(C) Permettetemi, cari amici, di rinviare il proseguimento della riflessione sul referendum, per dedicare l’apologia di questa settimana alla mostra “La Porta Santa di Floriano Bodini” che s’inaugura domani, 8 ottobre, al Museo Bodini di Gemonio. Lo faccio semplicemente riproponendo il testo scritto per il catalogo della mostra, con una postilla che spiega la ragione di un’apologia per la porta santa (scritta con la minuscola), a differenza del testo riportato sul catalogo che, per un equivoco di cui mi assumo una buona parte di responsabilità, è diventata in alcuni casi indebitamente Porta Santa (con la maiuscola). Il testo che segue è quello corretto.
La porta santa
Alla domanda: ‘Che cos’è la Porta Santa nella Chiesa?’ c’è una risposta immediata e facile: la Porta Santa è Gesù. Non c’è dubbio alcuno (soprattutto se usiamo le maiuscole), lo ha detto lui stesso: “ Io sono la porta delle pecore … chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.”(Gv 10)
È una risposta facile, persino troppo facile, perché tutto quello che ha valore nella Chiesa dipende strettamente da Gesù: parola, liturgia, sacramenti, comandamenti. Nello stesso tempo è una risposta pesante: costringe ad andare oltre la dimensione del simbolo e della metafora, non è un modo di dire, ma lo stabilirsi di una relazione essenziale. Non è neppure un dettaglio cronachistico quello che ricorda Giovanni (Gv 20) delle prime apparizioni: “ mentre le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giudei, erano chiuse, venne Gesù… Otto giorni dopo venne Gesù a porte chiuse…”. Egli passa attraverso le porte chiuse non perché è un fantasma immateriale, come temono i discepoli, ma perché è la porta, è la relazione con il reale.
Forse questa è la ragione per cui il simbolo della porta non acquisisce rilevanza nell’iconografia paleocristiana. Nella simbologia ebraica come in quella greco-romana, la porta fa parte del recinto sacro, come delle mura della città; in primo luogo tende ad escludere, mentre permette il passaggio solo quando è aperta, cioè quando la sua funzione è nulla, come se non esistesse. Oltre la porta del tempio entra solo il sacerdote, cui è riservata l’intimità col dio, il popolo, al contrario, resta pro-fano, fuori dal tempio.
L’ ecclesia, invece, è la casa del popolo di Dio; tutti i fedeli vi accedono, sia essa una casa privata, una basilica, cioè un’aula pubblica adibita normalmente ad usi civili o un tempio pagano riconsacrato al culto del Vero Dio. La condizione per l’accesso è solo la fede: in Atti 15 leggiamo che Paolo e Barnaba, tornati ad Antiochia dopo il primo viaggio missionario, “radunata la chiesa, annunciarono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede.”
Varcare la soglia del luogo dove si tiene l’eucarestia è quindi, ogni volta, andare incontro a Cristo per presentargli la propria fede, la soglia separa l’uomo vecchio dall’uomo nuovo: è giusto che ne mostri la differenza, almeno dal momento in cui, cessate le persecuzioni, sarà possibile e doveroso mostrarla pubblicamente. D’allora, ciò che si scolpisce sulle ante delle porte o sui portali che le circondano non ha mera funzione decorativa, ma richiama figurativamente, nel linguaggio accessibile a tutti, i contenuti principali della fede comune, è un richiamo della catechesi battesimale, non dimenticando che la porta per l’accesso alla fede è il battesimo, tanto importante da avere a questo scopo per diversi secoli un luogo separato dalla chiesa, il battistero, cui compete anche una diversa iconografia.
Una rilettura tematica delle porte e dei portali medievali porterebbe troppo lontano dallo scopo di questo intervento, a causa della ricchezza dei simboli che entrano nell’iconografia medievale e del dilatarsi del simbolo nell’allegoria.
Vale però la pena di ricordare come dal simbolo della porta derivi quello delle chiavi, attribuito al primato petrino (Mt 16,19), “Ti darò le chiavi del regno dei cieli”. Una lettura profonda dei testi evangelici porta ad una conclusione coerente e drammatica: se la porta è Cristo, Pietro è la soglia: non si giunge a Cristo se non attraverso la realtà visibile, concreta, incontrabile della Chiesa, che si incarna in Pietro e nei successori.
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Il tredicesimo secolo è un periodo di grandi prove per la Chiesa, che passa dal trionfo teocratico di Innocenzo III alle convulse vicende dell’elezione e della rinuncia di Celestino V, alla celebrazione del primo giubileo nel 1300, indetto da Bonifacio VIII È in questo contesto culturale drammatico della vita della chiesa medievale che san Francesco nel 1209 ottiene da Innocenzo III l’approvazione della regola e da Onorio III nel 1216 la conferma dell’indulgenza della Porziuncola. Il tema dell’indulgenza, cioè della remissione della ‘pena temporale’ da scontarsi nel purgatorio, acquista un rilievo popolare importante dal momento in cui questa possibilità viene estesa dalla crociata ad una semplice visita ad una particolare chiesa, purché pentiti, confessati e comunicati. Una data significativa è il 1294, il luogo la basilica di Collemaggio, all’Aquila. Nell’agosto del 1294, infatti, proprio a Collemaggio, Celestino V emanò una bolla pontificia con la quale concedeva un’indulgenza plenaria e universale a tutti i battezzati. La Bolla di Celestino V, nota come la Bolla del Perdono, poneva come condizioni per l’ottenimento del perdono l’ingresso nella basilica nell’arco di tempo compreso tra le sere del 28 e del 29 agosto di ogni anno e l’essere “veramente pentiti e confessati”. L’apertura della ‘porta santa’ e l’applicazione dell’indulgenza si ripetono d’allora ogni anno. La data e le circostanze sono significative: l’esperienza del papa spirituale Celestino V finisce presto con l’abdicazione, a causa dell’incapacità di governo dello stesso e della sua sottomissione agli interessi politici degli Angioini; il paradosso è che proprio il suo avversario, colui che lo sostituisce come pontefice e lo tiene relegato in semiprigionia, Bonifacio VIII, riprenderà il tema della ‘perdonanza’ indicendo il primo Anno Santo nel 1300.
