora, seguitando così è certo che non si andrà da nessuna parte; e tentare di fare del Giorno del ricordo una giornata condivisa da tutti, come auspicato in modo ricorrente dal nostro presidente, sarà sempre più difficile.
Che fare? Innanzitutto si dovrebbe rimuovere quel vizio d’origine insito nella istituzione della Giornata nazionale del ricordo, vista da alcuni come una cerimonia da affiancare e per certi aspetti contrapporre, alla Giornata della memoria. Com’è noto la Giornata nazionale del ricordo è una ricorrenza istituita, su proposta della formazione di destra Alleanza Nazionale e della federazione degli esuli, nel 2004 dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, per non dimenticare le migliaia di italiani assassinati dai partigiani di Tito nel 1943 e nel 1945, nonché l’esodo dei giuliano-dalmati dal 1943 al 1956 e l’intera complessa vicenda storico-politica del Confine orientale.
L’istituzione della giornata è stata un’iniziativa doverosa e ha messo finalmente al bando, come ha ricordato Napolitano: “ogni residua congiura del silenzio”. Tuttavia da parte di una certa stampa cosiddetta d’opinione e di forze politiche interessate più alla propaganda e alle strumentalizzazioni che alla verità storica si è tentato e si tenta ancora di utilizzare questa giornata per riaprire divisioni, per ragioni unicamente politico-elettorali, parlando in questa ricorrenza solo dei crimini di Tito e del comunismo e non anche di quelli che Mussolini e i fascisti hanno compiuto nell’aggressione alla Jugoslavia. Come si possono dimenticare queste parole pronunciate da Benito Mussolini nel 1920: “Di fronte a una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica dello zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possono sacrificare cinquecentomila slavi barbari a cinquantamila italiani”?
Chi ha voluto la Giornata nazionale del ricordo non si è preoccupato tanto delle vittime e degli sfollati, quanto di usare le “foibe” per fare lotta politica, nel significato peggiore della parola. Così ha avuto e ha buon gioco, in questa polemica, lo scrittore croato Predrag Matvejevic, docente di slavistica alla Sapienza di Roma, nell’affermare che: “Il ricordo di un crimine non deve crescere sull’oblio di un altro crimine”, quello appunto compiuto dal fascismo. Non a caso la legge istitutiva nel ricordare le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra non si limita a questa tragedia, ma richiama e inquadra la “pulizia etnica” nella “più complessa vicenda del confine orientale”. E “collocare le foibe titine, dove sono finite tante vittime innocenti italiane e non solo, nella complessa vicenda del confine orientale significa parlare anche di tutta la gioventù croata e dalmata ammazzata dalle camicie nere di Mussolini”.
Non si può riconoscere solo le vittime di una parte dimenticando quelle dell’altra. Quando si parla della tragedia del confine orientale occorre ricordare che i crimini perpetrati dai fascisti e loro collaborazionisti durante l’occupazione della Jugoslavia; e quelli dei partigiani comunisti di Tito dal 1943 al 1945, durante l’epurazione titina, rimangono pur sempre crimini, chiunque li abbia commessi; non vanno né giustificati, né tanto meno analizzati con l’ottica dell’oggi, né isolati dalla loro cornice storica, ma studiati attentamente e collocati nel loro contesto internazionale e non dimenticando infine che “due torti non fanno una ragione.”
Ultimamente ha riaperto il dibattito da sinistra l’ex presidente della Camera Luciano Violante che ha affermato: “Finché la sinistra non celebrerà le foibe e la destra non celebrerà Fossoli e San Sabba resteremo divisi nelle nostre storie e nelle nostre memorie. Essere italiani vuol dire avere avuto tanto Fossoli e San Sabba quanto Basovizza. E deve significare sentirsi tanto dalla parte di chi stava sui vagoni piombati quanto dalla parte di chi era precipitato nelle foibe”. Nulla da eccepire a condizione però che si ricordi un concetto elementare, che se vogliamo fare storia e non propaganda e tenere alta la memoria, come ha ricordato nella commemorazione al Quirinale, nel 2009, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: non dobbiamo dimenticare che “La Giornata nazionale del ricordo voluta dal Parlamento non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo. La memoria che coltiviamo innanzi tutto è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra,” da cui tutto ha avuto origine, le foibe ed il triste esodo dei trecentocinquantamila dalmato-giuliani.
Come suggerisce lo storico Tvzetan Todorov: “Le pagine meno gloriose del nostro passato sarebbero le più istruttive se solo accettassimo di leggerle per intero”. Leggere tutte le pagine della storia potrebbe favorire quel clima di unità e di memorie condivise, cui guardano gli italiani più avvertiti e soprattutto il presidente Napolitano che invita instancabile a guardare avanti, parlando anche di progetti. Come quello di costruire un Parco della Pace da Caporetto a Duino lungo la striscia di terra europea nella quale durante la Prima guerra mondiale morirono un milione di soldati di paesi che oggi fanno parte insieme dell’Unione europea. “Sarebbe un modo visibile di restituire alla nostra memoria, affinché il male non si ripeta più, il ricordo di tutti gli innocenti caduti, o assassinati, fra le petraie del Carso, nelle trincee del ‘15-‘18 e nelle foibe del 1945”.
Questo appello del nostro Presidente dovrebbe essere a mio avviso il giusto approccio nel 151° anniversario dell’Unità d’Italia, per celebrare la Giornata del ricordo del 2012 in modo unitario e condiviso.
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