Sempre in prima fila nei dibattiti culturali e politici del Novecento Jean Paul Sartre (1905-1980) nasce in Francia da famiglia borghese intellettuale; attende presso l’École Normale Supérieure a studi di psicologia e filosofia dal 1924 al 1927. Nel 1927 lavora alla traduzione del Trattato di Psicopatologia di Karl Jaspers con P. Nizan. Viene a contato con il pensiero di Husserl e Heidegger: dal primo trae il concetto di intenzionalità della coscienza, che non può costituire il fondamento per un ritorno spiritualistico all’interiorità, né essere sostanzializzata in principio metafisico; anche l’io è un oggetto psichico; del secondo conosce l’opera fondamentale Essere e tempo, elaborata a Marburgo e pubblicata nel 1927 sulla rivista di Husserl, lo Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung.
Nei vari trattati di psicologia fenomenologica Sartre critica la cultura francese dipendente dalla matrice positivistica e da una concezione naturalistica dei fatti psichici. Al centro della psicologia sartriana è la funzione immaginativa, nel mentre evidenzia la proprietà della coscienza di distanziarsi dalle cose e dai fatti, annullando la totalità dell’esistente in vista di significati che la coscienza liberamente pone.
La sua ontologia si fonda sulla complementarità contraddittoria dell’essere della coscienza per sé, che dà significato globale ai dati della situazione, e dell’essere del mondo (l’in sé o Essere per antonomasia), quale realtà fattuale massiccia e opaca.
Il romanzo filosofico La nausea (1943) attraverso il protagonista Antoine Roquentin ci dimostra l’assurdità dell’esistenza affidata a un numero infinito di possibilità esistenziali prive di senso e la sua totale contingenza. Segue nel 1943 l’opera di maggior respiro L’essere e il nulla, mentre la realtà oggettiva non possiede alcuna determinazione, predicato o qualità; non ha altre proprietà, oltre al fatto di essere; la coscienza è sempre coscienza di qualcosa, ha una struttura relazionale, sia per ciò che concerne le cose del mondo, che se stessa. Lo spazio di nulla che l’uomo trova al suo interno lo rende un essere possibile e mai dato, condizione angosciosa della libertà che lo induce e spinge a trascendere la dimensione della realtà. Ne discende anche il doppio movimento della coscienza di fuga da sé (non volere essere se stessa) e di rivolgersi verso di sé nel voler essere.
Il rapporto con l’altro uomo si caratterizza all’insegna del paradosso e della violenza. Sotto lo sguardo dell’altro avviene il fenomeno dell’alienazione, il farsi cosa (l’in sé) della coscienza (il per sé). L’individuo reifica così la coscienza, ne solidifica il flusso, viene derubato del proprio mondo e prova la vergogna. Lo sguardo di una coscienza verso altra coscienza è sempre oggettivante. Con l’apparizione di altri sono posto in condizione di portare un giudizio su me stesso come su un oggetto, perché come oggetto mi manifesto ad altri. L’altro è vissuto sempre da Sartre come antagonista, simbolo di pericolo. L’unica forma di reciprocità nei rapporti umani è il rifiuto. La tematica dello sguardo riapparirà nel Santo Genet, commediante e maestro del 1952 in una dimensione più direttamente sociale e politica.
Durante il secondo conflitto mondiale Sartre fa marginalmente parte della Resistenza. I temi dell’esistenzialismo ateo si rendono popolari grazie a lavori teatrali come Le mosche (1943), A porte chiuse (1945). Ma la visione tragica di un individuo solo dinanzi alle sue scelte, isolato in un universo sociale essenzialmente ostile, cede a un progressiva riqualificazione del suo esistenzialismo in chiave di impegno e d’assunzione di responsabilità storiche per denunciare tutte le alienazioni e le oppressioni occorse ed occorrenti.
Anziché rifugiarsi nel quietismo della disperazione l’uomo deve assumere la responsabilità totale della propria esistenza anche in rapporto dialettico con il marxismo. Nel 1945 Sartre fonda con Simone de Beauvoir e Merleaux –Ponty la rivista Les temps modernes; nel 1946 esce il saggio L’esistenzialismo è un umanismo. Alla base il principio: l’esistenza precede l’essenza. Sartre dà vita a un raggruppamento politico di terza forza. Al determinismo marxista vuole opporre una filosofia della libertà, Il sistema creato da Stalin si va rivelando burocratico e oppressivo nella pratica, catechistico e volontaristico nella teoria, adegua a priori la realtà a uno schema dottrinale, fa violenza alla verità.
Scatenatasi la contrapposizione di schieramenti della guerra fredda Sartre sceglie come compagni di strada il Partito comunista e l’Urss. Il marxismo gli appare come l’orizzonte insuperabile del nostro tempo e la filosofia concreta della classe operaia, ma gli manca una teoria del soggetto, liquida l’individuo ed il particolare. La lotta di classe ha come portatori gli individui concreti. Non vi è praxis che non si oggettivi, né relazione umana che non venga filtrata dalla materialità. I conti vengono fatti soprattutto con la Critica della ragion dialettica del 1960. Ecco la circolarità del momento autentico del gruppo in fusione e l’inevitabile ricaduta nella serie, cioè nell’eterodeterminazione; ma ci sono anche momenti al calor bianco, attimi di creazione collettiva della storia. È la tematica centrale dei saggi dedicati alla guerra in Algeria e ai problemi della decolonizzazione.
Nel 1964 Sartre è insignito del Premio Nobel, che rifiuta. Contrasta lo strutturalismo ormai dominante in Francia, scrive una monumentale biografia su Flaubert. In occasione dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968 rompe decisamente con l’URSS e si lega all’estrema sinistra francese, sostenendo attivamente il quotidiano Libération. Negli ultimi anni, divenuto cieco, propugna un’etica della solidarietà e fraternità come dimensione primaria ed essenziale dell’animale uomo.
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