Ogni referendum è divisivo. Lo è per sua natura. Di solito, è disgregante sulle idee, ben contrapposte ad altre; sono evidenti i progressisti e i conservatori e un terzo incluso (se ci fosse) si presenterebbe come un rinunciatario.
Il prossimo referendum sulla riforma costituzionale tuttavia è disgregante non sui valori e sulle riforme istituzionali che esso propone, bensì sulla interpretazione che ognuno dà legittimamente sul referendum. Da questa constatazione deriva un’altra conseguenza sulla quale il dibattito è più che mai aperto: perché dividerci tra romantici (“mi tengo questa costituzione perché è la più bella del mondo!”) e realistici (“bisogna cambiare perché così non si può andare avanti!”); perché dividerci tra catastrofisti (“se non passa la Costituzione sarà il diluvio!”) e venturosi (“proviamo, in futuro si vedrà: l’importante è partire”!); perché dividerci tra anziani (“i vecchi parrucconi”) e giovani (“per rinnovare occorre rottamare”); perché dividerci soprattutto tra governativi (“ io sono con Renzi!”) e antigovernativi (“ voto “no” perché voglio che questo governo se ne vada a casa!”), perché dividerci tra decisionisti (“o subito o sarà una catastrofe”) e attendisti (“rimandiamo a tempi migliori”)?
Queste discussioni non sono rivolte alla ricerca della verità che si raggiunge con umiltà unita a una capacità critica fondata sul ragionamento. Inoltre, questi battibecchi sono accompagnati da argomentazioni che non riguardano il quesito referendario, bensì la politica “da bar”sguaiata e gridata con ingiurie, epiteti spesso volgari, menzogne, ragionamenti contraddittori, confusi, incerti e controversi. In tutti i casi sono strumentali al proprio giudizio, non alla ricerca della verità.
La grande assente nei dibattiti è la Politica incapace di senso della distinzione, del gusto della riflessione, di un linguaggio rigoroso che non deve essere ostico. Politica che deve essere accompagnata sempre da una grande passione, da ideali e da disinteresse personale.
Ogni Costituzione non è un insieme di norme, ma è innanzi tutto una Carta di valori. Quali che siano le modifiche che sono state apportate con la legge di riforma alla vigente Costituzione sembra a me palese che esse prescindono dalle idee, dalle esperienze vissute in questi quasi settant’anni di applicazione della carta del ’48 e delle sue modifiche. Esse tralasciano la tensione all’unità, alla concordia che, nonostante la pluralità di vedute e i differenti percorsi culturali, deve sempre accompagnare un processo di modifica della Costituzione. Le preoccupazioni principali che hanno guidato esecutivo e legislativo nel formulare la legge di riforma costituzionale sono state di ordine meramente semplificativo nella formulazione delle leggi, di economizzare le spese e, forse, di rafforzamento dell’esecutivo.
Celerità nella formulazione delle leggi e governabilità sono attese che tutti condividiamo, ma perché esse abbiano un “senso”, cioè una direzione e un significato autentico e duraturo, devono fondarsi sui principi fondamentali e sul capo I° e i titoli 1,2,3,4 dell’attuale Costituzione, condizione necessaria e, al tempo stesso, fonte continua del “buon funzionamento” di una repubblica parlamentare.
La filosofia della Costituzione del ’48 poggia su due principi basilari: la dignità della persona umana e il suo primato rispetto allo Stato, con il rifiuto di ogni visione totalitaria della politica (è stata scritta dopo il ventennio della dittatura fascista!) e sullo Stato come comunità politica che garantisce i medesimi valori fra tutti i cittadini. Diritti e doveri che derivano dal primato della persona sono esposti nel primo capo. Negli altri capi si espone la divisione dei poteri come garanzia contro l’arbitrio di uno solo di essi, la garanzia giurisdizionale e l’indipendenza del potere (o funzione?) giudiziario. È evidente che gli articoli di tutti i capi sono tra di loro sono consequenziali e dipendenti.
Vorrei sospendere ora ogni giudizio di valore sulla legge di riforma e esporre solo alcune mie riserve comparando la vigente Costituzione con quella che entrerebbe in vigore qualora fosse confermata dal referendum popolare. Non ho alcun desiderio di entrare in polemica con alcuno, solo vorrei dare conto di un dibattito che è vivissimo.
Il secondo comma dell’articolo 1 della vigente Costituzione così recita: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Il popolo (so che questo sostantivo a qualcuno non piace; non fatico a sostituirlo con la nazione), dunque, è sovrano ed è lui, solo lui, magari associandosi in partiti, che elegge i suoi rappresentanti in Parlamento. Attualmente, la sovranità popolare viene espressa tramite l’ elezione diretta di deputati e di senatori.
L’art. 57 della nuova Costituzione sottoposta a referendum così recita: I consigli regionali… eleggono i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. L’elezione dei senatori, pertanto, non appartiene più al popolo, ma ai consiglieri regionali, i quali, si badi bene, sono sì eletti democraticamente dai cittadini ma per altre funzioni. Sarebbe auspicabile che, in sede di revisione della legge elettorale che tutti i partiti auspicano, al momento delle elezioni per il consiglio regionale ai cittadini venisse consegnata una scheda elettorale per eleggere i rappresentanti regionali al Senato.
Se il Direttore mi concederà ancora dello spazio, vorrei in seguito fare altre osservazioni in merito alle funzioni dell’art. 70 della riforma costituzionale.
Per ora mi limiterò soltanto a due estemporanee considerazioni.
In Francia vige una Repubblica presidenziale fortemente centralizzata, nonostante l’ultima riforma che ha creato le grandes régions accorpando i départements. I comuni sono numerosi e spesso poco popolati (nei Pirenei c’è un comune che non può eleggere il consiglio comunale perché gli abitanti sono un numero inferiore dei consiglieri da eleggere!). Di qui la necessità di “rappresentanza” delle comunità locali i cui rappresentati sono eletti nel Senato da circa 150.000 elettori ed ha in materia di enti locali gli stessi poteri dell’Assemblea Nazionale. Ma soprattutto è diverso lo “spirito” della Costituzione che si richiama non al primato della persona e al bene comune, ma ai principi della sovranità nazionale definiti dalla Dichiarazione del 1798, confermata e integrata dal preambolo della Costituzione del 1946….
La Germania, poi, è una repubblica federale formata dai lander, che hanno molte e precise competenze soprattutto in materia di bilancio. Il Bundesrat è un organo federale, non una seconda camera, e i suoi membri sono esponenti dei governi dei lander ed esprimono, pertanto, la loro volontà.
Come si vede, i vari stati sono un’immagine rispecchiata e ingrandita dei popoli che li costituiscono. Le differenti costituzioni esprimono l’anima di un popolo, ma mai la creano. Una sola cosa è necessaria per affrontare serenamente il quesito referendario: essere liberi, cioè ricercare la verità nell’intimità della propria coscienza abbandonando gli inviti di partiti e schieramenti che volentieri confondono libertà d’espressione con la menzogna: Non basta che si dica di aver ragione: bisogna avere anche qualcuno che te la dia. Per questo bisogna discernere.
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