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Politica

REFERENDUM/1 A CHE PUNTO SIAMO

GIUSEPPE ADAMOLI - 30/09/2016

Roma, Palazzo Madama sede del Senato

Roma, Palazzo Madama sede del Senato

La campagna referendaria è entrata nel vivo e stiamo assistendo ad un rovesciamento delle posizioni iniziali. Matteo Renzi l’aveva impostata come una legittimazione per sé e per il suo governo commettendo un errore da lui stesso riconosciuto e sostanzialmente corretto. Ora tutte le opposizioni fanno l’operazione uguale e contraria attaccando la riforma con una virulenza polemica che va ben oltre il suo contenuto.

Malgrado questa radicalizzazione, o grazie ad essa, è da molti anni che non partecipavo a riunioni pubbliche così affollate e con il forte desiderio di conoscere, approfondire, dibattere. Non vorrei prendere un abbaglio ma potrebbe passare per questa strada il tanto invocato rinnovamento della politica. Non sarebbe stupefacente, dato che la riforma affronta il tema centrale delle Istituzioni, ma è confortante che ciò avvenga in un momento come questo.

Affinché tutto ciò possa realmente accadere è necessario che i sostenitori del Sì aprano un confronto serio e costruttivo sui punti controversi con le posizioni non pregiudizialmente avverse, vale a dire con chi non ha il solo scopo di “mandare a casa” il governo e con chi non considera la riforma come l’anticamera di una svolta autoritaria. Vorrei soffermarmi, a questo proposito, su due critiche che in ogni occasione vengono reiterate.

La prima si riferisce al fatto che l’iniziativa è stata gestita dal governo mentre la materia costituzionale sarebbe di competenza esclusiva del Parlamento. A costoro va ricordato che sia il Senato che la Camera nel maggio 2013 votarono a schiacciante maggioranza una mozione con la quale impegnavano il governo Letta a presentare alle Camere un disegno di legge di revisione costituzionale. Lo ha ribadito autorevolmente Giorgio Napolitano, allora Presidente della Repubblica. È questa la ragione per la quale Enrico Letta rivendica con orgoglio che il processo riformatore è partito con il suo governo e dichiara che voterà Sì al referendum. Renzi ha proseguito il cammino.

Non va nemmeno mai dimenticato che il Parlamento nelle sue sei votazioni e più di due anni di lavoro ha modificato il progetto del governo in punti importanti e che tra la prima e la sesta votazione il numero dei voti favorevoli ha oscillato fra il 56 e il 58% in entrambe la Camere. Il fatto che i sondaggi diano il Pd attorno al 30% e il Sì attorno al 50% (esclusi gi indecisi) è la conferma che il Paese reale è attento ad una riforma che potrebbe eliminare gran parte delle storture e inefficienze che hanno caratterizzato sia il funzionamento del Parlamento sia il rapporto Stato-Regioni.

La seconda critica insistentemente ripetuta riguarda il famoso articolo 70 della riforma sui procedimenti legislativi che sarebbe troppo complicato. In realtà è la logica conseguenza del fatto che le due Camere avranno (finalmente) compiti quasi completamente diversi come in tutti grandi Paesi europei. Logico che il medesimo articolo, oggi asciutto e stringato, sia diventato più articolato. Tra qualche tempo apparirà di normale comprensione anche al lettore meno esperto.

Gli uffici legislativi del Parlamento hanno calcolato che solo circa il 5% delle leggi (revisione costituzionale, referendum, funzioni fondamentali delle Autonomie territoriali) saranno approvate come oggi da entrambe le Camere. Le altre potranno essere discusse dal Senato (alcune obbligatoriamente) ma poi prevarrà il voto della Camera quasi sempre a maggioranza semplice, qualche volta a maggioranza assoluta dei componenti. Non solo un risparmio di tempo, oggi fondamentale, ma soprattutto meno confusione, distorsioni e compromessi che di solito si annidano nei numerosi passaggi fra Camera e Senato.

Una forte razionalizzazione istituzionale e nessunissimo stravolgimento della parte fondamentale della Costituzione che, al contrario, potrà essere meglio custodita e vissuta.

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