Alle porte di Varese, in una zona accerchiata da grandi direttrici di traffico, miracolosamente appartato c’è un paese chiamato Brunello. Strade strette, una quiete antica, fatta di silenzi e di verde; una comunità piccola: gli abitanti, oggi meno di 1000, erano poco più di 200 tre secoli or sono; una storia ben più grande, affidata a due chiese e a un figlio di Brunello, Antonio Ghiringhelli. Le chiese sono dedicate a Santa Maria Annunciata e a San Carlo: della prima si ha già notizia nel 1337, è in stile romanico-lombardo, la si trova alla periferia dell’abitato, quindi in piena campagna. La seconda venne costruita nel 1680, è dedicata a San Carlo, è graziosamente “mini”: può accogliere una sessantina di fedeli.
Antonio Ghiringhelli riposa nel cimitero del paese natio dopo avere ricostruito e restituito alla cultura, alla grande musica, al canto, a Milano e al mondo, il più prestigioso tempio della lirica, il Teatro alla Scala.
La tomba dei Ghiringhelli è semplice e severa, dice subito della personalità di Antonio, di uno stile che è anche di tutta la famiglia e allora raccontare oggi di Antonio Ghiringhelli sembra quasi di infrangere un riserbo voluto dopo le luci della prima ribalta del mondo: dà l’impressione di disturbare un uomo che ha conosciuto stima, rispetto, omaggio generali e incondizionati per la sua attività di sovrintendente della Scala e che ha scelto per sé, nell’eremo di Brunello, la dimensione di un silenzio se possibile ancora più ampio di quello della morte.
DIMENTICATO DALLA SUA GENTE
C’era un Ghiringhelli attaccatissimo alla sua terra, c’è stata una provincia che lo ha incredibilmente dimenticato: solo la piccola comunità di Brunello attraverso una biblioteca avuta in dono e il contatto con la Scala ha ancora un vivo legame con questo eccezionale manager che ha espresso al meglio le doti di laboriosità, spirito di sacrificio, determinazione, intraprendenza e moralità che caratterizzano l’azione dei nostri uomini del lavoro, a qualsiasi livello. Doti che hanno un impatto ancora più positivo e profondo quando si gestisce un ente di emanazione pubblica come la Scala.
La storia del sovrintendente Ghiringhelli è legata a doppio filo a quella della Milano del suo tempo e al rilancio del Teatro alla Scala ; di questa storia ne hanno scritto in molti, ogni volta che se ne presentava l’occasione e ce ne sono state tante.
“Lombardia Nord Ovest “ da parte sua non ha dimenticato il grande
leader d’impresa, ma con la collaborazione della nipote Stella Spinelli Ghiringhelli e di Fernanda Gandini, la segretaria, ha voluto fermare in particolare l’ attenzione sull’uomo Ghiringhelli, fragile nel fisico ma senza eguali nella volontà.
In tempi in cui molti valori sembrano quasi dei difetti, è utile ricordare che il cammino vincente nella vita costa sacrifici e che lo si deve percorrere guardando agli altri prima che a se stessi.
È ANCHE LA STORIA DI UNA GRANDE AMICIZIA
Antonio Ghiringhelli divenne sovrintendente della Scala a 42 anni, quando era un affermato imprenditore del settore calzaturiero, ma a quel traguardo era arrivato partendo da zero, dando fondo alla sua inesauribile tenacia e a capacità affinate con senso del dovere negli studi e nell’attività lavorativa.
Egli non sarebbe diventato il mitico sovrintendente del complesso scaligero se non avesse conosciuto un altro celebre figlio del Varesotto, Antonio Greppi da Angera, nel 1945 primo sindaco della Milano liberata.
Era accaduto che un giorno del 1919,Antonio Greppi, avvocato venticinquenne, si accorgesse di un ragazzo di 16 anni assorto nella lettura di un libro di Tolstoi: i due si trovavano nello scompartimento di un treno per Milano. Dal primo dialogo sul treno a una forte amicizia il passo fu facile perché si erano incontrati spiriti e intelligenze non comuni.
