È stata una delle mostre al Meeting di Rimini più visitate anche se fatta solo di foto e pannelli: “La più bella delle avventure” ha raccontato i sessant’anni di vita di padre Augusto Gianola uno dei missionari del Pime più stravagante e deciso che l’Amazzonia abbia mai conosciuto.
Alpinista, eremita, esploratore delle foreste, trascinatore dei cablocos, gli indios che hanno lasciato la vita nomade, Gianola è nato nel 1930 a Laorca di Lecco e ha fatto il viceparroco a Locate Varesino prima di partire per la missione. Divenne famoso al grande pubblico grazie a una intervista con Enzo Biagi che lo scovò nel fondo di una foresta amazzonica, dove viveva solo. Al termine del colloquio il giornalista commentò: “Ho trovato un uomo felice”.
Felice? Uno che si cibava di frutta andata male, carne o pesce solo quando riusciva ad acciuffare qualcosa, tormentato dagli insetti, assediato da animali feroci, senza elettricità, tv, comodità di alcun genere. Solo per lunghi mesi in balia delle tempeste tropicali. Chiese di paglia infestate da serpenti. Per letto un’amaca? Eppure a leggere le sue lettere e i suoi diari la riposta è sì.
“Ho conosciuto padre Gianola” racconta l’arcivescovo di Milano cardinale Scola” sia quando era in Lombardia sia in Amazzonia. Tanto fu in lui impellente, instancabile, inesausta la ricerca di Dio, tanto esigente il suo bisogno di conversione. Costruiva piccole comunità tra gli indios con lo stesso metodo dei primi cristiani: “Vieni e vedi”. Nella regione del Paratucu’ se lo ricordano ancora per la sua temerarietà: una volta per tornare in Italia decise di discendere il Rio delle Amazzoni in piroga in 15 giorni: 1400 chilometri. Poi giunto a Recife,in aereo sino a Lisbona. Di lì a piedi sino a Fatima e Lourdes mangiando la frutta degli alberi e dormendo all’addiaccio perché per il suo aspetto i religiosi non gli davano ospitalità. Era capace di camminare per giorni da solo in mezzo a liane e acquitrini per raggiungere un malato di lebbra abbandonato dai suoi. La contrae anche lui. Ci vorrebbe un libro per raccogliere tutti gli aneddoti, le imprese di questo straordinario missionario ambrosiano. E in effetti un libro c’è, scritto dall’instancabile padre Piero Gheddo nel 1994: “Dio viene sul fiume”. Edizioni Emi. Bellissimo.
Chi era padre Gianola? L’interrogativo ha affascinato i tanti giovani che a Rimini hanno visitato la mostra. Tra le molte testimonianze presentate scelgo questa che forse più di altre, è in grado di rispondere alla domanda.
È il 5 novembre del 1986, giorno del suo 56esimo compleanno (quattro anni dopo morirà in Italia di tumore) e il missionario si è ritirato da quasi due anni in un nuovo angolo di foresta: “Sto scrivendo alla fine del giorno del compleanno, giorno stupendo sotto tutti gli aspetti. Sapevo che sarebbe arrivato qualcuno di importante, ma non speravo così tanto. Pensavo al mio padre Armando Rizza: volevo confessarmi e celebrare con lui. Mi sono alzato presto e ho iniziato a preparare il cuore. Sapevo che sarebbero arrivati degli amici, perciò volevo offrire loro qualcosa di buono da mangiare. Così ho passato la mattinata pescando, cercando di prendere un bel pescione. A mano a mano che le ore passavano, la mia felicità aumentava. Pregavo e lavoravo: ho piantato la canna da zucchero, le zucche, le angurie. Poi ho cominciato a preparare la casa, pulendo tutto il cortile, la piazzetta della Madonna e perfino il viale che conduce al porto: è ancora fiancheggiato dagli ultimi bellissimi gigli, per ricevere degnamente gli amici. Ho infine preparato la cappella per la Messa. E, avvicinandosi la sera, la felicità aumentava. Quando sono scese le tenebre e mi sono reso conto che nessuno pensava a me, il mio cuore era ormai pieno, pieno, pieno di felicità: avevo fatto tutto il lavoro solo per Te, o Signore. E Tu sei arrivato”.
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