La geografia del collegio cardinalizio costituisce sempre in un certo qual modo un significativo indicatore della direzione che un pontificato intende assumere, in quanto è inevitabile che il Papa scelga i suoi collaboratori principali (i cardinali rappresentano, infatti, il collegio più vicino al successore di Pietro) tra uomini che ne rispecchino l’immagine di Chiesa. Nell’annuncio di un nuovo concistoro dato all’Angelus di domenica scorsa, Papa Francesco ha ancora stupito per la scelta fatta di nuovi cardinali che rispecchiano in pieno la sua visione della Chiesa, magari anche deludendo chi si aspettava nomine quasi obbligate dalla tradizione di antiche sedi vescovili o da titoli legati a specifici uffici e dicasteri della Santa Sede.
Il collegio cardinalizio ha già conosciuto un deciso processo di internazionalizzazione sin dai tempi di Paolo VI, a sottolineare la cattolicità della Chiesa presente in ogni parte del mondo che chiede una rappresentatività anche dei presuli di paesi di recente evangelizzazione, che pur non godono della radicata storia secolare delle fede delle chiese europee o occidentali. Da qui la scelta di Francesco di conferire la porpora cardinalizia a pastori di chiese piccole e quasi sconosciute dell’Africa e dell’Asia, a scapito di tradizionali sedi cardinalizie ritenute più significative (si pensi a Venezia sede importante del Patriarcato, Bologna, Palermo ed altre) o a posti occupati nei dicasteri della Curia romana (di cui è in atto un processo di accorpamento o di fusione).
Ma dal momento che il collegio cardinalizio rappresenta la mappa stessa della linea di pensiero e di governo di un Papa, non si può negare che con queste nomine il Papa indica alla Chiesa l’itinerario ed il percorso su cui ha scelto di condurla, vincolando tra l’altro anche l’assemblea che verrà in futuro chiamata all’elezione del nuovo Pontefice nel prossimo conclave. Per questo la scelta dei cardinali non ha più solo o tanto un valore premiale di riconoscimento dello zelo apostolico o dei meriti pastorali, ma indica soprattutto di chi il Papa vuole fidarsi e di che tipo di collaboratori voglia servirsi nell’esercizio del ministero petrino, naturalmente in base all’immagine di Chiesa che possiede. Perciò ogni concistoro mostra la scelta politica del Papa ed illumina meglio la linea pastorale del suo pontificato, legando le nomine non tanto ad sedem o ad officium ma soprattutto ad personam, cioè alla consonanza riconosciuta in ogni neo-cardinale.
Ne emerge allora il quadro non di una sorta di corte pontificia, di cui si diventa membro per cooptazione perché si è nelle grazie del sovrano che chiama a diventare “principi della Chiesa”, ma di un’espressione di comunione costituita perché si appartiene all’unico Signore e per questo l’unico merito che giustifica la porpora è l’essere appassionati all’evangelizzazione, in spirito di povertà e dedizione al gregge affidato, avendo mostrato di essere autentici uomini di Chiesa. Per questo sempre più il collegio cardinalizio chiede non una pura rappresentanza proporzionale ai gruppi linguistici o alle fazioni presenti nella Chiesa, neppure una spartizione tra correnti teologiche come se si dovesse suddividere il potere di diverse aree di influenza; ciò che è chiesto è solo la fedeltà all’essere chiamato a ”stare vicino” al Papa per accompagnarlo nella sua missione e consigliarlo nel governo ordinario e straordinario della Chiesa, come uomini di frontiera che affidano tutto a Dio.
In questa prospettiva è particolarmente felice la scelta di monsignor Renato Corti, vescovo emerito di Novara e già vicario generale del cardinale Martini, uomo di preghiera ed ascesi che ha predicato gli esercizi spirituali per la Curia pontificia nel 2005 ed ha scritto i testi della Via Crucis al Colosseo nel 2015. Si tratta infatti di una personalità di alta religiosità e profonda fede, lontanissima da ogni ricerca di onore e gloria personale, connotata dalla dedizione al suo gregge, vero esempio di pastore cattolico, cioè universale. E guardando ad un cardinale come lui, viene da pensare che le Chiese occidentali, sempre meno presenti nel governo centrale della Chiesa, devono ritrovare il valore anche della propria tradizione, per non disperdere la fecondità del loro carisma. Non siamo più ai tempi di Pio XII, quando gran parte del Sacro Collegio era italiano o europeo, ma sarebbe bello che il Papa potesse trovare ancora oggi dei cardinali europei degni di essergli vicino.
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