Questo articolo, benché di parte, costituisce un modello di un esercizio di dissimulazione onesta (il titolo dell’opera di Torquato Accetto, del 1641, è qui impiegato in modo improprio). L’artificio del dialogo è una simulazione che muove da una tesi e la vuole asseverare seguendo il filo del pensiero. L’onestà consiste nel porre in evidenza tutti i passaggi dell’argomentazione.
Dialogo tra un cultore di filosofia (CdF) e un elettore (E)
E. Il referendum si avvicina, mio caro, sono incline al sì ma vorrei rafforzare il mio convincimento. Sono già informato sulle questioni tecnico-giuridiche. Ma cerco dei ragionamenti ancora più persuasivi, diciamo pure filosofici. Potresti darmi una mano?
CdF. Pronto ad accontentarti, per quel che posso.
Karl R. Popper ha posto tre limiti netti allo sperimentare umano: non apportare lesioni irreversibili agli individui; non agire sull’ordinamento naturale e sociale se non per cambiarlo con cautela e a ragion veduta; consentire la correzione dei probabili errori mediante una verifica controfattuale delle ipotesi di partenza.
Popper pensava ancora che la perfettibilità della conoscenza (il Mondo 2 e il Mondo 3) è o dovrebbe essere un processo aperto, non chiuso. La fossilizzazione non va bene. E ciò che serve per smuovere i convincimenti consolidati ma erronei sono anzitutto confutazioni, non prove. Una teoria deve esporsi alle controdeduzioni; trovare prove è facile. Se penso o faccio credere che l’imposizione delle mie mani guarisca i malati, un paziente che guarisce per caso, per i fatti suoi, diventa una prova a favore, ma non prova un bel nulla. Vale la controprova, la confutazione della la teoria.
A questi argomenti di Popper aggiungerei la prescrizione di Hans Jonas: non ipotecare il futuro di chi non ha voce, ossia le generazioni future, gli ecosistemi, gli animali.
Concordo con entrambi. Spero anche tu.
E. Certo, o amico. Concordo con te e con i due filosofi a te cari.
CdF. Però a tuo parere ti pongo alcune domande. Il Sì al referendum rientra nei limiti posti da Popper e Jonas? Il Sì recherebbe guasti irreversibili? Agirebbe negativamente sull’ordinamento sociale nel suo insieme? Non consente la correzione dell’errore mediante verifiche controfattuali? È un sistema aperto alla perfettibilità o è un sistema chiuso che si presume già perfetto? Infine, il Sì danneggerebbe le future generazioni?
E. In tutta franchezza sono convinto di no, su ciascuna delle tue domande. C’è tanto catastrofismo in giro. A sentire certi contrari «a pelle» alle trivellazioni, tempo fa, l’Adriatico e lo Ionio si sarebbero riempiti di petrolio e sui litorali di Corfù o di Otranto avremmo visto i gabbiani morire con le ali incatramate. Non parliamo per favore di minacce irreversibili alla democrazia. L’allarmismo è strumentale non meno dell’ottimismo pregiudiziale. Ho torto? Aiutami ad esaminare le cose come sono.
CdF. Non hai torto, anzi. Quanto all’esame delle cose, anziché risponderti ti porrei una nuova domanda. Secondo te le cose come sono funzionano bene? Il bicameralismo perfetto va che è una meraviglia che nemmeno Coppi sull’Izoard? I rapporti tra Stato e Regioni girano bene, sono uniformi e tutto fila liscio grazie a unguenti miracolosi?
E. Penso che tutti, se vogliono giudicare su dati di realtà, direbbero: No, le cose non funzionano. È provato che tante questioni sono irrisolte e vanno risolte. E i costi ricadono sul nostro groppone. Tutti lo sanno bene, ma ora fingono di non sapere. Alcuni talvolta rinnegano quello che hanno sostenuto anni fa. Le idee spesso non sono idee, ma strumenti che si possono usare o riporre, secondo opportunità.
CdF. Ma se abbiamo provato che le cose così non funzionano, perché mai tenerle immutate? È questo che non capisco. Perché non sperimentare altre vie senza danni gravi e irreversibili, visto che dobbiamo uscire da un vicolo cieco?
E. È solo perché molti, ciascuno con motivi suoi propri, altrimenti incompatibili con quelli dei loro momentanei alleati, vorrebbero dare un calcio nel sedere e il benservito a Renzi: «è come Berlusconi», sostengono, «e poi Verdini, gli 80 euro e il jobs act», e ora aggiungono la tiritera di Renzi (va detto, davvero sbagliata e un po’ triste) sul Ponte sullo Stretto. Qualcuno che ignora gli elementi di base dell’ordinamento costituzionale vigente, arriva a dire che «non è stato eletto dal popolo»… Lo si avverte nell’aria: Renzi è un piacione che appare spesso antipatico, retorico, ripetitivo. La luna di miele con l’elettorato italiano è durata poco.