Certamente nella formazione politica del giovane Antonio ebbe un peso decisivo l’Antonio più anziano se nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, ritroviamo i due amici esemplari praticanti di una fede socialista purissima.
Ma in quel mese di aprile, che fu l’inizio di una grande primavera per l’Italia e per Milano, i due varesini, tanti anni prima occasionali
compagni di viaggio verso Milano, di strada nella vita ne avevano percorsa.
DA FATTORINO A IMPRENDITORE AFFERMATO
E quella dell’ Antonio che leggeva Tolstoi non era stata facile. Il ragazzo di Brunello aveva infatti conosciuto tempi non facili: un gruppo famigliare numeroso e di modeste condizioni, la scomparsa prematura della madre, il padre che morendo gli lascia la guida dei fratelli, della famiglia.
Le difficoltà spronarono Antonio al massimo: frequentò un istituto tecnico di Varese, uno zio occupato alle Poste gli trovò lavoro: sarebbe stato un eccellente fattorino, avrebbe portato telegrammi pure ai “vip” in vacanza al Grand Hotel del Campo dei Fiori.
E lavorerà Antonio anche per tutto il periodo degli studi universitari : si laureerà, giovanissimo e con il massimo dei voti, in Economia all’ateneo di Genova. A Milano prima occupazione in uno studio di organizzazione aziendale e all’inizio degli Anni 30 ecco Ghiringhelli distaccato per una consulenza presso un cliente di riguardo: il Teatro alla Scala. Ci sarà poi un’industria francese di prodotti per le calzature, la Morel, con sede principale a Parigi, che in Italia deve riavviare uno stabilimento distrutto da un incendio: la direzione del complesso è una sfida e Antonio Ghiringhelli, amministratore delegato appena ventisettenne, la affronta e la vincerà; il titolare, Morel, ha scelto per la sua azienda davvero il miglior collaboratore possibile, appunto Ghiringhelli, che nel giro di pochi anni avvierà anche un’industria di sua proprietà, la Cuoital.
COME DIVENNE SOVRINTENDENTE
Siamo alla fine degli Anni 30 ed è dunque su un imprenditore affermato che nell’aprile del 1945 il sindaco Greppi punta per ricostruire un simbolo di Milano conosciuto in tutto il mondo; l’amicizia, la sintonia politica vengono ben dopo le certezze, le garanzie sulle capacità manageriali di Ghiringhelli.
Il teatro alla Scala era stato gravemente danneggiato da un bombardamento nell’agosto del 1943, la sua ricostruzione sarebbe stata un segnale importantissimo per i milanesi, per il Paese, una bandiera rialzata dalla polvere. L’ok per l’operazione-Scala e la costituzione del suo staff deve venire dal Comando militare alleato dove, dopo l’invito di Greppi, viene appunto convocato un Ghiringhelli un po’ perplesso e a ragione: prima della fine della guerra infatti era stato ricoverato a “La Quiete” di Varese perché gli avevano diagnosticato un tumore al fegato. Un grande specialista, sfollato nel Varesotto, aveva formulato però una diagnosi ben diversa, tuttavia problemi per la salute ce ne sarebbero comunque stati :ecco i dubbi sull’accettazione dell’incarico di sovrintendente della Scala. Il sarcasmo del comandante alleato sugli italiani che erano “pronti a ricostruire l’Italia solo a parole” fece scattare Ghiringhelli: ” Lei si sbaglia di grosso, io accetto e per di più lavorerò senza chiedere una lira. ” Per 27 anni nel bilancio della Scala alla voce “compenso sovrintendente” sarebbe apparso un semplice, eloquente trattino, capitò anzi che dovesse essere proprio Ghiringhelli ad anticipare una notevole cifra per finanziare i lavori di ricostruzione. All’inizio degli Anni 50 la segretaria Gandini avrebbe ricevuto dal ministero del Tesoro un pacco confezionato con la ruvida carta gialla usata dai macellai: dal pacco, aperto con una certa curiosità, emerse una quantità di banconote, era il rimborso delle somme anticipate dal sovrintendente. Altri tempi, anche per l’esecuzione dei lavori: nel 1946 la Scala veniva riaperta
al pubblico e sotto la guida di Ghirighelli avrebbe ritrovato ed esaltato la sua leadership nel mondo.
