A trent’anni dalla morte di Piero Chiara il suo erede letterario, Federico Roncoroni da Como, ha ricordato il nostro scrittore con una scelta modesta in apparenza di per sé, ma accolta molto bene, come una vera chicca, nell’ambiente letterario nazionale e dall’oceano di affezionati amici di una penna davvero indimenticabile.
Un racconto semplice, ma intrigante, con quel tanto di argomenti e situazioni, a volte surreali, che hanno fatto di Chiara anche un accettato e mai volgare incursore in territori osé. Titolo del racconto, un fortunato recupero di un inedito d’antica data: “La scommessa”. E mi fermo qui perché la pubblicazione merita i pochi euro che vengono chiesti dal libraio.
Il trentennale della scomparsa di Chiara consente invece di inquadrare tempi e modi della nascita del premio letterario che la città di Varese gli dedicò, ma poi riuscì a perdere in omaggio alle ridicole teorie localistiche dei leghisti della prima ora. Infatti i nostri lombardoni imposero il licenziamento in massa degli scrittori sudisti della giuria del premio Chiara che avevano chiara fama nazionale, ma appunto erano meridionali. E come tali al pari dei magistrati terùn e di tutti gli altri immigrati dal Sud meglio per loro se avessero tolto il disturbo.
Sono convinto che sia stata l’unica sconfitta del rozzo regime nella quale fu coinvolto in qualche misura Raimondo Fassa, primo sindaco leghista, per il resto grazie alla sensibilità e all’intelligenza a volte ambasciatore nel mondo di uno stile e di una cultura che erano strettamente personali, ben lontani dal dettato del partito. Non a caso nelle successive tornate amministrative Fassa sarebbe potuto essere un bel protagonista del televisivo “Chi l’ha visto?”. Preferì un quieto ritorno all’insegnamento e all’avvocatura, a una discrezione ammirevole.
Il premio dedicato a Chiara con la formula suggerita da Max Lodi nacque tre anni dopo la morte dello scrittore luinese che da tempo era diventato nostro concittadino.
L’assessore comunale Antonio De Feo voleva dare vita a una iniziativa importante, che portasse Varese alla ribalta nazionale. Chiese a Lodi che cosa ne pensasse. Max gli disse che si poteva varare un premio letterario, ma innovativo: per esempio doveva essere riservato a una raccolta di racconti. Il motivo? Sarebbe stata la formula ideale per celebrare degnamente Piero Chiara.
De Feo volle interpellare anche il sottoscritto che nulla sapeva dei precedenti contatti con Max, io a mia volta indicai come preferibile la scelta letteraria.
Nacque il premio, per Max contatti con il mondo della cultura, a me toccarono incarichi organizzativi.
Ebbi comunque modo di apprezzare negli anni la qualità e la serietà della partecipazione di scrittori del calibro di Michele Prisco, già presente nei testi della storia contemporanea della letteratura italiana, e inoltre di Raffaele Nigro e Gino Montesanto con i quali c’era, mite e deliziosa per competenza, Nanda Pivano, amica e traduttrice di Hemingway lo scrittore americano del quale avevo letto tutto. Nanda fu paziente, mi avrebbe sopportato in più occasioni nella mia ricerca di un Hemingway lontano da iconografie fasulle e storie inventate.
Da cronista inoltre per anni avevo tenuto i contatti con una valanga di colleghi di altri giornali di tutta Italia per eventuali scambi di notizie di “nera” o di cronaca giudiziaria.
Ebbi preziose indicazioni per arruolare come giurati i critici letterari dei loro giornali: insomma la giuria “popolare” del Chiara, tenuto conto che noi si pescò alla grande anche tra i lettori della nostra biblioteca comunale, fu una delle più garantite tra quelle più famose allora in circolazione.
Il Premio Chiara, alla sua ultima edizione “democratica”, conobbe una grave crisi finanziaria: rimosso il sindaco, c’era al suo posto come commissario prefettizio un autentico signore, il viceprefetto Calandrella. Lavorando insieme si riuscì ugualmente a vincere la buona battaglia.
Dopo il repulisti etnico e l’addio dei due giornalisti, per il premio ci furono diversi responsabili della sua gestione nella quale però il Comune, ormai anche con pochi soldi, aveva perso il suo importante ruolo.
Una nuova organizzazione e l’arrivo di un personaggio del livello del gaviratese Oldrini nel tempo hanno riportato in quota il Premio, che è diventato un riferimento culturale che va oltre gli scopi iniziali ma sicuramente non è più una medaglia per Palazzo Estense, anzi ha perso in qualche misura l’iniziale originale sciccheria letteraria, una unicità pari al livello artistico del grande personaggio al quale era dedicato.
Oggi infatti nel nome di Piero Chiara si danno apprezzabili contributi alla crescita culturale delle comunità. Il Premio Chiara, che nel 2019 compirà 30 anni, oggi certamente non è il mercato delle pulci, ma un affascinante bazar di idee e realizzazioni dove però a volte fatichi a trovare tracce bosine, degne di essere proposte almeno come marchio d’origine.
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