“La legge si applica per i nemici, ma si interpreta per gli amici”. È un detto ormai consunto che, purtroppo, è ancora di estrema attualità. Molte leggi mancano di isonomia, cioè non valgono per tutti perché ognuno le interpreta a suo piacimento. I moniti che provengono all’Italia da parte dell’Europa e delle organizzazioni internazionali non si riferiscono solo alla lentezza del nostro iter legislativo e della politica, che hanno indubbiamente un costo economico, bensì sulla complessità che producono le leggi poco chiare che danno adito a corsi e ricorsi in sede amministrativa e in sede civile. Caritas est claritas- dicevano i monaci. Questa chiarezza è tanto più importante nel formulare una nuova Costituzione o nell’aggiornarla alla luce di tempi nuovi.
Mi perdoneranno i miei lettori se, continuando il discorso iniziato la settimana scorsa, tenterò di affrontare il tema del referendum sulla Costituzione rinnovata partendo dal quesito referendario, cercando di illustrarlo ricorrendo al testo della legge di modifica. Lo farò con cura, con semplicità, esponendo perplessità che derivano solo dalla lettura del testo legislativo, cercando di essere imparziale il più possibile. Per amore di chiarezza.
Lo farò come lo può fare un insegnante che deve spiegare ai suoi allievi una lezione che, da ostica e contorta, deve divenire gradevole e lineare, anche per combattere il malessere diffuso che si accompagna alla consapevolezza della mancanza di fiducia nelle istituzioni. Malessere diffuso che si associa, ed è bene dirlo, ad un’altrettanta diffusa aspirazione ad avere una visione limpida del quesito su cui ogni cittadino dovrà pronunciarsi. Se il risultato del voto referendario sarà una sintesi di consapevolezza, alimentata dall’esame della legge e attuata contemporaneamente nella libertà e nella giustizia, esso sarà fonte di speranza per il nostro paese.
Non basta, infatti, affermare che la sovranità appartiene al popolo: è con il voto consapevole che il cittadino, anche se svigorito, eleva la sua dignità a livello di coloro che esercitano una forte pressione mediatica spesso menzognera. Il nostro paese, soprattutto in questo momento di sacrifici, ha bisogno che la libertà personale sia superiore all’appiattimento ideologico, che la verità emerga sulla doppiezza, che i momenti di intimità e di solitudine si impongano su quelli pubblici della politica urlata.
Veniamo, dunque, al quesito referendario così come lo troveremo scritto sulla scheda elettorale, avvertendo che la nota numerica è apposta da noi solo per facilitare il compito nella spiegazione. Così recita: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente (1) disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, (2) la riduzione del numero dei parlamentari, (3) il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, (4) la soppressione del CNEL, (5) la revisione del Titolo V della parte V° della Costituzione”.
Come si può constatare, i quesiti sono cinque, così come recita il testo della legge approvato dal Parlamento e ammesso dalla Cassazione. Alcuni partiti, molti parlamentari e elettori avrebbero auspicato che l’unico quesito fosse stato “spacchettato” in cinque. Il governo si è opposto. Il Presidente della Repubblica ha firmato e la legge è stata promulgata.
Mi chiedo: “Possibile che durante l’iter preparatorio (uffici legislativi del governo, della Camera e del Senato), dopo la discussione in commissione e nei quattro passaggi parlamentari a nessuno sia venuto il dubbio che il quesito così formulato potesse essere oggetto di intrichi di bassa politica e di garbugli per l’elettore? La tanto decantata semplificazione dei testi non si poteva applicare in questo ragguardevole referendum?”.
Sembra che la chiarezza sia ormai una parola antica e desueta. Al contrario, mai come oggi, la democrazia ha bisogno di parresìa, cioè di leggi chiare che impediscano a tutti gli sfidanti di distruggersi a vicenda e contemporaneamente contribuiscano a creare armonia nel Paese.
Ma veniamo al contenuto del primo quesito. Penso che la stragrande maggioranza dei cittadini sia per l’abolizione del bicameralismo paritario (o perfetto). Lo erano già molti padri costituenti: mi piace ricordare tra essi, particolarmente, Egidio Tosato, costituente eletto nella mia città d’origine e grande costituzionalista. La proposta fu bloccata perché nel 1946 -48 l’Italia viveva sotto l’ossessione del passaggio alla maggioranza del Partito comunista e il bicameralismo perfetto permetteva una garanzia supplementare per salvare la democrazia.
Già nel testo della Costituzione sottoposta a referendum nel 2006, e bocciato dalla maggioranza dei cittadini, si trovava scritto all’art. 55, comma 1. Il parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica”. Il testo sottoposto a referendum il prossimo 4 dicembre si limita a recitare: Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica… e l’Unione Europea. Pertanto, il nuovo Senato non è più “paritario”, cioè non ha potere di discutere le leggi già approvate dalla Camera. Questo è vero solo in parte perché l’articolo 70 della legge di riforma elenca una serie di funzioni che sono esercitate da entrambi i rami del Parlamento (collettivamente). Non solo, ma il comma 3 dello stesso articolo recita: Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei Deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. In poche parole, se 34 senatori chiederanno di esaminare un testo di legge approvato dalla Camera, il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva. Ancora (comma 5): I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma (quelle relative all’approvazione di bilancio e rendiconto consuntivo) sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data di trasmissione.- Il Senato della Repubblica può, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti richiedere alla Camera dei Deputati di procedere all’esame di un disegno di legge: così recita l’art. 11.
Pertanto, il bicameralismo paritario è abolito solo in parte: il Senato può in certi casi chiedere di esaminare il testo legislativo approvato dalla Camera, anche se questo esula dalle sue specifiche competenze.
Ciò che viene abolita è l’elezione diretta dei senatori (articolo 2 della legge di riforma) i quali vengono eletti dai Consigli regionali in conformità delle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo. In conformità significa che i Consigli regionali non dispongono di poteri di scelta autonoma: l’elezione non è più un’elezione, ma una ratifica. Allora, chi elegge i senatori? Forse, si potrà risolvere questo enigma in sede della formulazione del regolamento?
Per quanto riguarda gli altri punti del quesito referendario, rimandiamo la loro illustrazione al prossimo incontro settimanale coi lettori.
Mi scuso per la prosa eccessivamente legalistica: di solito uso un linguaggio più adatto e meno scontato usando parole semplici, ma vorrei dare un contributo per trasformare gli uomini appiattiti sugli slogans a trasformarsi in esseri ragionevoli, in modo che la loro mente possa esplicare la sua funzione in libertà. Siamo troppo abituati a pensare che la verità ci venga offerta, mentre deve essere ricercata. È quello che ho tentato di fare.
N.B. Nel mio intervento pubblicato il 13 ottobre sono incorso in un errore. Ho scritto che il presidente del Senato dovrebbe adempiere le funzioni del Presidente della Repubblica, in caso che quest’ultimo sia impossibilitato ad adempierle. La legge di riforma costituzionale (art 23) prevede che sia il Presidente della Camera. Mi scuso con i lettori.
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