COME NASCEVANO MEMORABILI STAGIONI SCALIGERE
Quale uomo ha avuto la responsabilità della guida della grande realtà scaligera per oltre un quarto di secolo? Innanzitutto una persona, un imprenditore con il culto della virtù del riserbo: una sola apparizione in televisione e dichiarazioni e interviste che sempre avevano al centro l’attività della Scala e non il sovrintendente. Riserbo, impegno diuturno, la consapevolezza di lavorare sempre, non per una èlite ma per una comunità intera, per Milano.
Di qui la trasparenza assoluta, il rispetto pignolo di una etica del lavoro che non ha avuto eguali. Ghiringhelli era un amministratore con un datore di lavoro, il Comune di Milano, che gli rinnovava l’incarico ogni quattro anni con decisione costantemente presa all’unanimità; per le sue capacità e per la sua integrità morale il sovrintendente era apprezzato da tutte le forze politiche che davanti al suo nome accantonavano le polemiche e le contrapposizioni più dure per trovare subito un consenso totale che forse non ha precedenti nella storia istituzionale del Paese. Quasi settantenne, Antonio Ghiringhelli volontariamente lasciò l’incarico per motivi di salute: Milano non se ne sarebbe mai privata, si era nel 1972, il mondo politico da almeno quattro anni conosceva i venti e i turbini di un grande rinnovamento e anche di drammi.
All’inizio l’incarico di sovrintendente era stato accompagnato da poteri assoluti, terminata l’emergenza Antonio Ghiringhelli amministrò la Scala con misura e autorevolezza, con senso del dovere, avendo come riferimento nuovi limiti del mandato e anche
la filosofia, le formule che avevano permesso al ragazzo di Brunello di affermarsi in campo industriale dopo un esemplare cursus di studi. Persona intelligente volle sempre collaboratori intelligenti, una scelta che ancora oggi non è di tutti e la sua azione ebbe in ogni circostanza l’obiettivo della perfezione, traguardo che si sapeva impossibile ma che portava ad ottenere il meglio.
Allora nella pianificazione dell’attività era appunto cercato il meglio in assoluto: tutto doveva essere in linea con storia e tradizione, che il massimo appunto rappresentavano. Nella programmazione della stagione scaligera Ghiringhelli chiedeva ai suoi collaboratori di esseri attenti alla storia della musica, dell’opera, dei balletti e di tutto quanto era innovativo. Da questo tipo di programmazione, frutto di “vertici” con i responsabili dei settori di attività, sono costantemente uscite stagioni esemplari per intensità, completezza e validità artistica.
DIFESE IL TEATRO DAI POTERI FORTI
La grande storia della Scala è fatta anche di episodi che hanno coinvolto l’opinione pubblica, come per esempio le rivalità e le lotte tra grandi cantanti: ebbene Antonio Ghiringhelli mantenne il più assoluto distacco, non volle mai essere “parte” di queste vicende e invadere sfere che non erano di sua competenza; invece interveniva subito e con fermezza quando personaggi potenti gli “raccomandavano” qualche cantante; erano i suoi “no” poco diplomatici anche nella forma perché la Scala andava difesa da chi non le portava rispetto, da chi concepiva il potere come prevaricazione.
