Dopo la scorpacciata di notizie a seguito del referendum sulla Brexit, il caldo agostano e il tepore settembrino, pare aver raffreddato il problema, anche se la Brexit è la Brexit per usare le parole della signora May. Certamente gli ambiti di analisi (il punto di vista dei mercati finanziari, le ricadute sul turismo, le scelte politiche, i confronti con il referendum inglese del 1975 sullo stesso tema ecc.) troveranno, come funghi velenosi o castagne bacate, nuovi vigorosi spazi a ottobre. Ma anche se i tempi per l’applicazione della Brexit fanno parte di una lotteria politica, sembra che ci si debba interrogare su un argomento che ha avuto solo inizialmente l’onore di qualche titolo giornalistico. L’inglese potrebbe non essere più la lingua ufficiale dell’Unione?
Questo possibile rischio, l’abbandono della lingua inglese come lingua ufficiale delle istituzioni europee, non infiamma gli animi dei più, forse neppure quello dei tanti giovani che stanno trascorrendo o hanno trascorso soggiorni di studio nello United Kingdom e che continueranno a scegliere Londra per le loro vacanze e a parlare inglese come lasciapassare per il mondo. Ma è davvero un problema da lasciare agli eurocrati dei palazzi del potere europeo, che – in ogni caso – hanno sempre difeso il cosiddetto multilinguismo, cioè la possibilità di esprimersi nelle varie e numerose lingue europee?
Pare scontata la risposta: è un problema culturale di tutti e non può essere un “throwing someone under the bus”, l’egoistica affermazione di lanciare qualcuno sotto un bus. Tutti (ma proprio tutti) devono ad esempio sapere che Erasmus, come progetto europeo creato nel 1987 per la mobilità degli studenti universitari, è l’acronimo di European Region Action Scheme for the Mobility of University Students. Gli europei disuniti ripudieranno ora anche questo acronimo, che rappresenta la bandiera di una generazione?
Nessuno leggerà più con attenzione quanto preparato dagli uffici dell’Unione Europea circa la lista relativa a “misused words”, gli abusi e gli errori linguistici di un inglese burocratizzato? Il documento elaborato dagli uffici europei è stato ( ed è) un importante strumento per valorizzare l ‘uso della lingua inglese, liberata dalle deformazioni burocratiche. O preferiamo continuare a pensare l inglese mediante gli stereotipi linguistici ( e quindi culturali) del tipo… “it rains a lot in London”? Tutti sanno frasette simili all’affermazione categorica per cui a Londra piove molto Piaccia o non piaccia l’Europa dovrà dialogare con le istituzioni internazionali in inglese, per non cadere in anacronismi linguistici come quelli che si possono leggere su Efhemeris, pagine on line di cronaca in lingua latina, “Qualibus opinionibus gestus Britannicus interpretandus sit extra Communitatem Europeam se ponendi”. La lingua inglese resterà veicolo per e e tra gli Europei, altrimenti si sarà tentati a soluzioni poco credibili, come quelle che si possono conoscere, dopo attenta traduzione da un latino semplificato, circa le opinioni per interpretare il gesto, la scelta britannica di porsi al di fuori della Comunità Europea.
Insomma dopo la Brexit dobbiamo tutti (ma proprio tutti) capire che ci sarà un’occasione per la cultura di abbattere gli stereotipi e far dialogare la tradizione (o se preferiamo la memoria) con l’innovazione
La Brexit non sia la nostra fuga dalla cultura e dalla memoria storica e l’alibi di vecchi luoghi comuni. Quando chi scrive visitò nel 1977, anno del giubileo d’argento della regina, i suoi primi 25 anni di regno, per la prima Londra pensava che a Parigi si respirasse aria europea, mentre nel cosmopolitismo londinese ci si sentiva più estranei. Dunque, insieme con la regina, lunga vita alla lingua inglese che, da dominante, sappia continuare ad essere una proposta culturale per tutti. E soprattutto continuiamo ad interrogarci sul problema, come hanno fatto i giovani che hanno trascorso le vacanze-studio in questa storica estate 2016. E magari sperano in un significativo Erasmus per il volontariato.
You must be logged in to post a comment Login