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Libri

MALINCONIA DEL RICORDO

CESARE CHIERICATI - 13/10/2016

I funerali del Grande Torino nel 1949

I funerali del Grande Torino nel 1949

Quando vado a Torino ed entro nell’elegante Piazza Castello guardo Palazzo Madama e nella mia memoria si sovrappongono sempre le immagini dei funerali del Grande Torino così come ce le aveva proposte la Settimana Incom, pochi giorni dopo quel tragico 4 maggio 1949, nei cinema delle nostre città. L’immensa piazza colma di gente, il corteo lento e motorizzato dei camion Fiat senza cassone, su ognuno il feretro, avvolto nei fiori, nei gagliardetti della squadra e della città, nel tricolore. Risento la voce inconfondibile di Nicolò Carosio chiamato a raccontare alla radio il passo d’addio di quella squadra straordinaria che a guerra finita era, con le sue vittorie anche a livello internazionale, un segno di rinascita dell’Italia appena uscita dal fascismo e dalla guerra. Seguì quella cronaca di morte assurda e ingiusta l’Italia intera seduta nelle case attorno alle radio, nelle piazze vicino agli altoparlanti. Dolore e sgomento si intrecciavano in una domanda senza risposta.

A pagina 83 del libro Gli Ossola, Franco, Luigi, Aldo- Macchione editore una foto scattata dall’alto restituisce, a chi almeno quelle emozioni le ha in qualche modo vissute, esattamente il clima di quelle giornate di lutto condiviso e partecipe che avrebbero per sempre cambiato il destino calcistico della capitale piemontese.

Il primo mattone di quel formidabile edificio calcistico che fu il Torino era un varesino chiamato Franco primogenito di una famiglia sobria e operosa, piazzata con una bottega orafa, ancor oggi fiorente, nel centro storico a due passi dalla Basilica di S. Vittore. Era un prediletto dagli dei del pallone che gli avevano dispensato talenti in abbondanza, peraltro non sempre del tutto capiti. Come racconta, commosso, il figlio Franco junior. A soli 19 anni, nel 1939, era finito sotto la Mole in quella che era una buona squadra ma che solo di lì a qualche anno sarebbe diventata una macchina calcistica quasi perfetta nobilitata da atleti in buon numero prelevati dal Venezia e dalla Triestina.

Su tutti Valentino Mazzola, padre di Sandrino bandiera interista e della nazionale negl’anni ‘60/’70. Secondo Gianni Brera Valentino è stato il miglior centrocampista italiano di tutti i tempi essendo egualmente capace di “cantare e portare la croce”, ovvero di limitare il gioco altrui e di costruirne, con acume tattico ed innata eleganza, in proprio. La vicenda umana e sportiva del primogenito degli Ossola era dunque un tutt’uno con la storia granata fino all’epilogo di Superga che priva l’Italia calcistica della sua espressione più alta e getta nella disperazione decine di famiglie che perdono figli, fratelli, mariti.

Per gli Ossola la sorte aveva però deciso che il testimone caduto tragicamente dalle mani di Franco fosse raccolto dai fratelli venuti dopo di lui: Luigi (Cicci) e Aldo. Cicci, classe 1938, votato in egual misura al basket e al calcio, Aldo invece un predestinato del canestro.

Del primo scrive con grande affetto Franco Giannantoni che ha vissuto con lui tutti gli anni della scuola, dalla elementari alle superiori. Riservato e schivo approda al grande calcio a 22 anni, un’età già matura. Cede a una sorta di richiamo della foresta riannodando il filo della sua passione calcistica dopo anni dedicati con grande profitto alla pallacanestro nella Robur et Fides squadra miracolo, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, sbocciata all’Oratorio di San Francesco in un clima di amicizia e di comunità autentica che ha un peso decisivo nella formazione del suo carattere rigoroso, serio, leale.

Varese, Roma e Mantova le città dove Cicci spende il suo talento di difensore moderno ante litteram, nel senso che, all’epoca, è uno dei pochissimi terzini a spingersi in avanti costringendo l’attaccante avversario a inseguirlo. In parallelo alle sue glorie pallonare cominciano a maturare quelle baskettare del “fratellino” Aldo di sette anni più giovane. Scala rapidamente tutti i gradini della disciplina a partire dal campionati provinciali studenteschi. Con lui in campo il Daverio non conosce avversari. Anche i volonterosi compagni di scuola e di squadra accanto a lui sembrano trasformarsi perché, prima di ogni altra cosa, è uno straordinario semplificatore di gioco, la qualità base che in tutti gli sport di gruppo distingue i leader creativi dai pur importantissimi portatori d’acqua. Sarà questo il tratto distintivo della sua formidabile carriera peraltro non disgiunto da una volontà ferrea e da attitudini difensive non comuni che la penna di Flavio Vanetti esalta puntigliosamente.

Tre esemplari storie di varesini per bene quelle degli Ossola da gelosamente custodire e riscoprire a futura memoria.

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