A Ghiringhelli non sfuggiva qualsiasi particolare della vita del teatro e di conseguenza del comportamento dei protagonisti delle varie
attività: era esigente con se stesso e con i dipendenti, tuttavia con tutti ebbe rapporti molto buoni sul piano umano, egli tese sempre la mano a coloro che avevano gravi problemi personali. Una disponibilità che veniva dalle sue sofferte esperienze della gioventù ed era alimentata dall’ideale politico: non a caso, appena nominato, la sua prima preoccupazione fu quella di dare lavoro a tutti: andò di persona a richiamare esponenti del corpo di ballo che per campare facevano la rivista, rivolle in azione coro e orchestra già nell’estate del ‘45 con spettacoli al palasport milanese; la stagione proseguì con i concerti in autunno e, al teatro Lirico, con la rappresentazione delle opere.
Lavoro per tutti subito, per sempre e al meglio: così il più famoso teatro del mondo poté in breve tempo ritrovarsi nella posizione che gli competeva.
HA FATTO GUARDARE CON FIDUCIA ALL’ITALIA
Dalla riapertura del 1946 con un concerto diretto da Toscanini è stato un crescendo entusiasmante che ha fatto da traino alla rinascita di Milano e dell’Italia, della quale con memorabili tournèe la Scala in seguito fu ambasciatrice all’estero.
Il sovrintendente con la ricostruzione record e il rilancio ai massimi livelli dello storico teatro milanese ha contribuito molto a fare di un’Italia distrutta e umiliata dalla guerra una nazione alla quale si poteva guardare di nuovo con fiducia
Davvero straordinaria l’avventura di Antonio Ghiringhelli un leader d’impresa proiettato nel futuro, un anticipatore per la ricerca di un continuo aggiornamento, per avere accostato la modernità nelle valutazioni e nelle scelte ai valori della tradizione, per una gestione nella quale aveva un ruolo di assoluto profilo uno staff composto di “migliori”.
Dietro l’amministratore di ferro c’era un uomo che aveva conosciuto la sofferenza, gli agguati della vita e che tuttavia non si era arreso mai e affrontava qualsiasi ostacolo con la massima determinazione.
LA SCALA COME RAGIONE DI VITA
Ghiringhelli non immaginava per sé un impegno pubblico, lo accettò con uno spirito di servizio eccezionale. Affidate le sue aziende a collaboratori molto preparati, fece una ragione di vita del suo impegno per la Scala e ne ebbe soddisfazioni e riconoscimenti morali altissimi: capi di Stato, di governo,
regnanti lo vollero conoscere, lo ebbero ospite, lo insignirono delle più alte onorificenze. Ghiringhelli che avrebbe potuto avere una grande ribalta per sé restò semplice, in linea con i valori che aveva coltivato, quelli del dovere, dell’onestà, della solidarietà, della famiglia. Non si era sposato Antonio Ghiringhelli, ma se pur preso dal turbine degli impegni
“ vigilava” con affetto profondo sui suoi cari che avevano in Stella la loro “attachée” presso di lui. Stella, la prima nipote, amatissima, aveva frequenti contatti con il vulcanico zio. Si chiamava Stella una sorella di Antonio, morta giovanissima nel 1932 per una malattia polmonare: il futuro sovrintendente da quel triste giorno avrebbe aiutato concretamente i bisognosi colpiti dallo stesso male. Avendo come riferimento opere e qualità intellettuali e morali abbiamo abbozzato un ritratto comunque straordinario di Antonio Ghiringhelli; tanto entusiasmo per la riscoperta di un personaggio di questa caratura non ci fa dimenticare che all’uomo e all’ imprenditore Ghringhelli, come a tutti gli uomini e come a tutti gli imprenditori, non sono mancati i difetti. Che fortunatamente ne impediscono la santificazione.
E a noi basta ripresentarlo, venticinque anni dopo la sua morte, e alla vigilia dell’inaugurazione della rinnovata Scala come il primo autentico e difficilmente eguagliabile imprenditore pubblico dell’Italia democratica. Come tale anche grande Italiano, che va annoverato in un club purtroppo di pochi soci. La smemorata
Varese di lui si ricordi almeno da oggi.
Estratto da Lombardia Nord Ovest del 1999
You must be logged in to post a comment Login