Il 1° luglio del 1931, Armando Mazza assunse la direzione della “Cronaca Prealpina”. Quel giorno stesso volle rassicurare i lettori circa la linea politica che avrebbe continuato ad osservare il quotidiano varesino: “[…] la Prealpina sarà aderente nella maniera più ortodossa alle direttive del Regime […]. Per i veri fascisti il Duce, Capo della Rivoluzione, è il Padre e l’Iddio in terra”.
E il suo dio in terra salutò il nuovo direttore con un telegramma, in cui manifestò il proprio compiacimento nell’apprendere che il vecchio sodale era ritornato “in linea per servire, come sempre, fedelmente, la Rivoluzione fascista”. Armando Mazza, infatti, aveva aderito al fascismo sin dal 1919.
Era nato a Palermo il 13 agosto del 1884. Dopo aver seguito un corso di recitazione presso l’Accademia dei Filodrammatici di Milano, si era trasferito a Roma, dove aveva frequentato Umberto Boccioni (che gli dedicò ritratti e caricature), Auro d’Alba (pseudonimo di Umberto Bottone), Libero Altomare, Sergio Corazzini e Mario Sironi. Fu poi di nuovo a Milano, dove fondò e diresse riviste di teatro e dove incontrò Filippo Tommaso Marinetti, che, il 20 febbraio 1909, aveva lanciato il verbo futurista dalla prima pagina del parigino “Figaro”. Con Marinetti, Mazza condivise la stagione eroica e battagliera del primo futurismo. Fu lo stesso fondatore della prima avanguardia storica a ricordare il ruolo che l’amico siciliano aveva avuto in quegli anni ruggenti: “Non si potrebbe parlare degnamente di Armando Mazza, senza fare la storia del Futurismo ch’egli ha nutrito per 12 anni del suo genio e sostenuto dovunque, nelle piazze e nei teatri […]. La voce di Mazza echeggia ancora in quella camera dove nacque il futurismo”.
In verità, Mazza fu la voce del futurismo e talvolta anche i pugni. Aldo Palazzeschi, ad esempio, lo ricordò come “un simpatico e gigantesco giovinotto siciliano che Marinetti invitava quale declamatore cannone di poesie e al tempo stesso coadiutore non appena si trattava di doverle difendere”. Il giornale di Trieste “L’Indipendente”, nella cronaca dedicata Serata futurista al Politeama, cui presero parte Marinetti, Palazzeschi e lo stesso Mazza, pubblicata il 13 gennaio 1910, così descrisse l’entrata in scena del mancato attore siciliano: “Sorse quindi Armando Mazza a dire con tono veramente di fuoco tutto il primo proclama futurista, che a suo tempo venne pubblicato dai diversi giornali del regno e di Francia, mentre sarebbe stato meglio non l’avesse detto, perché fece suscitare in vari punti proteste di diverso genere fra alcune persone del pubblico. […] Il baccano ebbe il massimo delle sue vibrazioni, quando il dicitore, urlando con polmoni di ferro e senza scomporsi menomamente delle proteste, diceva: noi incendieremo le biblioteche, distruggeremo le gallerie, bruceremo i musei!”
“Bellissimo ragazzo erculeo, dalla testa di putto berniniano e dalla voce potente”, che tuonava “come salve di corazzata”, lo definì Francesco Cangiullo.
Mazza seguì il futurismo in tutte le successive derive. A Milano fu tra gli organizzatori, insieme a Marinetti e Boccioni, delle manifestazioni interventiste del settembre 1914. Prese parte poi a quella guerra, che i futuristi avevano cercato e invocato, come ufficiale di fanteria.
Nel primo dopoguerra fu ancora una volta al fianco di Marinetti e con lui prese parte alla riunione milanese del 23 marzo del 1919 in piazza San Sepolcro, durante la quale nacquero i Fasci di combattimento. Nel clima da guerra civile che agitò l’Italia in quella stagione, Mazza diede vita al primo Settimanale antibolscevico pubblicato nel nostro Paese: “I Nemici d’Italia”. Vi scrissero, tra gli altri, personalità del calibro di Marinetti, Francesco Cangiullo, Paolo Buzzi, Giuseppe Bottai, Mario Carli, Emilio Settimelli, Bruno Corra, Enrico Corra, Gastone Gorrieri, Luciano Nicastro, Mario Dessy, Alberto Businelli, Volt (Vincenzo Fani-Ciotti), Luigi Motta.
L’anticomunismo rappresentò per Mazza il segno distintivo della sua adesione al fascismo. Ancora nel 1937, in occasione dell’anniversario della vittoria del 4 novembre, mentre infuriava la guerra in Spagna, mentre tra Cina e Giappone si consumava una drammatica frattura e mentre le diplomazie europee annaspavano senza trovare convincenti soluzioni politiche alla crisi che stava per incendiare il Vecchio continente, il direttore della “Cronaca Prealpina” scriveva che la vera, titanica lotta in corso era quella tra fascismo e bolscevismo, “due concezioni antitetiche che non possono non conflagrare”.
Fu con la vittoria del fascismo che la carriera di Mazza si orientò sempre più verso il giornalismo, abbandonando le velleità poetiche che aveva coltivato in gioventù. Dal 1923 al 1935 fu vicedirettore del quotidiano romano “L’Impero”, fondato da Mario Carli ed Emilio Settimelli, poi, tra il 1926 ed il 1928, diresse l’”Arena” di Verona e, dal 1928 al 1929, il “Giornale di Genova”. Restò a Varese sino al 13 novembre 1937. Tre giorni dopo, già firmava come direttore il bolognese “Il Resto del Carlino”.
Dopo la guerra, ritornò a Milano, dove si spense il 19 gennaio del 1964. Negli ultimi anni, i suoi interventi pubblici si limitarono a rievocare gli anni del primo futurismo, le leggendarie battaglie teatrali, in cui a suon di pugni e di proclami urlati si volevano liquidare i passatisti di un’Italia imbalsamata ed ammuffita.
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