Fissata la data, il 4 dicembre, è partito il conto alla rovescia per il referendum sulle riforme costituzionali, referendum che riguarda soprattutto la sostanziale modifica delle competenze e della composizione del Senato e una completa riscrittura del rapporto tra Stato e Regioni. È su questi due punti infatti che si concentrano le ragioni del sì e del no al di là degli argomenti squisitamente politici di chi vede nella consultazione un modo per confermare o per bloccare la leadership di Matteo Renzi sia nel suo partito, il Pd, sia nel Governo.
Nello specifico tuttavia c’è un altro tema, strettamente collegato, su cui ci sono forti contrasti, il tema della legge elettorale. È un tema su cui peraltro si è registrata una seconda parziale marcia indietro da parte del premier. La prima è stata quella di legare fortemente il referendum alle proprie sorti personali, quasi fosse un plebiscito pro e contro Renzi: posizione poi giustamente corretta. La seconda marcia indietro è avvenuta proprio sulla legge elettorale, quella recentemente approvata dalle Camere e chiamata Italicum: prima difesa a spada tratta, poi con qualche apertura ad alcune imprecisate modifiche, poi con la promessa di un’iniziativa del Pd per rivederla.
Perché la legge elettorale, pur non essendo oggetto della consultazione in quanto legge ordinaria e non costituzionale, va considerata importante per dare un giudizio sul Si o il No al referendum?
La riforma costituzionale prevede un sostanziale superamento di quello che viene chiamato “bicameralismo perfetto” che vuol dire che i due rami del Parlamento, Camera e Senato, hanno gli stessi poteri legislativi e quindi le leggi, per essere approvate, devono ora avere il doppio consenso. La riforma prevede che solo la Camera dei deputati, che rimane di 630 membri, dia la fiducia al Governo e approvi da sola tutte le leggi, tranne per alcune categorie di leggi, riferite soprattutto ai temi locali, su cui sarà ancora necessaria la doppia approvazione.
La riforma prevede anche un forte cambiamento del Senato che sarà solo di 95 membri (più cinque designati dal capo dello Stato) che non saranno eletti dal popolo, ma scelti dalle assemblee regionali tra i consiglieri e i sindaci.
Quindi la Camera dei deputati avrà se non tutti almeno gran parte dei poteri e avrà un ruolo preponderante nelle votazioni in seduta congiunta (630 deputati e 100 senatori) per le elezioni del presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali.
Ecco allora che diventa importante sapere come verrà eletta questa Camera dei deputati. Ebbene l’Italicum, il nuovo sistema elettorale, è profondamente diverso da quelli con cui siamo stati abituati a votare. Vediamolo in sintesi.
L’Italia sarà divisa in cento circoscrizioni dove ogni partito potrà presentare una propria lista con un capolista e altri candidati. L’elettore che voterà il partito voterà automaticamente anche il capolista, il cui nome sarà prestampato, e potrà aggiungere due preferenze, un uomo e una donna. Lo stesso candidato potrà presentarsi capolista al massimo in dieci collegi e dovrà poi optare in quale essere eletto.
Quindi i partiti avranno un ruolo decisivo nella scelta dei candidati (se un partito ottiene almeno un seggio sarà sicuramente quello del capolista).
Ma le novità non si fermano qui. La legge è fatta in modo da garantire comunque che un partito ottenga alla fine la maggioranza e quindi 340 seggi alla Camera. Li otterrà subito al primo turno il partito che otterrà più del 40% dei voti (ipotesi politicamente inverosimile). Se questo, come è sicuro, non avverrà, gli elettori saranno chiamati quindici giorni dopo a votare in un ballottaggio in cui saranno presenti solo i due partiti che hanno ottenuto più voti. Ebbene chi “vincerà” il ballottaggio avrà per cinque anni la sua maggioranza garantita. E questo anche se al primo turno avrà ottenuto il secondo posto con il 20 % dei voti avrà comunque il 55% dei seggi.
Allora riassumiamo: con il referendum si danno ampi poteri alla Camera dei deputati, con la legge elettorale si fa sì che la maggioranza dei deputati possa essere espressa da un partito che rappresenta un quinto dell’elettorato. Ecco perché i due temi sono collegati.
Certo, questo sistema permette di conoscere il “vincitore” alla sera delle elezioni e consente al “vincitore” di governare indisturbato per cinque anni. La governabilità è, almeno in teoria, garantita. La rappresentanza molto meno, anzi quasi per nulla.
PS: Ho scritto “vincitore” tra virgolette perché non penso che la battaglia politica sia una competizione sportiva. La politica non dovrebbe scegliere un vincitore, ma chi meglio sappia interpretare prima e servire poi le esigenze della popolazione. La politica come servizio e non come potere. Se l’Italicum venisse profondamente cambiato un “si” al referendum, pur con i tanti difetti della riforma, sarebbe una scelta non solo possibile, ma auspicabile.
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