Nel 1971 usciva un’opera fondamentale ai fini della riconsiderazione della funzione della politica: la Teoria della giustizia di John Rawls (1921-2002). Vi si affermava la priorità della giustizia sul concetto di bene, così come la necessità di un accordo preliminare tra le parti concepite come libere e uguali, discendendo l’equità dei principi di giustizia dall’equità delle procedure. Per Rawls le disuguaglianze sociali ed economiche sono da considerare giuste a condizione che le cariche pubbliche siano aperte a tutti (principio di giusta eguaglianza di opportunità) purché siano a beneficio dei membri più svantaggiati della società (principio di differenza). Il compito di tagliare la torta deve spettare a chi sceglierà per ultimo la propria fetta.
Ora ch’è venuta meno la fiducia in una storia automaticamente volta verso il meglio e che si può facilmente constatare la disgregazione all’interno dei sistemi democratici, con la fine delle illusioni (tragica) del comunismo sovietico e alla conclusione dei tre decenni d’oro postbellici (1960-1990), di fronte alla crisi dello stato sociale per insufficienza di fondi occorrono criteri rigorosi per una più equa ripartizione di costi e benefici, riformulando il patto sociale secondo nuovi schemi di cooperazione.
Rawls si dichiara contrario sia alle versioni libertarie di individualismo possessivo, come contro ogni utilitarismo vecchio e nuovo. Non accetta la lotteria naturale come il sacrificio del singolo in nome della felicità del maggior numero. Il metro di giustizia degli eventi deve essere esterno agli eventi, l’unità di misura non può misurare se stessa. Bisogna ricorrere a forme che non derivano dall’esperienza, ma strutturali e che rendano intelligibile l’esperienza stessa. Deve intervenire un accordo razionale tra gli uomini al fine di sfruttare le disuguaglianze a beneficio dei più sfavoriti, cioè un contratto capace di conciliare interesse del singolo e interesse collettivo.
La giustizia è comunque connessa alla dignità della persona, bene primario e la libertà sovraordinata all’eguaglianza. Rawls diffida del carattere stagnante delle società egualitarie e il principio di differenza è alternativo alla lotta di classe. Comunque i talenti dei singoli costituiscono una ricchezza da redistribuire all’interno della comunità. Nell’educazione scolastica vanno aiutati i meno intelligenti e più lenti. C’è in Rawls un sensibile pathos religioso.
Ma come può lo Stato conservare la propria stabilità in mancanza di concreti valori unificanti ed effettivamente condivisi? John Rawls è un liberal universalista e come è contro il ricorso alla forza nella soluzione dei conflitti, così è contrario alla pratica di una incessante e defatigante negoziazione, minimizzando il rischio rispetto al pensiero utopico. Nutre sfiducia nella possibilità di conferire ancora un ruolo fondativo al diritto naturale ed è convinto che non ci si debba arrendere a un insidioso relativismo avalutativo. È per lui comunque necessario un risultato non neutrale dal punto di vista morale. Così distingue i diritti umani: diritti morali, validi a prescindere dalla loro ratifica costituzionale e dotati di particolare urgenza; diritti alla libertà dalla schiavitù e dalla sofferenza delle torture o dalle aggressioni o alla libertà di coscienza.
John Rawls, conseguito il diploma secondario nel 1939, si interessa di filosofia politica presso la Princeton University. Si laurea nel 1943 e milita come fante nella seconda guerra mondiale, operando nel Pacifico. Consegue sempre a Princeton un dottorato in filosofia morale. A Oxford è influenzato dalla dottrina liberale di Isaiah Berlin. Nel 1962 diviene ordinario di filosofia presso la Cornell University e presso l’Università di Harvard insegna infine per quasi 40 anni. Rinasce con lui la dottrina del contrattualismo. L’utilitarismo, volendo a tutti i costi massimizzare la felicità comune, semplice somma delle felicità individuali, legittima in certi casi la violazione di alcune libertà fondamentali. Difficile è peraltro concepire gli individui come astrattamente sradicati dai loro valori, tradizioni e dall’appartenenza a una comunità. Nel Diritto dei popoli (1999) Rawls concepisce il consenso solo in società liberaldemocratiche, non autoritarie.
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