CdF. Ti interrompo. Perché Prodi o De Gasperi da chi sono stati eletti? Siamo o no una democrazia parlamentare?
E. Sì che lo siamo! Questo aspetto non viene minimamente toccato dalle riforme, e nemmeno vengono deformati i tredici primi articoli di indirizzo. L’accusa alla riforma di predisporre un premierato autoritario è una «bufala» priva di ogni fondamento. Certo, c’è un nesso con la legge elettorale, davvero pasticciata come poche, ma i sistemi elettorali non sono tali da mutare da soli le istituzioni. Il fascismo non è salito al potere per colpa della legge Acerbo. La fascistizzazione era già iniziata, era nelle corde del PNF e altro ha consentito la costruzione dello stato totalitario. Chi fa questo paragone storico è un falsario.
CdF. Hai ragione, ma Renzi non piace…
E. Nemmeno io amo Renzi, ne abbiamo parlato altre volte. Non ho cambiato idea, non so valutare nell’insieme l’operato del suo governo, più ombre che luci; non tutto però è buio pesto, siamo onesti. Ma questo non ci interessa. Mettiamo fuori Renzi dai nostri discorsi. Ragioniamo sulle proposte, non su chi le propone, e nemmeno dei modi in cui le propone.
CdF. Questo è un ragionare da elettore consapevole: cogliere il problema per quello che è, senza distorsioni o cacofonie. Le variazioni costituzionali oggetto del referendum hanno il grande merito di sbloccare finalmente un sistema paralizzato o, nel caso delle Regioni, disfunzionale. Proprio il sistema chiuso, anzi blindato, di cui parlavo sopra. I costi politici di questo immobilismo e di queste disfunzionalità sono enormi e li vediamo tutti…
E. Molti però sembra che preferiscano stare su una carrozzina che zoppicare!
CdF. Temo sia così, ma una chance esiste. I più titolati a vedere questi danni sono i giovani, perché pagheranno ancor più di quanto abbiamo pagato noi. Perseverare nell’errore senza sperimentare correzioni non nocive o lesive in modo irreversibile danneggia chi verrà dopo di noi. I danni che abbiamo subìto ci accompagneranno nella tomba, mio caro, e alla nostra età (e nelle mie condizioni) possiamo dire: «Amen, è andata così, non si può tornare indietro».
E. Concordo con te.
CdF. Dunque proviamo a sperimentare. Non sono in gioco il Male Assoluto e il Bene Assoluto. Dove le riforme dimostreranno di funzionare, le terremo. Dove non funzioneranno, potremo cambiarle, o potranno cambiarle le generazioni successive alla nostra. Guasti irreversibili, su queste materie, non se ne produrranno. O preferiamo restare fermi?
E. Vivere nelle paludi non fa bene. Un tale avrebbe detto: «Qui o si cambia l’Italia o si muore»: di malaria, un po’ alla volta. E se non ora, quando cambieremo? La crisi della politica non è mai stata così grave e così profonda dall’avvento della Repubblica. Una risposta costruttiva è d’obbligo.
CdF. Riconosco i buoni e sinceri intenti di molti esponenti del No. Ma il Fronte del No è un aggregato temporaneo molto eterogeneo, unito solo dal comune nemico: Renzi. Se vincesse, cominceranno i litigi. Una dozzina e più di forze politiche che vanno dalla destra neonazista ai nostalgici dello stalinismo, con tre poli tra loro incompatibili ‒ Casaleggio jr, Salvini, D’Alema ‒ non potranno esprimere nessuna maggioranza politica. Se si va al voto con l’Italicum nella sua attuale versione, con un sistema tripolare impostato su un premio di maggioranza, la minoranza più grossa verrà premiata, ma saranno lasciate fuori due opposizioni tra loro incompatibili, che hanno un peso quasi due volte superiore al polo vincente. L’instabilità è certa.
E. Come elettori abbiamo diritto di sapere come vivremo o di cosa morremo. Le riforme varate offrono una via d’uscita. Non è un’autostrada; ma anche un viottolo di campagna va bene. Abbiamo sempre tempo per andare avanti e, se il caso, tornare indietro ma senza «passare dal via» come a Monòpoli. Le altre strade non offrono nemmeno questa minimale certezza.
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