Da allora gli Anni Santi, ordinari o straordinari, vengono ripetuti con frequenze prima cinquantennali, poi accelerate, ogni 25 anni o in corrispondenza della ricorrenza della morte e risurrezione di Cristo. Bisogna osservare però che non si fa cenno di una particolare ‘porta santa’, nemmeno per la basilica di s. Pietro, fino al 1423, quando Martino V apre solennemente la porta santa di s. Giovanni in Laterano. Quasi a sancire l’eccezionalità dell’indulgenza giubilare, le porte sante, aperte in seguito nelle quattro basiliche maggiori romane, venivano murate la termine del periodo giubilare, fino alla riapertura solenne, ad opera del papa in persona che dava il primo colpo alla struttura muraria, all’inizio del successivo Anno Santo.
La tradizione della porta murata, che continua tuttora semplificata, ha precluso sino all’epoca contemporanea una strutturazione artistica della porta. Nel periodo giubilare il muro veniva sostituito da una semplice porta di legno, funzionale alla chiusura notturna. Solo nel secolo scorso si sentì la necessità di dare rilievo artistico alle porte sante romane. Quella di s. Pietro fu realizzata nel 1949 da Vico Consorti e fu installata e benedetta in occasione dell’Anno Santo 1950; quella di s. Paolo fuori le mura, opera di Enrico Manfrini in occasione dell’Anno Santo del 2000; nel dicembre 2001 (quindi fuori dal tempo giubilare) fu posta in opera e benedetta da Giovanni Paolo II quella di s. Maria Maggiore, opera di Luigi Enzo Mattei. Infine, la ‘nostra’ venne installata nella notte tra 19 e il 20 dicembre 2000.
Con il Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco in forma universalistica e popolare, attribuendo ad ogni singola diocesi la possibilità di identificare il luogo dove ‘lucrare’ l’indulgenza plenaria, il numero delle porte sante si è moltiplicato. Ma il significato simbolico della porta non si è affatto svilito, anzi, le porte sante di Roma assurgono a modello artistico-teologico proposto universalmente, grazie anche alla possibilità comunicativa offerta dai mass-media. Le porte sante delle basiliche romane giungono ad un punto nodale nella storia della Chiesa, a cavallo del Concilio Vaticano II, come pure ad un punto evolutivo della storia dell’arte sacra contemporanea. Questa mostra non ha certo la pretesa di dire una parola autorevole in proposito, ma svolge con puntualità il modesto compito di offrire una possibilità di approfondimento al credente e all’artista.
Postilla
Il passaggio nel testo da Porta Santa a porta santa, dalla maiuscola alla minuscola, allude al nesso tra l’uomo, pellegrino e penitente, e Gesù. Gesù è la Porta Santa. Egli solo è la causa della misericordia, del perdono, dell’indulgenza. Anzi è La Misericordia. (La maiuscola non è sprecata) Ma il paradosso è che la meta divina esiga un percorso umano, che per vedere quel Volto si debba attraversare una soglia fisica, una porta custodita da un guardiano umano, da un vicario che ne tiene chiavi. Non per nulla il vescovo di Roma venne per molti secoli definito ‘vicario di Pietro’ e non ‘vicario di Cristo’. Il ‘potere delle chiavi’ si esprime attraverso una vicenda umana. Le scelte di Onorio III, di Celestino V, di Bonifacio VIII, che ho brevemente richiamato, sono fissate indelebilmente nella storia a dimostrarlo. La scelta di Papa Francesco di estendere l’indulgenza ad ogni diocesi e ad ogni chiesa cattedrale o santuario indicato dal vescovo locale non è desacralizzazione o democratizzazione o rinuncia pauperistica all’introito economico dell’Anno Santo romano, ma squillante annuncio dell’universalità della misericordia divina. Ripete con s. Francesco”Voglio portarvi tutti in Paradiso”.
Oggi dunque le porte sante sono migliaia. Non è per questo che restano minuscole: è per restare come noi, accessibili a noi peccatori, “veramente pentiti e confessati”. Umili come noi, sono rimaste per secoli murate da mattoni, aperte a picconate, fino a quando non minacciarono, nel cadere, l’incolumità di Paolo VI. Umili battenti di legno, fino alla metà del secolo scorso. Diventano oggetti d’arte non per un desiderio di gloria esteriore, ma per comunicare meglio un messaggio. La porta santa del Laterano, grazie all’arte di Bodini e alla spiritualità dei teologi che lo hanno accompagnato, fondendo il corpo di Maria che regge il Bambino con il legno della Croce che porta Gesù Cristo sofferente, ci sussurra: Redemptor Hominis, Mater Misericordiae, Janua Coeli.
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