Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Cultura

DUE NOBEL “ALLARGATI”

MANIGLIO BOTTI - 21/10/2016

fo dylanIl giovedì mattina della scorsa settimana, quando le agenzie cominciarono a battere la notizia della morte del premio Nobel Dario Fo, a Milano, all’età di novant’anni, subito ripresa dai giornali on-line e poi dai social con commenti più o meno costernati, si dovette aggiungere a breve, nello stesso giorno, l’arrivo di un’altra di notizia: l’assegnazione a Stoccolma, diciannove anni dopo Fo, di un altro Nobel per la letteratura, quello all’ “autore-cantante” americano – il menestrello di una generazione, è stato scritto – Bob Dylan.

Dario Fo e Bob Dylan sono stati subito accomunati dalla peculiarità dei loro due Nobel letterari, che poi specificamente letterari non sono, secondo le normali consuetudini, essendo stato l’uno principalmente un attore e un drammaturgo e l’altro un musicista, autore dei testi delle proprie musiche. E i commenti, per lo più, sono stati dolorosi e improntati al ricordo per il primo, più gioiosi e soddisfatti – ma non da parte di tutti –  per il secondo.

Nell’autunno del ’97, quando si seppe – un po’ a sorpresa in verità – che il Premio Nobel per la letteratura veniva assegnato a Dario Fo – il sesto italiano a esserne insignito dopo Carducci, Grazia Deledda, Pirandello, Quasimodo e Montale – ne fummo felici, perché oltre che essere un italiano, Dario Fo era un uomo della nostra terra, nato a Sangiano cresciuto sulle sponde o sulle onde del Lago Maggiore: il papà riposa nel cimitero di Luino, e anche la moglie – Franca Rame –, che ne fu non solo compagna di vita ma importante sodale nell’arte, era una donna “varesina”, benché nata a Parabiago, e si era formata come attrice nei paesi lacustri della nostra provincia, che batteva in lungo e in largo con il carro di Tespi della sua famiglia di antichi teatranti.

Già allora, nell’autunno  del ’97 – a parte la gioia per la vittoria del compaesano Fo (il quale però non ha mai avuto con Varese, o almeno con l’establishment bosino, un rapporto prediletto)  – ci si chiese se il Premio Nobel fosse davvero meritato, soprattutto  per la aspecificità letteraria del suo lavoro. Così come oggi che Dario non c’è più ci si potrebbe domandare se la sua bravura era così grande da meritare il premio o se invece è diventata grande in conseguenza del premio assegnatogli.

I “meccanismi”, chiamiamoli così, che sottendono alle decisioni dei giudici del Nobel sono un po’ imperscrutabili, ma innegabilmente – com’è di tutte le vicende umane – sono legati anche a antipatie e simpatie personali, e può darsi – ma non dovrebbe essere così – condizionati dagli orientamenti politici dei designati.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che il più grande e “misterioso” scrittore del Novecento – l’argentino Jorge Luis Borges –, per anni in odore di assegnazione, il premio non l’avesse mai ricevuto, forse per sue presunte dichiarazioni destrorse o che altro. E non si poté escludere allora, diciannove anni fa, a proposito di Dario Fo, il Bertoldo di una sinistra spesso estrema, lo sbeffeggiatore in servizio permanente effettivo del potere, che egli godette di una particolare e magari provocatoria consacrazione. Nella seconda metà degli anni Novanta e in un’Italia ormai preda di una superficiale, edonistica euforia televisiva e berlusconiana. E che il riconoscimento del Nobel a Fo fosse una sorta di sberleffo internazionale.

Il discorso dell’arte letteraria allargata… Fo non era un letterato a tutto tondo ma un attore, un artista poliedrico, un drammaturgo per di più spesso impegnato in testi personalissimi e originali: tuttavia il suo Nobel venne (magari un po’ a denti stretti) accettato. In Italia l’abbraccio (anche culturale) della parte politica che Fo aveva per gran parte della sua vita sostenuto fu totale, senza se e senza ma.

Oggi, per quanto riguarda Bob Dylan, menestrello, cantautore, il “poeta” in musica dell’America degli ultimi cinquant’anni, in parte anch’egli personaggio umano controverso (ma questo con l’arte nulla dovrebbe avere a che fare), c’è stata qualche critica, qualche polemicuccia. Meno in Italia che altrove, forse.

Ma è “vera” letteratura quella di Bob Dylan? Sì, lo è. Il suo lavoro è storia e poesia insieme, nella realtà più incisivo e significativo di altre opere in circolazione, e la poesia abbinata alla musica è anche un ritorno all’antico. All’arte di qualche millennio fa, basti pensare alla Grecia dei lirici. Fa parte della nostra civiltà letteraria. Della segreta magia della parola. Paolo Conte forse direbbe dell’immateriale energia della musica cui essa infine si può legare.

 

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login