Mentre il governo Renzi pensa con sentimenti contrastanti alle pensioni degli italiani, un mio amico mi chiede spesso in modo scherzosamente provocatorio che cosa farò dopo la pensione. E io spesso cerco una risposta a questa domanda apparentemente senza senso. Chi mi sta leggendo avrà già capito che non voglio parlare della storia delle pensioni (e ci sarebbe molto da scrivere sia sul fatto che un certo signor Bismarck abbia istituito per primo un sistema pensionistico, sia sull’evoluzione di quella particolare obbligazione di rendita, che chiamiamo pensione, nei settant’anni della nostra Repubblica). E che dire dell’importante aspetto sociale legato alla cosiddetta età della pensione?
A questo proposito ho letto un interessante saggio, Nuovi cinquantenni e i secondi cinquant’anni, pubblicato nel 2009. A parte il titolo, che può sembrare anacronistico per chi vede allontanarsi come l’orizzonte la conclusione dell’attività lavorativa, il contenuto è attuale, direi attualissimo ed esplora con domande basilari e mai scontate il variegato mondo di chi vive il tempo liberato dall’impegno lavorativo. Ne riporto alcune: Perché la pensione? Qual è l’età migliore per la pensione? Età dell’oro o età del bronzo?
Se le domande in generale sono dense di senso, le risposte non possono essere che individuali. Tutti, infatti, dovremmo essere consapevoli che non possiamo imprigionare la complessità in categorie tuttofare o in generiche etichette linguistiche: il giovane, l’anziano, il pensionato, la gente. C’è quel giovane, c’è il pensionato uomo e la pensionata donna, c’ è chi ha agognato il tempo di essere fuori dal mondo del lavoro e c’è chi fuori da quel mondo si sente depauperato della propria identità. Non voglio fare l’apologia del particulare ma riflettere su come intorno ad una parola si coagula un mondo di idee.
Innanzitutto è strano che non esistano sinonimi per indicare la pensione, ad eccezione degli inquietanti termini burocratico – amministrativi (essere collocato a riposo o – ancora peggio – in quiescenza) e che l’affermazione pensione rimandi quasi per automatismo all’idea di vecchiaia e di anzianità. Queste ultime poi sono spesse percepite o secondo esigenze commerciali (i viaggi per la terza età) o secondo richieste vagamente socio-sanitarie (la vecchiaia attiva). Un grande uomo di chiesa, don Luigi Mazzucato, attivo per Medici con l’Africa, sosteneva che era anziano ma per nulla pensionato.
E se volessimo davvero e con coraggio vivificare il linguaggio, cioè il nostro modo di pensare, leggiamoci il prezioso librettino d Marc Augé intitolato Il tempo senza età – La vecchiaia non esiste. Potremmo trasformare la domanda dell’etnologo e scrittore francese: Dimmi come invecchi e ti dirò chi sei in Dimmi come vivi la pensione e ti dirò non solo chi sei, ma chi sei stato e chi sarai, ben sapendo che per “ciascuno di noi la vita rappresenta una lunga e involontaria indagine”. E allora persino la domanda su che cosa farai dopo la pensione si può illuminare di senso e ricevere una forza espressiva. Perché esiste sempre un dopo se siamo dentro il tempo che ci è dato.
Non è importante comprendere la vita ma viverla, non è importante aspettare la pensione ma renderla viva per un diritto e dovere verso noi stessi. Bisogna avere molta creatività dice lo stagista inaspettato, pensionato poco convinto, dell’omonimo film, bisogna avere l’emozione di nuove motivazioni non obbedienti a modelli stereotipati per dire che la pensione sia occasione di progettualità. È una sfida personale e sociale che va oltre le frasi fatte di chi, saturo di lavoro non più appagante, saluta un pensionato con un banalissimo Beato te …. Chaplin affermava: la giovinezza sarebbe un periodo più bello se arrivasse un po’ più tardi nella vita. La pensione deve arrivare al momento giusto.
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